Il servo della pena nel Codice Teodosiano
p. 451-464
Résumés
Au second siècle ap. J.-C., les juristes romains appelaient serui poenae, « esclaves de leur propre châtiment », les personnes condamnées à la uiui crematio, ad gladium, ad furcam, in crucem, ad bestias, in ludum uenatorium, ad metalla et in opus metalli. Dès proclamation de la sentence, les condamnés à des crimes capitaux se voyaient privés de liberté, citoyenneté, liberté personnelle et relations personnelles. Ils étaient serui sine domino, esclaves sans maître qui pourrait les libérer, mais néanmoins propriété de l’Empereur. Deux dispositions du Code Théodosien font explicitement référence aux serui poenae: CTh X, 12, 2, 5 confirme la spécificité de l’institution impériale du seruus sine domino tandis que CTh X, 10, 30 établit un lien entre punition et culpabilité.
In the second century AD, roman jurists labeled the condemned to the uiui crematio, ad gladium, ad furcam, in crucem, ad bestias, in ludum uenatorium, ad metalla and in opus metalli as serui poenae, «slaves to their own punishment». From the day the sentence was delivered, capital convicts were deprived of freedom, citizenship, personal liberty and personal relations. They were serui sine domino, slaves without a master that could free them, but nevertheless property of the emperor. Two sources of the Theodosian Code refer explicitly to the seruus poenae: CTh X, 12, 2, 5 confirms the peculiarity of the imperial institution of seruus sine domino, while CTh X, 10, 30 draws a connection between punishment and guilt.
Texte intégral
1I giuristi romani qualificarono, a partire dall’età di Antonino Pio, i condannati alla uiui crematio, ad gladium, ad furcam, ad bestias, in crucem, in ludum uenatorium ad metalla e in opus metalli come serui poenae1, schiavi della loro stessa pena. Divenuto «proprietà della pena», l’uomo nato libero perdeva la libertà e la cittadinanza, il diritto di disporre e di ricevere per testamento, e di manomettere i suoi schiavi. Il suo matrimonio si scioglieva, i suoi beni venivano confiscati. I condannati in ludum e ad metalla venivano anche marchiati sul volto2.
2Lo schiavo che diventava seruus poenae subiva un’ulteriore degradazione, poiché perdeva l’aspettativa di diritto, riposta in un padrone che lo potesse manomettere: si seruus in metallum fuerit damnatus, libertatem sperare non poterit3. È interessante notare che nei Digesta l’espressione seruitus poenae – a cui si ricorre comunemente per designare l’istituto – si ritrovi un’unica volta4. Le fonti restituiscono sempre serui o seruae poenae in una determinazione più adatta ad una vita che si dispone ed esiste solo in quanto forza lavoro.
3Nel Codice Teodosiano due sono i passi che fanno esplicito riferimento al servo della pena: CTh X, 12, 2, 5 che inquadra il seruus poenae fra i servi sine domino, e CTh X, 10, 30, pr. che ne parla come di mancipium poenae. Prima di affrontarre la lettura mi sembra opportuno però fornire alcune linee interpretative circa la nascita dell’istituto.
1. Secondo una accreditata ricostruzione5, la servitù della pena sarebbe nata per disciplinare lo status dei condannati ai lavori forzati a vita nelle miniere, e sarebbe stata poi estesa ai condannati ad gladium, ad bestias, in ludum uenatorium, ad crucem, ai soggetti votati, cioè, all’eliminazione fisica.
4Altrove6 ho cercato di dimostrare che la seruitus poenae nacque per regolamentare lo status dei condannati a morte in attesa di esecuzione, e solo in un secondo momento sarebbe stata estesa alla damnatio ad metalla, precisamente nel periodo in cui la condanna alle miniere divenne la forma di detenzione tipica dell’ordinamento giuridico imperiale e, per la sua estrema durezza, fu assimilata ai summa supplicia.
5Qui vorrei mettere in evidenza che non è possibile considerare il seruus poenae alla stregua di un qualsiasi altro schiavo dell’antichità. Tutte le forme di schiavitù che furono irrogate fino alla comparsa dell’istituto, implicano sempre l’entrata nel dominium di un altro soggetto, mentre il seruus poenae è un servo senza padrone, sine domino.
6Un rescritto di Antonino Pio7 sull’impossibilità dei condannati di ricevere per legato stabilisce che il damnatus seruus poenae non può essere considerato schiavo dell’imperatore: il seruus poenae non è un seruus Caesaris8. Non è possibile in questa sede affrontare tutte le problematiche relative al rescritto9, ma vorrei segnalare come l’imperatore interrogato sulla spettanza dei soggetti destinati all’eliminazione fisica neghi che possano essere considerati suoi schiavi, senza peraltro chiarire chi sia il nuovo dominus. La differenza fra il condannato sciolto da ogni relazione, lo schiavo o il servo imperiale10 è che il primo è un seruus sine domino, vale a dire «nuda vita» o vita non qualificata11.
7I condannati alle miniere, che rispetto ai condannati a morte trascinavano la loro vita per un periodo di tempo indefinitamente più lungo, assai spesso dovettero fornire materia alla riflessione giuridica circa la determinazione del loro incerto status.
8La giurisprudenza romana che aveva utilizzato il termine seruus si trovò in difficoltà a conciliare il regime giuridico della schiavitù con questa nuova forma di sfruttamento di lavoro coattivo non pagato. Cuius sit non adicitur – leggiamo in un rescritto di Caracalla12 – «a chi appartenga questo nuovo soggetto non è aggiunto».
2. La dissociazione dei due termini che in un rapporto millenario avevano caratterizzato il discorso giuridico romano sulla schiavitù – il dominus da una parte, e il seruus dall’altra – è implicita del resto nella definizione stessa dell’istituto: il termine seruus, svuotato del suo significato reale, è collegato metaforicamente ad un’entità astratta, la pena. E qui vengo al secondo punto della mia riflessione, ipotizzando una interferenza del pensiero stoico e del pensiero cristiano sulla riflessione giuridica.
9Il confronto tra le fonti giuridiche e le coeve fonti letterarie cristiane mostra una connessionne vieppiù evidente fra pena e colpa. L’analogia fra il seruus poenae e il seruus peccati dei Vangeli è evidente: Omnis, qui facit peccatum, seruus est peccati13. E l’analogia diventa più di una suggestione se si esamina il tentativo di Agostino di giustificare ex parte Dei la schiavitù14.
10Agostino15 rinviene nel peccato il principio ordinatore che unifica e distingue tutti i tipi di schiavitù: Prima ergo seruitutis causa peccatum est, ut homo homini condicionis uinculo subderetur; quod non fit nisi Deo iudicante, apud quem non est iniquitas et nouit diuersas poenas meritis distribuere delinquentium16. Anche l’antica etimologia di seruus da seruare, che faceva riferimento allo sconfitto in battaglia, risparmiato dal vincitore invece che ucciso17, viene piegata in un nuovo significato. Gli schiavi sono tali non in virtù dell’esito di rapporti di forza riconosciuti dal diritto ma perchè peccatori. Essere conservato viene a significare essere salvato (Origo autem uocabuli seruorum in Latina lingua inde creditur ducta, quod hi, qui iure belli possent occidi, a uictoribus cum seruabantur serui fiebant, a seruando appellati18; quod etiam ipsum sine peccati merito non est). Anche la teoria del bellum iustum è rivisitata: i soccombenti sono dalla parte del peccato; ogni vittoria, anche quando spetta al peggiore è umiliazione del vinto sancita dal giudizio di Dio, che corregge e punisce i peccati.
11Se peccato e reato coincidono, il delinquente è uno schiavo del peccato prima ancora di divenire un servo della pena. E se meritum est peccati impercettibilmente si slitta da una logica retributiva a una logica della colpa.
12Affermare che qualcuno è servo della sua stessa pena significa portare in primo piano responsabilità e intenzionalità del crimine, e risolvere nello stesso tempo il problema della spettanza di un soggetto destinato a morire ma incluso nell’ordinamento: il condannato è proprietà della pena. Da questo punto di vista l’istituto sarebbe epifenomeno di quell’incontro tra riflessione etica e analisi giuridica realizzatosi, nell’età d’oro dell’impero romano, nel legal reasoning severiano considerato da sempre in storiografia come «il punto d’incontro più alto raggiunto nell’antichità tra riflessione etica ed analisi giuridica»19. L’elaborazione di una nozione di totale assenza di diritti riferibili ad un soggetto destinato alla morte ma tenuto in vita all’interno dell’ordinamento giuridico, riflette la nuova dimensione etica della società e dell’impero.
3. Le due fonti del Codice Teodosiano sembrano confortare la degradazione della persona a res come precipitato dell’affermarsi di un concetto forte di colpa.
13Nel titolo dodicesimo Si uagum petatur mancipium del decimo libro del Codice Teodosiano sono riportate le prescrizioni per chi rivendichi proprietà «vacanti». CTh X, 12, 2,§ 5 include i servi della pena nella categoria degli schiavi che per qualche motivo si sono trovati senza un padrone. Il cuius sit non adicitur che creava problema ad Ulpiano è riassorbito in una più ampia questione sulla rivendicazione dei servi sine domino. Dato estremamente importante è che il fisco20 ne rivendica la proprietà e ne esige il prezzo (CTh X, 12, 2, § 5):
IMPP. VALENTINIANVS ET VALENS AA. AD PROBVM P(RAEFECTVM) P(RAETORI)O21.
Contra in his, qui aut dominis sine herede defunctis inuenientur dominos non habere aut serui poenae aliquando facti ac postmodum liberati iudicialibus dominos amisere sententiis, postremo in uniuersis, de quibus iniectio manus fisco rite praebetur, munificentiae principali congruus patebit effectus.
DAT XV KAL. IVL. TREV(IRIS) VAL (ENTINI) ANO ET VALENTE AA. CONSS.
14La misura conferma l’orientamento dottrinale per cui il servo della pena è proprietà del fisco. Un orientamento che era stato timidamente proposto da Ulpiano22, ma il cui snodo fondamentale sembra essere la costituzione di Valeriano e Gallieno conservata nel Codice di Giustiniano (CJ 9, 51, 8):
IMPP. VALERIANVS ET GALLIENVS AA. SELEVCO.
Frustra adhuc seruum esse tui iuris existimas, qui in metallum datus poena eius postea liberatus est. Per huiusmodi enim indulgentiae occasionem integrari dominium prius non placuit. Verum idcirco tamen impune tibi eum praeses prouinciae iniuriosum esse non patietur. Quod si quid rerum tuarum tenet, procurator uobis iudex erit: fisci enim coepit esse mancipium.
15La fattispecie prospettata è quella di schiavo condannatoad metalla e divenuto dunque seruus poenae, successivamente liberato per mezzo di un’indulgenza imperiale. Il provvedimento di grazia non restituisce al dominus i diritti sullo schiavo che è considerato mancipium fisci. Interessante mi sembra l’utilizzo della parola mancipium. Come si è detto il termine seruus indicava pur sempre un homo con limitate aspettative di diritto23 anche se solo in qualità di strumento di acquisizione per il dominus; il termine mancipium è invece più spesso impiegato per qualificare lo schiavo nel senso di proprietà, di res24.
16E quasi venga restituito l’anello mancante tra seruus poenae e mancipium fisci, nel secondo passo che fa riferimento esplicitamente al servo della pena, CTh X, 10, 30, pr.25, troviamo l’espressione mancipium poenae.
17Il provvedimento di Onorio espone automaticamente il delatore la cui denuncia non è fondata, alla poena calumniae26:
IDEM AA. ET CONSTANTIVS A. PALLADIO P(RAEFECTO) P(RAETORI)O.
POST ALIA. Caduca mortuorum bona tunc ad competitores iubemus ex nostra largitate transferri, si nullum ex qualibet sanguinis linea uel iuris titulo legitimum reliquerit intestatus heredem.
Eorum uero patrimonia mortuorum, qui uitae suae tempore diuersis conscientiam suam dicuntur polluisse criminibus, conpeti nequaquam debere censemus, nisi quos publica accusatione constiterit fuisse conuictos, dummodo impetrationis huiusce rescribtum non prius liceat allegari, quam delator palatino fuerit adsignatus officio nulli penitus satisdationi credendus. In quem, si concessa titubauerint, calumniae poena referatur, quamuis hoc ipsum, quod uoluit esse delator, poenae iam sit ex iure mancipium (...).
18La misura riguarda la procedura da adottarsi per i privati che vogliano richiedere al fisco beni di persone decedute27. Tali proprietà appartengono al fisco quando non vi siano né testamento, né eredi legittimi, né altro titolo legale, per cui possono essere richiesti dai competitores. È possibile, tuttavia, assegnare i beni delle persone decedute che in vita si siano macchiate di qualche crimine, se è intervenuta una condanna definitiva28. Per richiedere l’assegnazione dei beni è necessario far comparire in giudizio il delatore29. «Si concessa titubauerint» il delatore che ha segnalato i beni da aggredire di proprietà della pena.
19La seconda parte della fonte, di complicata esegesi, potrebbe spiegarsi se si ipotizza che l’evento morte del condannato si sia verificato prima della sentenza, estinguendo il processo penale che invece è proseguito ai fini fiscali per decidere l’appartenenza dei beni del defunto. Nel caso specifico la pena prevista per il delatore che ha reso dichiarazioni non veritiere rendendo di conseguenza «instabile» l’assegnazione dei beni è quella per calunnia: la pena di morte (si concessa titubauerint, calumniae poena referatur). Il delator è ex iure proprietà della pena, mancipium poenae30.
20La severa ammonizione del Codice Teodosiano – quod uoluit esse delator, poenae iam sit ex iure mancipium – sancisce l’ineluttabilità dell’appartenenza del colpevole alla pena, appartenenza che si è venuta a costituire nel momento stesso in cui si è voluto delinquere.
21L’ambiguo utilizzo di seruus per indicare la persona del condannato a morte – che aveva portato a difficoltà e imbarazzo nei giuristi in sede di elaborazione dell’istituto e a distorsioni nella sua comprensione da parte degli storiografiin questo testo è assente.
22Il seruus poenae in tal caso è veramente simile al seruus peccati descritto dalle fonti cristiane, perchè la sua condizione di schiavo non è il risultato innaturale di rapporti di forza, ma la ratio naturale inerente alla trasgressione e alla colpa.
Bibliographie
Des DOI sont automatiquement ajoutés aux références bibliographiques par Bilbo, l’outil d’annotation bibliographique d’OpenEdition. Ces références bibliographiques peuvent être téléchargées dans les formats APA, Chicago et MLA.
Format
- APA
- Chicago
- MLA
Bauman 1996
R. A. Bauman, Crime and Punishment in Ancient Rome, London, 1996.
Biondi 1965
B. Biondi, «Effetti civili della ‘restitutio principis’ del deportato», dans B. Biondi, Scritti Giuridici, III, Milano, 1965, p. 55-60.
Boulvert 1970
G. Boulvert, Esclaves et affranchis impériaux sous le Haut-Empire romain. Rôle politique et administratif, Napoli, 1970.
Brasiello 1934
U. Brasiello, «La condizione del servo della pena», dans Studi in Onore di Filippo Virgilii, Siena, 1934, p. 3-45.
Brasiello 1937
U. Brasiello, La repressione penale in diritto romano, Napoli, 1937.
Brown 1967
P. Brown, Augustine of Hippo: a Biography, Berkeley, 1967.
Buckland 1908
W. W. Buckland, The Roman Law of Slavery, Cambridge, 1908.
Burdon 1988
J. Burdon, «Slavery as a Punishment in Roman Criminal Law», dans L. J. Archer (éd.), Slavery and Other Forms of Unfree Labour, London – New York 1988, p. 68-85.
Carrelli 1937
E. Carrelli, «La restitutio indulgentia principis », dans Studi in onore di Michele Barillari, Bari, 1937, p. 3-42.
Chadwick 1986
H. Chadwick, Augustine, Oxford, 1986.
Cremona 1986
C. Cremona, Agostino d’Ippona, Milano, 1986.
Delmaire 1989
R. Delmaire, Largesses sacrées et res privata. L’aerarium impérial et son administration du ive au vie siècle, Rome, 1989 (Coll. EFR, 121).
Delmaire 1989a
R. Delmaire Les responsables des finances impériales au Bas-Empire romain (ive-vie s.). Études prosopographiques, Bruxelles, 1989 (Coll. Latomus, 203).
Desserteaux 1919
F. Desserteaux, Études sur la formation historique de la capitis deminutio, II, Paris, 1919.
Desserteaux 1927
F. Desserteaux, «Des effets, en droit privé, de la restitutio du condamné à la servitude pénale ou à la déportation», TR, 7, 1927, p. 281-313.
Donatuti 1934
G. Donatuti, «La schiavitù per condanna», BIDR, XLII, 1934, p. 219-237.
Eder 1980
W. Eder, Servitus publica. Untersuchungen zur Entstehung, Entwicklung und Funktion der öffentlichen Sklaverei in Rom, Wiesbaden, 1980.
Ferrini 1899
C. Ferrini, Diritto penale romano. Teorie generali, Milano, 1899.
Garnsey 1996
P. Garnsey, Ideas of Slavery from Aristotle to Augustine, Cambridge, 1996.
Gibbon 1896
E. Gibbon, History of the Decline and Fall of the Roman Empire, I, London, 1896 (ed. J. B. Bury).
Giuffrè 1997
V. Giuffrè, La repressione criminale nell’esperienza romana, Napoli, 1997.
Gothofredus 1665
J. Gothofredus, Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis, I-VI, Lugduni, 1665.
Halkin 1897
L. Halkin, Les esclaves publics chez les Romains, Bruxelles, 1897.
Klein 1988
R. Klein, Die Sklaverei in der Sicht der Bischöfe Ambrosius und Augustinus, Stuttgart, 1988.
Mary Margaret 1953
Sister Mary Margaret, «Slavery in the Writings of St. Augustine », CJ, 49, 1953-1954, p. 363-368.
Mayer 1977
C. P. Mayer, «Augustins Auffassung über die Sklaverei. Würdigung und Kritik», Augustinianum, 17, 1977, p. 237-247.
McClintock 2005
A. McClintock, «Civil Death in Ancient Rome? The servitus poenae», dans V. I. Anastasiadis, P. N. Doukellis (éd.), Esclavage antique et discriminations socio-culturelles, Actes du XXVIIIe colloque international du GIREA (Mytilène, 5-7 Décembre 2003), Berne, 2005, p. 322-328.
McClintock 2010
A. McClintock, Servi della pena. Condannati a morte nella Roma imperiale, Napoli, 2010 (Pubblicazioni della Facoltà di Economia e del Dipartimento di Studi Giuridichi, Politichi e Sociali, Sezione giuridico-sociale, 65).
Mercogliano 1994
F. Mercogliano, «Die Petitores in der Fiskalgesetzgebung. Ein Überblick», ZRG-RA, 111, 1994, p. 449-557.
Mercogliano 1998
F. Mercogliano, «La petitio fiscale nell’organizzazione finanziaria da Costantino a Theodosio II», dans G. Crifò, S. Giglio (éd.), AARC, XII, 1995, Napoli, 1998 p. 405-412.
Milani 1972
P. A. Milani, La schiavitù nel pensiero politico. Dai Greci al basso Medioevo, Milano, 1972.
Mommsen 1899
Th. Mommsen, Römisches Strafrecht, Leipzig, 1899.
Morabito 1981
M. Morabito, Les réalités de l’esclavage d’après le Digeste, Paris, 1981.
O’Donovan 1987
O. O’Donovan, «Augustine’s City of God XIX and Western Political Thought», Dionysius, 11, 1987, p. 89-110.
Pfaff 1923
I. Pfaff, «Seruitus poenae », dans RE II, A/2, 1923, col. 1830-1832.
Provera 1964
La vindicatio caducorum. Contributo allo studio del processo fiscale romano, Torino, 1964.
Pugliese 1982
G. Pugliese, «Linee generali dell’evoluzione del diritto penale pubblico durante il principato», dans ANRW, 14/2, Berlin-New York 1982, p. 722-789 [= G. Pugliese, Scritti giuridici scelti, II, Napoli, 1985, p. 651-720].
Rein 1844
W. Rein, Das Criminalrecht der Römer von Romulus bis auf Justinian, Leipzig, 1844.
Rivière 2002
Y. Rivière, Les délateurs sous l’Empire romain, Rome, 2002 (Coll. EFR, 311).
Salerno 2003
F. Salerno, «Ad metalla». Aspetti giuridici del lavoro in miniere, Napoli, 2003.
Salerno 2005
F. Salerno, «Minime in… facie scribatur: Constantine and the damnati ad metalla», dans V. I. Anastasiadis, P. N. Doukellis (éd.), Esclavage antique et discriminations socio-culturelles, Actes du XXVIIIe colloque international du GIREA (Mytilène, 5-7 Décembre 2003), Berne 2005, p. 327-337) [= F. Salerno, Aspetti della ‘marginalita’ sul finire di un mundo, Napoli, 2009, p. 61-77].
Santalucia 1998 2
B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano, 1998 (2a ed.).
Schiavone 2003
A. Schiavone, «Giuristi e principe nelle Istituzioni di Ulpiano. Un’esegesi», SDHI, LXIX, 2003, p. 3-56.
Seeck 1919
O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit, Stuttgart, 1919.
Spagnuolo Vigorita 1978
Secta temporum meorum. Rinnovamento politico e legislazione fiscale agli inizi del principato di Gordiano III, Palermo, 1978.
Spagnuolo Vigorita 1984
T. Spagnuolo Vigorita, Exsecranda Pernicies. Delatori e fisco nell’età di Costantino, Napoli, 1984 (Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università di Napoli, 213).
Strachan-Davidson 1912
J. L. Strachan-davidson, Problems of the Roman Criminal Law, Oxford, 1912.
Watson 1987
A. Watson, Roman Slave Law, Baltimore – London, 1987.
Weiss 2004
A. Weiss, Sklave der Stadt: Untersuchungen zur öffentlichen Sklaverei in den Städten des Römischen Reiches, Stuttgart, 2004 (Historia Einzelschriften, 173).
Westermann 1955
W. L. Westermann, The Slave System of Greek and Roman Antiquity, Philadelphia, 1955.
Wieling 1999
J. M. Wieling, Corpus der römischen Rechtsquellen zur antiken Sklaverei, I, Stuttgart, 1999.
Zilletti 1968a
U. Zilletti, «In tema di servitus poenae», SDHI, XXXIV, 1968, p. 32-109.
Zilletti 1968b
U. Zilletti, «Note sulla restitutio in integrum », dans Studi in onore di Giuseppe Grosso, II, Torino, 1968, p. 35-93.
Notes de bas de page
1 Sulle definizioni dell’istituto nei manuali di diritto criminale e nei testi generali sulla schiavitù, si veda Rein 1844, p. 914-915; Mommsen 1899, p. 947-948; Ferrini, 1899, p. 152-155; Buckland 1908, p. 403-412; Strachan-Davidson 1912, p. 57-58; Desserteaux 1919, p. 418-422; Brasiello 1937, p. 416-418; Pugliese 1982, p. 766; Santalucia 19982, p. 251-252; Bauman 1996, p. 122-123; Giuffrè 1997, p. 117; Morabito 1981, p. 74-78; Wieling 1999, p. 18-25; e di recente si veda Salerno 2003, p. 82-110. Il numero di studi monografici sulla servitù della pena è esiguo: Pfaff 1923; Donatuti 1934; Brasiello 1934; Zilletti 1968a; Burdon 1988; McClintock 2005; McClintock 2010. Si veda sulla restitutio in integrum damnatorum, Desserteaux 1927; Carrelli 1937; Biondi 1965; Zilletti 1968b.
2 Il marchio sul volto per i condannati in ludum e ad metalla fu in in vigore fino all’intervento di Costantino che dispose che fossero marchiati sulle braccia o sulle gambe. V. CTh IX, 9, 40, 2. Sulla disposizione si veda Salerno 2005, passim.
3 Dig XL, 5, 24, 5 (Ulpianus, Libro quinto fideicommissorum): Si seruus in metallum fuerit damnatus, libertatem sperare non poterit. Quid ergo, si fideicommissaria libertas ei relicta sit et poena metalli indulgentia principis sit liberatus? Et est rescriptum ab imperatore nostro hunc in dominium prioris domini non restitui: cuius tamen sit, non adicitur. Certe cum fisci efficiatur, sperare potest fideicommissariam libertatem.
4 Dig XLVIII, 23, 1, 1 (Ulpianus, Libro trigensimo octavo ad edictum): Sed si in metallum damnatus restituatur, numquid seruitus poenae extinguat ius patronatus etiam post restitutionem? et magis est, ut non extinguat seruitus ius patronatus.
5 Brasiello 1934.
6 McClintock 2005 e infra note 9.
7 I frammenti che fanno esplicito riferimento al rescritto di Antonino Pio sono i seguenti: Dig XLIX, 14, 12 (Callistratus, Libro sexto de cognitionibus): In metallum damnatis libertas adimitur, cum etiam uerberibus seruilibus coercentur. Sane per huiusmodi personam fisco nihil adquiri diuus Pius rescripsit: et ideo quod legatum erat ei, qui postea in metallum damnatus erat, ad fiscum non pertinere rescripsit magisque ait poenae eos quam fisci seruos esse. Dig XXIX, 2, 25, 3 (Ulpianus, Libro octavo ad Sabinum): Si quis plane seruus poenae fuerit effectus ad gladium uel ad bestias uel in metallum damnatus, si fuerit heres institutus, pro non scripto hoc habebitur: idque diuus Pius rescripsit (…). Dig XXIV, 8, 3, pr. (Marcianus, Libro undecimo institutionum): Si in metallum damnato quid extra causam alimentorum relictum fuerit, pro non scripto est nec ad fiscum pertinet: nam poenae seruus est, non Caesaris: et ita diuus Pius rescripsit. 1. Sed et si post testamentum factum heres institutus uel legatarius in metallum datus sit, ad fiscum non pertinet.
8 Tuttavia ciò non significa che l’imperatore abdicasse ad ogni diritto di proprietà sulla persona dei condannati come ha autorevolmente sostenuto Brasiello 1934, p. 7. Antonino Pio afferma soltanto che a nessun titolo i servi della pena debbano essere considerati serui Caesaris, schiavi dell’imperatore, con tutti i diritti particolari che tale categoria di schiavi possedeva. Ciò precisato essi restano in tutto e per tutto proprietà dell’imperatore che è l’unico che può ordinare una reintegrazione dei loro diritti. Più di una fonte attestano l’interesse patrimoniale dell’imperatore verso la persona del condannato. In Dig XLIX, 15, 6 (Pomponius, Libro primo ex variis lectionibus) si legge: Mulier in opus salinarum ob maleficium data et deinde a latrunculis exterae gentis capta et iure commercii uendita ac redempta in causam suam reccidit. Cocceio autem Firmo centurioni pretium ex fisco reddendum est: «La donna condannata per qualche grave delitto, quindi alle saline, catturata da ladri stranieri e poi venduta iure commerci e redempta, ritorna a scontare la pena. Ma al centurione Cocceio Firmo, che l’aveva riscattata, deve essere restituito il prezzo dal fisco». Analogamente, per costituzione di Severo, il condannato ad metalla, catturato e redemptus, deve ritornare alla sua pena, ma non sarà tuttavia punito come se fosse in fuga. Il redemptor ne riceverà il prezzo dal fisco: Dig XLIX, 15, 12, 17 (Tryphoninus, Libro quarto disputationum): Ergo de metallo captus redemptus in poenam suam reuertetur, nec tamen ut transfuga metalli puniendus erit, sed redemptor a fisco pretium recipiet quod etiam constitutum est ab imperatore nostro et diuo Seuero. La forza lavoro del condannato ha dunque un valore che viene quantificato in un prezzo. Nella stessa logica non conviene alimentare e sorvegliare chi è ormai inutile al lavoro: Dig XLVIII, 19, 22 (Modestinus, Libro primo differentiarum): In metallum damnati si ualetudine aut aetatis infirmitate inutiles operi faciundo deprehendantur, ex rescripto diui Pii a praeside dimitti poterunt, qui aestimabit de his dimittendis, si modo uel cognatos uel adfines habeant et non minus decem annis poenae suae functi fuerint.
9 Il rescritto di Antonino Pio è stato considerato in dottrina «come un’autentica Wendung, che avrebbe impresso all’istituto il regime definitivo»ed è considerato come «un elemento importante per dimostrare la connessione originaria e tipica fra pena del metallum e servitù della pena», v. in tal senso Zilletti 1968a, p. 41; Brasiello 1934 (vedi nota 5). La difficoltà inerente alla ricostruzione di Brasiello discende dal fatto che le stesse fonti che dovrebbero testimoniare il perfezionamento giuridico dell’istituto sono anche quelle che ne attestano l’origine. Fonti e argomentazioni in McClintock 2005.
10 Cf. Halkin 1897, passim; Boulvert 1970, passim; Eder 1980, passim; Weiss 2004, passim.
11 La differenza fra il servo della pena e lo schiavo romano di epoca classica è che quest’ultimo è un soggetto sfruttato che spesso vive in condizioni durissime ma che è parte integrante di una relazione, e ha nel dominus che lo può liberare un’aspettativa di diritto. Come spesso è sottolineato nelle fonti letterarie la prospettiva della manomissione rappresentava un incentivo al lavoro e all’accettazione della sottomissione.
12 Dig XL, 5, 24, 5 (Ulpianus, Libro quinto fideicommissorum): Si seruus in metallum fuerit damnatus, libertatem sperare non poterit. Quid ergo, si fideicommissaria libertas ei relicta sit et poena metalli indulgentia principis sit liberatus? Et est rescriptum ab imperatore nostro hunc in dominium prioris domini non restitui: cuius tamen sit non adicitur. Certe cum fisci efficiatur, sperare potest fideicommissariam libertatem.
13 Iohan. 8, 34. Paolo vide nella metafora dell’uomo schiavo di Dio l’unica alternativa all’uomo schiavo del peccato, ponendo le basi per la successiva riflessione cristiana sulla questione. Vi è una schiavitù buona e onorevole che è quella verso Dio, ed una schiavitù cattiva che è quella verso il peccato: cf. ad Rom. 6, 15: Quid ergo? Peccabimus, quoniam non sumus sub lege sed sub gratia? Absit! 16. Nescitis quoniam, cui exhibetis uos seruos ad oboedientiam, serui estis eius, cui oboeditis, siue peccati ad mortem, siue oboeditionis ad iustitiam? 17. Gratias autem Deo quod fuistis serui peccati, oboedistis autem ex corde in eam formam doctrinae, in quam traditi estis. 18. Liberati autem a peccato serui facti estis iustitiae. 19. Humanum dico propter infirmitatem carnis uestrae. Sicut enim exhibuistis membra uestra seruientia immunditiae et iniquitati ad iniquitatem, ita nunc exhibete membra uestra seruientia iustitiae ad sanctificationem. 20. Cum enim serui essetis peccati, liberi eratis iustitiae. 21. Quem ergo fructum habebatis tunc, in quibus nunc erubescitis? Nam finis illorum mors! 22. Nunc uero liberati a peccato, serui autem facti Deo, habetis fructum uestrum in sanctificationem, finem uero uitam aeternam! 23. Stipendia enim peccati mors, donum autem Dei uita aeterna in Christo Iesu Domino nostro. Cito dalla versione latina per mettere in evidenza l’impatto che il discorso paolino potrebbe aver avuto sul lessico romano. Come è noto gli Atti dei Martiri Scilitani e gli scritti di Tertulliano dimostrano che alla fine del secondo secolo d. C. circolavano traduzioni latine del Nuovo Testamento.
14 È necessario osservare che il primo cristianesimo non tenta di far combaciare l’ordine politico con l’ordine naturale. Gli scritti del Nuovo Testamento non affermano in nessun modo che i padroni sono migliori per natura degli schiavi, anzi da un punto di vista spirituale lo schiavo può essere superiore al padrone. Fu la divisione fondamentale operata da Paolo tra schiavi di Dio e schiavi del peccato a dare materia ad un ripensamento della questione (vede nota precedente). Da questo punto di vista particolarmente rilevante per la nostra indagine è il passo di Agostino, perchè frutto di un pensiero cristiano maturo, che nel momento in cui la religione cristiana è diventa religione ufficiale dell’impero cerca di armonizzare l’idea della comune figliolanza da Dio con la disuguaglianza della distinzione fra liberi e schiavi. Va inoltre sottolineato che la testimonianza di Sant’Agostino è coeva alle fonti del Codice Teodosiano oggetto dell’intervento. Sulla schiavitù nel pensiero agostiniano si veda: Mary Margaret 1953; Mayer 1977; O’Donovan 1987; Klein 1988, passim; Garnsey 1996, passim.
15 Cf. Brown 1967, passim; Chadwick 1986, passim; Cremona 1986, passim.
16 Aug., De ciu. Dei 19, 15.
17 Dig I, 5, 4, 1-2 (Florentinus, Libro nono institutionum): Seruitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur. Serui ex eo appellati sunt, quod imperatores captiuos uendere ac per hoc seruare nec occidere solent. Mancipia uero dicta, quod ab hostibus manu capiantur. Cf. Inst I, 1, 3: De iure personarum. Summa itaque diuisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt aut serui. Et libertas quidem est, ex qua etiam liberi uocantur, naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid aut ui aut iure prohibetur. Seruitus autem est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur. Serui autem ex eo appellati sunt, quod imperatores captiuos uendere iubent ac per hoc seruare nec occidere solent: qui etiam mancipia dicti sunt, quod ab hostibus manu capiuntur. Serui autem aut nascuntur aut fiunt. Nascuntur ex ancillis nostris: fiunt aut iure gentium, id est ex captiuitate, aut iure ciuili, ueluti cum homo liber maior uiginti annis ad pretium participandum sese uenumdari passus est. In seruorum condicione nulla differentia est. In liberis multae differentiae sunt: aut enim ingenui sunt aut libertini. Cf. anche Dig L, 16, 239, 1 (Pomponius, Libro singulari enchiridii): «Seruorum » appellatio ex eo fluxit, quod imperatores nostri captiuos uendere ac per hoc seruare nec occidere solent. La larga accettazione nel mondo antico di questa etimologia secondo Milani 1972, p. 200, «comporta già di per sé una valutazione morale dell’istituzione. Nell’asservimento venne vista infatti la manifestazione di un atto di misericordia e di filantropia del vincitore che, risparmiando la vita di un uomo, assumeva contemporaneamente ogni diritto nei suoi confronti» (cf. Watson 1987, p. 8). Giustamente Milani osserva che non è accettabile l’affermazione di Westermann 1955, p. 74, che i Romani non avvertirono la necessità di dare una spiegazione della genesi della schiavitù come fecero i Greci del periodo pre-alessandrino.
18 Genesi 9, 25.
19 Schiavone 2003, p. 55; sull’étà dell’oro di Roma si v. Gibbon 1896, p. 78.
20 Cf. supra nota 8.
21 a. 368? 370? 373? si veda Seeck 1919, p. 31 e 232.
22 Vede nota 12.
23 All’epoca di Gaio non è più possibile uccidere impunemente uno schiavo. Il giurista antoniniano nello stesso momento in cui afferma che il dominus ha lo ius uitae ac necis sul seruus, si affretta a precisare che hoc tempore a nessun romano è permesso di trattare gli schiavi con eccessiva severità per una causa non prevista dalla legge, poiché per una costituzione di Antonino Pio «chi ha ucciso uno schiavo senza giusta causa sarà punito severamente come chi ha ucciso uno schiavo altrui»: Gaius I, 52 [= Dig I, 6, 1, 1]: In potestate itaque sunt serui dominorum. Quae quidem potestas iuris gentium est: nam apud omnes peraeque gentes animaduertere possumus dominis in seruos uitae necisque potestatem esse, et quodcumque per seruum adquiritur, id domino adquiritur. 53. Sed hoc tempore neque ciuibus Romanis nec ullis aliis hominibus, qui sub imperio populi Romani sunt, licet supra modum et sine causa legibus cognita in seruos suos saeuire. Nam ex constitutione imperatoris Antonini qui sine causa seruum suum occiderit, non minus teneri iubetur, quam qui alienum seruum occiderit. Sed et maior asperitas dominorum per eiusdem principis constitutione coercetur (...). Già Adriano aveva punito chi trattava in maniera troppo dura gli schiavi e aveva disposto la vendita forzata ad altro padrone per gli schiavi su cui fosse stata accertata giudizialmente violenza: Dig I, 6, 2 (Ulpianus, Libro octavo de officio proconsulis): Si dominus in seruos saeuierit uel ad impudicitiam turpemque uiolationem compellat, quae sint partes praesidis, ex rescripto diui Pii ad Aelium Marcianum proconsulem Baeticae manifestabitur. Cuius rescripti uerba haec sunt: « dominorum quidem potestatem in suos seruos illibatam esse oportet nec cuiquam hominum ius suum detrahi: sed dominorum interest, ne auxilium contra saeuitiam uel famem uel intolerabilem iniuriam denegetur his qui iuste deprecantur. Ideoque cognosce de querellis eorum, qui ex familia Iulii Sabini ad statuam confugerunt, et si uel durius habitos quam aequum est uel infami iniuria affectos cognoueris, ueniri iube ita, ut in potestate domini non reuertantur. Qui si meae constitutioni fraudem fecerit, sciet me admissum seuerius exsecuturum». Diuus etiam Hadrianus Umbriciam quandam matronam in quinquennium relegauit, quod ex leuissimis causis ancillas atrocissime tractasset. Cf. Coll. Mos. III, 3, 1-6. All’epoca di Ulpiano e Modestino, il padrone non può mandare ad bestias i suoi schiavi, ed è necessario l’intervento di un giudice che ne confermi l’azione: Dig XLVIII, 8, 11, 1 (Modestinus, Libro sexto regularum): Seruo sine iudice ad bestias dato non solum qui uendidit poena, uerum et qui comparauit tenebitur. Sul problema di concedere un’azione per i maltrattamenti contro gli schiavi si veda Dig XLVII, 10, 15, 44 (Ulpianus, Libro septuagensimo septimo ad edictum): Itaque praetor non ex omni causa iniuriarum iudicium serui nomine promittit: nam si leuiter percussus sit uel maledictum ei leuiter, non dabit actionem: at si infamatus sit uel facto aliquo uel carmine scripto puto causae cognitionem praetoris porrigendam et ad serui qualitatem: etenim multum interest, qualis seruus sit, bonae frugi, ordinarius, dispensator, an uero uulgaris uel mediastinus an qualisqualis. Et quid si compeditus uel male notus uel notae extremae? Habebit igitur praetor rationem tam iniuriae, quae admissa dicitur, quam personae serui, in quem admissa dicitur, et sic aut permittet aut denegabit actionem. Ma si veda anche il provvedimento di Claudio per cui agli schiavi abbandonati per grave malattia doveva concedersi la libertà, Dig X, 8, 2 (Modestinus, Libro sexto regularum): Seruo, quem pro derelicto dominus ob grauem infirmitatem habuit, ex edicto diui Claudii competit libertas.
24 Cf. Buckland 1908, p. 6.
25 CTh X, 10, 30 insieme a CTh X, 10, 29; IV, 15, 1 e IX, 42, 23 integrerebbero il testo di un’unica costituzione, cf. Seeck 1919, p. 344.
26 CTh X, 10, 30, pr. L’editto di Costantino del 312 d. C. contenuto in CTh X, 10, 10, 2 stabilisce che ai delatori, «peste esecranda e massima piaga della vita umana, non deve essere consentito nemmeno di parlare: senza ascoltare la voce calunniosa, il giudicante li condanna a morte». Secondo autorevole dottrina il divieto di Costantino riguarderebbe la delazione fiscale e non l’accusa penale. Delator, dunque, nell’uso di gran lunga prevalente nel linguaggio tardo-antico è chi segnala agli uffici o ai petitores beni che dovrebbero spettare al fisco. Cf. Spagnuolo Vigorita 1984, p. 26-28. Ha ripreso di recente la questione accogliendo la ricostruzione di Spagnuolo, Rivière 2002, passim.
27 Si veda Provera 1964, passim; Spagnuolo Vigorita 1978, passim; id. 1984, passim; Delmaire 1989, passim; Delmaire 1989a, passim. In particolare sulla petitio fiscale da Costantino a Teodosio II: cf. Mercogliano 1994; Mercogliano 1998; Rivière 2002, p. 137-140.
28 Nel Codice di Giustiniano è riportata solo questa parte della costituzione del Teodosiano: CJ 10, 1, 10 (a. 421) IDEM AA. PALLADIO PP. Eorum patrimonia mortuorum, qui uitae suae tempore diuersis conscientiam suam dicuntur polluisse criminibus, fisci rationibus nequaquam competere uel ab eo alienari censemus, nisi post publicam accusationem eos constiterit fuisse conuictos. D. VIII ID. IVL. RAVENNAE EVSTATHIO ET AGRICOLA CONSS.
29 Il privato che volesse ottenere un provvedimento di assegnazione di beni fiscali doveva far comparire in giudizio il delatore come in generale previsto dalla procedura tipica della petitio. Con l’espressione « publica accusatione » si vuole probabilmente indicare la necessità che fosse intervenuta una sentenza definitiva ai fini dell’accaparramento dei beni del defunto. Il passo segue CTh X, 10, 29 che riguarda la possibilità di richiedere i beni di uiuentes quando sia intervenuta una condanna capitale [(…) CTh X, 27, 6 del resto vieta la petitio di beni appartenenti a uiuentes che non siano stati condannati in via definitiva, vede Mercogliano 1998, p. 410 nota 24 (…)]. CTh X, 10, 30, pr. è logicamente congruente perchè riguarda i beni dei deceduti: anche in tal caso sarà necessaria una condanna definitiva. L’inciso « nulli penitus satisdationi credendus» riferito alla comparizione del delatore è di difficile esegesi. Gothofredus 1665, III, p. 455, ritiene che l’imperatore Onorio ordinò che non potesse essere concessa alcuna garanzia per liberare il delatore dall’obbligo di comparire in giudizio: «Et ita quidem, iudicio sisti delatorem iubet Honorius, ut nulli penitùs satisdationi credendus sit, id est, ut ipse iudicio sese sistere debeat, nulla cautione admittenda, qua liberari ab hac exhibitione possit».
30 Come già osservato, il famoso provvedimento di Costantino contenuto in CTh X, 10, 2 infligge ai delatori una pena di morte «automatica». Fu la legislazione post-costantiniana a riammettere pur con oscillazioni e minacciandoli di gravi pene i delatori nella nuova veste di informatori di chi volesse richiedere beni vacanti al fisco, come nel nostro caso, vede Spagnuolo Vigorita 1984, p. 45 nota 8; Rivière 2002, p. 138 nota 38. Non sorprende quindi che il nome tecnico del condannato seruus poenae (seppure con la pregnante variazione mancipium) sia assegnato al delatore nel momento stesso in cui è uoluto diventare tale.
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Les entrepreneurs du coton
Innovation et développement économique (France du Nord, 1700-1830)
Mohamed Kasdi
2014
Les Houillères entre l’État, le marché et la société
Les territoires de la résilience (xviiie - xxie siècles)
Sylvie Aprile, Matthieu de Oliveira, Béatrice Touchelay et al. (dir.)
2015
Les Écoles dans la guerre
Acteurs et institutions éducatives dans les tourmentes guerrières (xviie-xxe siècles)
Jean-François Condette (dir.)
2014
Europe de papier
Projets européens au xixe siècle
Sylvie Aprile, Cristina Cassina, Philippe Darriulat et al. (dir.)
2015