3. Quando la periferia diventa centro: Trento, Sociologia e il ’68
p. 69-95
Texte intégral
Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto.
Mauro Rostagno
1. «L’Istituto dovrebbe sorgere come Università libera, aconfessionale e riconosciuta dallo Stato»1: il progetto di Sociologia
1La provincia di Trento all’inizio degli anni Sessanta è un territorio povero e periferico rispetto ai processi di modernizzazione in atto in altre, non lontane aree del Paese. È caratterizzato da un’economia prevalentemente agricola di sussistenza e da un massiccio fenomeno migratorio, avviatosi già negli ultimi decenni dell’Ottocento. La struttura sociale, in linea con quella economica, ha tratti marcatamente tradizionalisti: il ruolo di controllo e mediazione sociale della Chiesa è centrale e la Dc egemonica e territorialmente capillare, sia in termini elettorali, sia culturali. Persistono al contempo isole di cultura socialista (soprattutto di matrice battistiana) e comunista. La sindacalizzazione è quasi inesistente: nelle poche fabbriche e aziende artigiane prevale una regolazione dei rapporti improntata a un paternalismo gerarchico (Borzaga 2008), che mantiene saldo il viscerale tabù del conflitto proprio della cultura politica bianca.
2È in questo quadro che si comincia ad elaborare l’idea di fondare una facoltà di Sociologia a Trento. Un progetto tenacemente perseguito – in contrasto con l’ala destra del partito – dall’allora presidente della Provincia, Bruno Kessler. Democristiano moroteo, Kessler conosce sin dall’infanzia la povertà e quel complesso di lacerazioni sociali date dall’emigrazione massiccia della sua valle (la val di Sole). Probabilmente è anche la diretta esperienza dello stato di povertà materiale e isolamento culturale in cui versa il Trentino che contribuisce a far maturare in Kessler l’idea, senz’altro visionaria per l’epoca e il contesto (Agostini 2008). Se la provincia di Trento aveva allora il più alto livello di alfabetizzazione di base, eredità del sistema di scolarizzazione asburgico (Leoni 1991), il rapporto tra popolazione residente e numero di laureati era invece uno dei più bassi d’Italia (16/1000, pari al Veneto e più alto solo di Val d’Aosta e Basilicata: Giorgi, Mineo 2011).
3La scelta anticonvenzionale della sociologia è indicativa del bisogno di mettersi in rapporto con la crescita economica e i processi di modernizzazione che investono l’Italia. Si tratta di una disciplina allora semisconosciuta, rimasta all’ombra della istituzionalmente assai più consolidata scienza politica e delegittimata dalla tradizione idealistico-crociana, che in essa vedeva una “pseudo scienza”, fatta di “pseudo concetti” (Boato 2018). L’idea dell’università, in sé, non è nuova: sin dagli anni Cinquanta erano state avviate delle trattative con la Cattolica di Milano per l’apertura di una facoltà di Scienze forestali, che avrebbe dovuto costituirsi come sede distaccata. Un connubio perfetto tra Dc e clero e una vocazione territoriale indiscutibile, quasi un destino, per una provincia agricola e di montagna. Ma non è questo che Kessler ha in mente. Egli teme una sorta di colonizzazione e di sudditanza dalla casa madre; soprattutto, compie uno scarto politico e culturale nettissimo e vuole proprio la sociologia, questa “scienza nuova”, che gli sembra particolarmente adatta allo spirito del tempo e alle esigenze del Trentino. Le scienze sociali, con il loro approccio empirico-sperimentale, costituiscono infatti il campo ideale di formazione di una nuova generazione di operatori sociali, in grado di gestire, governare, pianificare i processi di crescita economica, consolidamento istituzionale e cambiamento socioculturale che Kessler ha in mente per il Trentino. Non a caso, il progetto universitario corre in parallelo alla scelta, sempre voluta da Kessler nel 1961, di redirigere un nuovo Piano urbanistico provinciale, nel quadro di quella «ideologia programmatoria tipica del dibattito politico culturale dei primi anni ’60» (Boato 1988, p. 3).
4Superate le resistenze della parte conservatrice della Dc e di alcune aree della chiesa, che intravedevano nel progetto inquietanti echi di marxismo, la legge provinciale istitutiva viene approvata il 31 luglio 1962, con un consigliere astenuto (Partito popolare trentino tirolese) e un voto contrario, quello dell’avvocato Canestrini, unico rappresentante del Pci (che cambierà poi posizione, divenendo un riconosciuto e stimato “amico” del movimento, a cui fornirà spesso sostegno legale)2. L’iniziale contrarietà comunista si lega principalmente all’estrema rapidità di tutto il processo, ma soprattutto ai forti timori circa una sua gestione clericale. Un timore legittimo, visti i tempi e il contesto, ma il giudizio storico ci dice che fu mal riposto: la convinzione della necessità di un’università aconfessionale è sincera in Kessler, come dimostra la sua non banale rottura con l’Università Cattolica e tutta la gestione successiva dei primi, complessi anni dell’istituto (Agostini 2008). Pesa sulla posizione del partito anche il clima politico nazionale, poiché «siamo già al governo Fanfani con l’appoggio socialista, e di lì a un anno si arriverà al centro sinistra “organico” con Moro. Il Pci aveva aperto un fronte di netta opposizione all’esperimento e Canestrini ne era interprete» (Agostini 2008, p. 121).
5L’istituto apre le sue porte già nell’autunno del 1962: gli iscritti sono 226, di cui 136 residenti in provincia, 25 nell’area di Bolzano, 65 provenienti da altre regioni (Agostini 2008, p. 137). Una prima, importante fase del progetto può dirsi conclusa, con tempi peraltro velocissimi. Tuttavia, molti e impervi sono gli ostacoli che ancora si frappongono alla piena istituzionalizzazione della facoltà: su tutti, il più urgente è l’approvazione tramite legge parlamentare del diritto del neonato istituto a conferire una laurea legalmente valida.
1.1. Una comunità di autoemarginati e competenti
6Il disegno di Kessler riposa su una contraddizione di fondo che sarà determinante negli sviluppi successivi del movimento studentesco: il Trentino, come chiarito, è all’epoca una provincia in cui le spinte all’innovazione si inseriscono in un contesto ancora povero e fortemente controllato dal partito e dalla chiesa. Si viene così a creare, con la fondazione dell’istituto, una dinamica “sviluppo-sottosviluppo” (Rutigliano, Boato, 1988), una sorta di cortocircuito tra università e città, che si trasformerà in una vera e propria deflagrazione socioculturale. In questo senso, la rivolta studentesca concorrerà a fare da acceleratore alla riorganizzazione sindacale, dando forza alle reti locali di tradizione socialista e comunista, così come ai processi di modernizzazione sociale e soggettivazione politica in senso progressista che in Trentino erano rimasti sino a quel momento stentati.
7Un altro aspetto di grande rilevanza per comprendere i successivi, esplosivi sviluppi nella storia della facoltà è che a Sociologia ci si può iscrivere anche con un diploma di istituto tecnico, che sino ad allora consentiva l’accesso alle sole facoltà di Agraria ed Economia e commercio. Una novità per l’Italia del tempo, in linea con la recente approvazione (1961) della prima “piccola liberalizzazione” degli accessi universitari per le/i diplomate/i degli istituti tecnici e di Magistero illustrata nel primo capitolo, che aveva contribuito a smussare la rigida e classista partizione del sistema formativo italiano. Si tratta di una scelta importante, che apre una storica breccia nella «fortezza classista del sistema universitario italiano» (Balestrini, Moroni 2003, p. 206), contribuendo a dare luogo a una composizione studentesca senz’altro più variegata che altrove.
8Non solo l’apertura ai non liceali, ma anche il carattere sperimentale, nuovo, istituzionalmente incerto – l’istituto non è ancora abilitato a rilasciare titoli di laurea con valore legale – determina una autoselezione degli arrivi, come ben illustra Leonardo Angelini, detto Dino, allora studente:
[…] questo muoversi verso l’ignoto aveva implicitamente selezionato un nugolo non molto ampio di studenti tosti, che poi la vita in comune aveva cementato in una rete di amicizie che le varie ideologie – di cui pure eravamo fieri portatori – scalfivano appena.3
9Sebbene si conosca poco di questo nuovo istituto, esso esercita un forte richiamo e vi si arriva con disparate, ma quasi sempre forti motivazioni:
[…] Sociologia era l’unica in tutta Italia. Quindi raccoglieva studenti che volevano studiare Scienze sociali e Sociologia in particolare e che erano motivati da questo. Posso parlare anche in prima persona: [eravamo motivati] dalla voglia di studiare per poter poi incidere sulla società, cioè studiare non solo in modo accademico, ma per poter poi diventare protagonisti di un cambiamento sociale, ritenendo che avere una competenza nelle Scienze sociali e in Sociologia in particolare fosse di aiuto. (Marco Boato, immatricolato nell’anno accademico 1963-64)
La scelta di Sociologia era già stata fatta al terzo anno delle superiori, avevo già in mente che dovevo venire qua a Trento perché era l’unica Facoltà di Sociologia che c’era. La mia scelta era stata determinata dal fatto di avere… nel ’66 era uscito un libro che si chiamava Lezioni di Sociologia di Horkheimer e Adorno, che avevo visto in vetrina a Brindisi, l’avevo comprato ed ero rimasto folgorato da questa cosa. Poi avevo letto anche i Minima moralia di Adorno e quindi ero preparato per venire a fare Sociologia. (Enzo Rutigliano, immatricolato nell’anno accademico 1968-69)
10Dalla folgorante passione sociologica di un giovanissimo Enzo Rutigliano, che rimarrà poi a Trento come docente, come altre/i di quella prima generazione, alla sociologia come “chiamata” all’impegno sociale, i percorsi e le prospettive sono quasi sempre già engagé. Un aspetto che concorrerà a determinare gli sviluppi politici che arriveranno di lì a breve, segnando una delle peculiarità più significative del movimento trentino: un carattere colto, teoricamente avanzato e orientato a una lettura sociologica originale della società di allora e dei suoi conflitti. Studenti che in una certa misura vogliono già “cambiare il mondo”, almeno un po’, spinti da forme precedenti di politicizzazione, che si legano soprattutto all’antifascismo. È in effetti l’attività antifascista «il primo banco di prova degli studenti sul piano politico» (Agostini, Giorgi, Mineo 2015, p. 135), come ricorda Mario Raffaelli, allora militante socialista:
Sorbi fu il primo […] insieme a Livia Battisti4 a iniziare le contestazioni, il 25 aprile, della messa in onore di Mussolini che veniva fatta alla chiesa di San Lorenzo e che anno dopo anno diventò un appuntamento al quale una parte dei trentini partecipava come spettatrice, ma che via via portava a scontri sempre più violenti, che erano una novità assoluta. (Agostini, Giorgi, Mineo 2015, p. 135)
11Gli equilibri trentini ricalcano quelli del resto d’Italia, quantomeno dal punto di vista delle soggettività in campo: cattolica, comunista, psiuppina, liberale, neofascista (Tolomelli, Kurz 1999) – quest’ultima a Trento non aveva rappresentanza5. I rapporti di forza propendono, diversamente rispetto ad altri atenei, per i cattolici “senza collare”, che troveranno a Trento un terreno di dialogo molto fecondo con tante/i cattolici del dissenso locali (un incontro che darà luogo a un’area politica molto attiva in tutte le principali lotte del lungo ’68).
Prima del ’68 era una fase in cui si diventava anche amici, ci si conosceva tutti ed eravamo poche centinaia, ma c’era anche una certa inevitabile concorrenza fra le diverse aree. L’area cattolica, chiamati i cani sciolti perché eravamo democristiani senza collare, non avevamo un partito. Poi c’era l’area comunista, che non era molto ampia e il leader era Corrado Brigo. E poi c’era l’area psiuppina, era in quegli anni – per due o tre anni, poi si è molto afflosciata – l’area più ampia, concorrenziale con quella di ispirazione cristiana. C’era una inevitabile concorrenzialità, perché c’erano anche le elezioni studentesche. In genere vincevamo noi dell’Intesa. (Marco Boato)
12A tale tripartizione corrispondono anche gli equilibri della rappresentanza studentesca, allora organizzata nell’Organismo rappresentativo universitario trentino (Orut), versione locale dell’Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana (Unuri), che fu l’organo degli studenti universitari dal 1948 sino al suo scioglimento, nel 1968. La componente di sinistra vede una prevalenza dello Psiup rispetto al Pci, fatto che in certo qual modo anticipa la rottura tra movimento e partito degli anni successivi e il consolidamento di quell’area di marxismo non ortodosso, internazionalista, critico verso l’Urss (il primo strappo fu l’Ungheria e il secondo, irrimediabile, Praga), che abbiamo visto svolgere una funzione fondamentale nella preparazione del ’68. Diversi studenti, compreso Mauro Rostagno, vengono da questa area e infatti a Trento si cominciano a tessere relazioni con le fabbriche del territorio già ben prima del canonico ’68: «è dal ’66, ’65 che stavamo sulla fabbrica», ricorda Dino Angelini, a cui fa eco Luigi (Gigi) Chiais «erano gli anni in cui si andava verso l’autunno caldo degli operai e l’idea che gli studenti e operai come forza, una produttiva di beni, l’altra produttiva di valori potessero veramente spingere avanti questa società si era già fatta molta strada nei nostri cuori»6.
13È già a partire da questa prima fase, così fortemente sperimentale, che va delineandosi il carattere profondamente affettivo dei legami, la coesione, il senso di far parte di un nucleo unito e solidale, a prescindere dai contrasti e dalle distanze.
Molto entusiasmo… la situazione a Trento era caratterizzata da molto entusiasmo, era molto particolare, perché come studenti da fuori noi eravamo un piccolo gruppo molto speciale nell’universo trentino e questo faceva sì che si creasse una forte coesione tra di noi. (Elena Medi)
Io ho trovato tanta, tanta solidarietà e affetto. Io li ho criticati dal punto di vista politico [successivamente, con il femminismo], però dal punto di vista umano erano stupendi, tutti. […] Quelle che erano arrivate con un po’ di soldi avevano affittato degli appartamentini, ma io che ero povera dove andavo? Ero appena arrivata a Trento e mi sentivo proprio come se fossi andata nel Sahara! Allora vado lì al bar Italia, in piazza Duomo, mi siedo con la mia valigia ed ero preoccupata. Si avvicina un ragazzo – io ho sempre avuto un bellissimo ricordo di lui, era di una famiglia molto ricca – che si siede. Sai, lì era tutta una comitiva, era tutto uno stare insieme. Io non ero abituata a questo clima, però già subito ti mettevano a tuo agio, e fa “Come ti chiami?”. “Mi chiamo Lara, e tu?”. “***. Chi sei?”. “Mi sono iscritta a Sociologia, sono matricola”. “Dove sei alloggiata?”. “Mi hanno detto che non ci sono stanze, che non le danno: è vero?”. “Guarda, c’è una stanza libera, se vuoi vieni da noi”. “Quanto costa?”. “Niente!”. Io non sapevo che pagava per me. “No, non ti preoccupare, è una stanza che abbiamo così”. (Lara Foletti)
14Il marcato carattere di “gruppo dei pari” è ovunque un tratto caratterizzante dell’esperienza del ’68 (Gabrielli 2009; Socrate 2018), ma a Trento si intensifica per via di alcune peculiarità del contesto: la già accennata dinamica “sviluppo-sottosviluppo”; il rapporto non sempre facile tra università e città, che rinsalda i legami interni; la strutturazione della facoltà come “campus” spazialmente denso nel centro storico; la forte accelerazione identitaria innescatasi con la lotta per il riconoscimento del titolo di studio, come vedremo a breve. Il tratto affettivo sarà importante per gli sviluppi del ’68, e su di esso infatti è stato scritto molto, ma la questione è stata assai meno tematizzata per quanto concerne invece gli esordi del femminismo. Eppure, la dinamica affettiva ha giocato un ruolo importante, nel favorire da subito lo sviluppo di forti legami tra donne, ma anche una certa pariteticità tra donne e uomini. Questo aspetto di confidenzialità e abbattimento precoce di alcune convenzioni di genere ha a sua volta favorito un precoce processo di soggettivazione politica femminile (Bellè 2019a), come nota Passerini (1991), definendo Trento
[…] uno dei casi più interessanti […] dove esistono fermenti di riflessione e coesione delle donne prima del ’68; si vive poi un periodo di “parità” […]. “Marianella Sclavi era come Mauro Rostagno”, dice la testimonianza di una donna (sebbene l’autobiografia di Marianella per certi versi smentisca) […]. Il carattere di gruppo di pari, così forte a Trento e Torino, per fare due esempi principali, è, secondo alcune testimonianze, meno accentuato a Milano e Roma, città dove il movimento è definito più maschilista. (Passerini 1991, p. 148)
15Un nuovo modo di stare insieme tra ragazze e ragazzi che è anche, indissolubilmente, ricerca intellettuale al di fuori delle convenzioni e tensione politica verso un altrove o, come avrebbero detto molti anni più tardi i nipoti di quella rivolta, verso “un altro mondo possibile”, come racconta Marianella Sclavi, studentessa di allora:
Già da tempo coltivavo con amore e con cura una fantasia che, prima o poi, avrei reso realizzabile. Era la fantasia di una comunità di amici, impegnati nei più diversi campi di lavoro, il cui unico requisito comune doveva essere l’atteggiamento beffardo, di estraneità nei riguardi del “potere”. […] La composizione del gruppo cambiava e aumentava a seconda dei miei incontri ed esperienze, ferme restando due caratteristiche: dovevano essere competenti ed autoemarginati. (Sclavi 1981, p. 76)
2. Lottare per una laurea: la sociologia come vocazione
16Il neonato istituto, una volta aperte le sue porte sul mondo, si trova alle prese con il riconoscimento giuridico del corso di laurea, passaggio legale imprescindibile che chiama in causa il Parlamento. E infatti nel dicembre 1962 viene depositato il primo disegno di legge in materia, a firma del senatore trentino Angelo Mott7. L’iter della proposta si conclude però in maniera infruttuosa, con la fine della III legislatura, nel maggio 1963.
17Già in questa prima fase della trattativa parlamentare si delinea uno scenario politico irto di asperità. Nel contesto dell’Italia di allora la sociologia rappresenta una disciplina scomoda, non soltanto per il peso della tradizione idealistico-crociana, ma anche per una questione di equilibri interni al sistema universitario. L’arrivo di una libera università e di una nuova disciplina spariglia i giochi di un ambiente «al contempo potente e rigido» (Agostini 2008, p. 41), invadendo il campo fino ad allora esclusivo di altre facoltà, Scienze politiche in primis, ma non solo. Inoltre, la proposta trentina non incontra il favore del ministro competente Gui8, che in quel periodo lavora a un progetto di generale riassetto accademico – urgente e ancora inevaso nella transizione democratica – e non vede dunque di buon occhio la proliferazione di iniziative sparse. L’idea non raccoglie neppure l’appoggio di comunisti, laici e socialisti, che temono, come già accennato, una possibile deriva confessionale dell’ateneo trentino (Agostini 2008), vista l’egemonia democristiana del contesto locale.
18Con la successiva legislatura9, nel febbraio 1964 viene depositata una nuova proposta, sempre a firma di un senatore trentino, Paolo Berlanda10. In questa seconda fase le sorti dell’impresa si complicano ulteriormente, poiché il d.d.l. entra in concorrenza con un progetto di riforma della facoltà di Scienze politiche elaborato proprio in quello stesso periodo. La proposta, nota come “Maranini-Miglio”, dal nome di due dei suoi ideatori (allora presidi rispettivamente della facoltà di Scienze politiche di Firenze e della Cattolica), viene peraltro elaborata in accordo con il ministro Gui e ha come finalità la presa di distanza della scienza politica tanto dai legami istituzionali con il regime fascista, quanto dal solco della giurisprudenza11. Un terzo e più generale obiettivo, che influisce negativamente sul caso trentino, era che «le facoltà di Scienze politiche e sociali [venissero] abilitate a rilasciare, alternativamente o congiuntamente, due tipi di laurea e cioè la laurea di Scienze politiche, o la laurea di Scienze sociali»12. L’approvazione della “Maranini-Miglio” avrebbe dunque condotto, di fatto, al riassorbimento disciplinare della sociologia nell’alveo delle scienze politiche e sociali, determinando la sconfitta del «“singolare” approccio trentino alle scienze sociali – fortemente permeato di etica sociale» (Giorgi, Mineo 2011, p. 159). Nello stesso periodo, il ministro deposita inoltre la sua proposta di generale riforma del sistema scolastico e universitario13, nella quale accoglie l’idea di un’integrazione della sociologia nell’ambito delle scienze politiche e sociali.
19Il primo esito di questi sfavorevoli equilibri emerge dall’approvazione al Senato, in data 18 maggio 1965, del disegno di legge presentato da Berlanda, con il cambio di denominazione da laurea in sociologia a laurea in scienze sociali a indirizzo sociologico, proprio grazie a un emendamento proposto dallo stesso Gui.
20La notizia ha ovviamente un effetto deflagrante a Trento. Mario Volpato, direttore dell’istituto, riceve le dimissioni della giunta dell’Orut, in segno di protesta. Probabilmente nel tentativo di stemperare il clima, a un’assemblea degli studenti tenutasi nel maggio 1965 Volpato promette la costituzione, a riconoscimento giuridico avvenuto, di una commissione paritetica studenti-docenti con potere decisionale in merito alla definizione dello statuto e del piano di studi. Una promessa che avrà le sue conseguenze, come vedremo a breve.
21Le/gli studenti non accettano il compromesso e, riunitisi in assemblea – modalità inedita nel contesto della politica universitaria, ancora regolata dalle associazioni di rappresentanza studentesca – il 24 gennaio 1966 decidono di occupare la sede, rivendicando come titolo di studio finale la laurea in sociologia e non in scienze politiche. L’occupazione, una delle prime in Italia, dura 18 giorni ed è contrassegnata da interessanti dinamiche interne. Innanzitutto, la rappresentanza istituzionale degli studenti è attivamente coinvolta nella decisione di occupare, come si evince dalla testimonianza di Angelini: «la cosa più rilevante fu la consuetudine, nata proprio in quei giorni – e poi mai più abbandonata – di usare l’assemblea come luogo in cui si prendevano le decisioni»14. Si avvia così un interessante processo di ibridazione tra protocolli della rappresentanza e forme di assemblearismo, a ulteriore conferma del carattere processuale e incrementale del movimento trentino, identificato comunemente con l’anno simbolico 1968, ma a esso precedente.
22Si tratta di un’occupazione non solo corporativa, ma per certi versi già politica, seppure in accezione lata ed eminentemente culturale.
E noi studenti, arrivati a Trento un po’ da tutta Italia […] venivamo non per frequentare una facoltà di Scienze politiche […]. Avevamo scelto Sociologia per il suo carattere innovativo rispetto alla tradizione accademica italiana. Quindi si trattava veramente di uno scontro scientifico, culturale e anche politico, ma di una politicità forte. (Boato 2011, p. 447)
23Inoltre, per meglio comprendere le successive dinamiche conflittuali tra città e università, è importante tenere presente come questa prima protesta sia accolta con favore dall’area kessleriana della Dc, dalla dirigenza dell’istituto, così come dalla cittadinanza, che simpatizza con gli/le occupanti portando viveri, vettovaglie e sottoscrizioni.
24La lotta per il riconoscimento del titolo di laurea non utilizza solo gli strumenti della protesta, ma si compone anche di un sapiente lavoro di pressione politica, che viene portato avanti, come ovvio, dalla cerchia di Kessler, ma anche dagli studenti stessi.
Nel corso dell’occupazione facemmo varie delegazioni che andarono a Roma. Io in particolare con un altro studente di allora, Ivano Spano […] andammo a Firenze a parlare con Tristano Codignola15. Lui era il padrone della casa editrice La Nuova Italia, ma soprattutto era il responsabile scuola del Partito Socialista, quindi un partito di governo. E poi andammo a Roma a parlare con alcuni iniziali ambienti sensibili alle tematiche sociologiche, uno per tutti il Censis16, che era appena nato all’epoca. Parlammo anche con un cattolico delle Acli che poi divenne socialista: Gennaro Acquaviva17, che era sensibile a queste tematiche. […] Un’altra spedizione durante quell’occupazione andò invece, da parte dei nostri amici e compagni dell’Ugi [Unione goliardica italiana], a parlare soprattutto coi comunisti, per cercare di convincerli a passare dall’opposizione al voto favorevole a Sociologia e non a Scienze Politiche. E riuscimmo a convincere il Pci. (Marco Boato)
25Nel frattempo, Kessler e la dirigenza dell’istituto moltiplicano i loro sforzi per mutare gli sfavorevoli equilibri politici. Una rete di azione alacre, che darà presto i suoi frutti. Socialisti e comunisti, rassicurati circa la laicità sostanziale del progetto, cambiano il loro iniziale orientamento negativo; il Pci si accorge poi che i fermenti studenteschi possono aprire interessanti e propizie dinamiche; si avvia infine un do ut des con i socialisti rispetto ad alcuni interessi specifici (su tutti, l’istituzione di una facoltà di Scienze economiche e bancarie a Siena). Si giunge così, finalmente, all’approvazione della legge 8 giugno 1966, n. 432. L’Istituto superiore di scienze sociali di Trento è legalmente riconosciuto e abilitato a rilasciare il titolo di laurea in sociologia: una svolta importante per la città di Trento, ma anche per i successivi sviluppi delle scienze sociali in Italia.
3. Lottare per un’idea: per una sociologia critica e un’università antiautoritaria
26La fine del tormentato percorso di riconoscimento giuridico inaugura una nuova fase: l’istituto deve ora dotarsi di tutti quegli elementi organizzativi formali che l’approvazione della legge impone. Si comincia così a lavorare all’elaborazione dello statuto e del piano di studi, ma la dirigenza sembra improvvisamente essersi scordata della promessa fatta dal direttore Volpato agli studenti: un coinvolgimento pieno nel processo, mediante l’istituzione di una commissione paritetica. La risposta non tarda ad arrivare: il 20 giugno 1966 l’Orut nomina una commissione composta da Marco Boato, Luigi Chiais e Mauro Rostagno. La critica del movimento si articola su tre livelli: il mancato coinvolgimento nei processi decisionali; l’impostazione scientifica fortemente sbilanciata sugli elementi matematico-statistici rispetto a quelli storico-critici; la conseguente costruzione di una figura professionale, quella del sociologo-ingegnere, funzionale a un’acquiescente gestione del sistema.
27La riflessione prodotta in quella fase si condensa in particolare in due scritti, le Osservazioni circa lo statuto e il piano di studi nella diversa elaborazione della direzione dell’Istituto e della commissione studentesca e il Bilancio della seconda occupazione18. Nel primo dei due documenti il Movimento studentesco trentino (in sigla Mst) mette in luce la rilevanza della dimensione storica e storiografica per la formazione professionale del sociologo e la necessità di attuare un programma accademico che sappia integrare tale prospettiva, indispensabile alla formazione di uno sguardo sociologico critico. La critica chiama in causa l’«eredità storica che mantiene pervicacemente distinti e separati il mondo della cultura umanistica e della cultura tecnica» (Movimento studentesco 1968, p. 12), vale a dire quella stessa tradizione idealistico-crociana che tanta parte aveva avuto nel frenare lo sviluppo del dibattito sociologico in Italia, ponendo seriamente in forse l’esistenza della facoltà. In linea con il rifiuto di ogni dicotomia idealistica, questo posizionamento scientifico è anche pienamente politico, giacché il rischio individuato dal Mst è la «produzione sistematica di sociologi ridotti a “tecno-burocrati”» (ivi, p. 10). Nel Bilancio della seconda occupazione si rivendica il ruolo del «sociologo come scienziato sociale, come operatore sociale, come ricercatore sociale» (ivi, p. 1), così come «la sociologia come scienza in senso pieno e, appunto in quanto tale, come scienza critica» e non come «tecnica operativa […] mero strumento atto a qualsiasi utilizzazione, destinato ad avere funzione sociale irrilevante quando non ad essere arma di dominio e di oppressione razionalizzata» (ivi, p. 7).
28La critica culturale e quella politica chiamano in causa una terza dimensione, quella sindacale e antiautoritaria, che esige un ruolo paritetico e pienamente attivo degli studenti all’interno del sistema universitario. Nelle Osservazioni circa lo statuto e il piano di studi si critica lo «spirito antidemocratico e, più precisamente, paternalistico» (ivi, p. 12) della direzione dell’istituto. Il mancato coinvolgimento nella pianificazione di quella nuova impresa non costituisce solo una promessa infranta, ma anche e soprattutto il segno di una visione dell’università come «fabbrica della conoscenza» (ibid.), improntata alla gerarchia e al dualismo anche dal punto di vista della gestione interna.
29A fronte di una situazione di opposizione frontale tra la direzione, con in testa Volpato, intenzionato a non recedere dalla posizione, e il movimento, Kessler decide di fare riferimento alla rete costruita durante la fase lobbystico-politica dell’approvazione parlamentare. Prende avvio un carteggio con Tristano Codignola, che a sua volta sottopone le osservazioni degli studenti a Norberto Bobbio, Alessandro Pizzorno e Paolo Sylos Labini. Pizzorno giudica «in gran parte reali» (Giorgi, Mineo 2011, p. 176) le osservazioni degli studenti, ritenendo però che sia possibile addivenire a una conciliazione tra le due parti in conflitto. Bobbio suggerisce di accogliere parte delle richieste studentesche, in modo da ridurre «l’impressione di aridità» (ivi, p. 177) che promanava dal programma ufficiale. Egli ritiene inoltre valida la proposta studentesca di superare il vecchio sistema dei corsi e degli esami, in favore di una didattica di tipo seminariale che avviasse a una trasformazione in senso laboratoriale dell’istituto.
30Mentre Kessler, preoccupato per le sorti pratiche e il respiro scientifico del progetto, cerca una sintesi, lo scontro con la direzione si inasprisce: Marco Boato, rappresentante dell’Intesa, viene espulso dal collegio maschile di Villa Tambosi. Una delegazione studentesca incontra a Milano lo stesso Pizzorno, vicino al movimento, e si concorda con lui l’organizzazione in facoltà di un convegno dedicato al piano di studi, allo scopo di costituire un comitato misto direzione-studenti-docenti esterni, che avrebbe dovuto confrontare i due piani di studi e giungere a una sintesi. Contestualmente, l’occupazione avrebbe dovuto concludersi. Ma un evento catastrofico e imprevisto scombina i piani: nella notte tra il 5 e il 6 novembre il fiume Adige tracima dai suoi argini, inondando una buona parte di Trento e diverse zone della provincia. Il Mst, indebolito e posto ormai in una situazione politicamente molto difficile, decide di chiudere l’occupazione e portare il suo aiuto alla città, proprio come i più noti “angeli del fango”, in quegli stessi giorni impegnati a Firenze. Una solidarietà emblematica delle ambivalenze del tempo: in conflitto aperto con la società dei padri, ma al contempo appassionatamente dentro le cose del mondo.
31Nel mentre si tiene a Milano (19 dicembre) la riunione del Collegio commissariale, che approva lo statuto e il piano di studi. Nonostante una parte delle osservazioni del Mst venga accolta, gli equilibri tra il corpo studentesco e i docenti che avevano gestito quel primo, densissimo quinquennio di vita dell’istituto sono ormai irrimediabilmente alterati.
4. Dall’università al mondo: 1967-68
32Terminata la seconda occupazione si apre il 1967, anno dirimente, nel quale una serie di istanze e tensioni ancora in nuce prendono forma, costruendo progressivamente l’ossatura ideologica e di pratica politica del ’68, inteso come punto culminante della fase. Una delle principali iniziative è la settimana del Vietnam, organizzata dagli/lle studenti dal 12 al 17 marzo: sit-in in centro città, volantinaggi, documentari, conferenze con relatori giunti da fuori (tra cui Lelio Basso), nonché uno sciopero politico di due giorni in università contro la guerra e l’imperialismo statunitense. Si tratta di un passaggio importante, perché segna una prima, forte proiezione del Mst verso un orizzonte politico esterno alla dinamica universitaria, e una più stretta connessione con il carattere globale della rivolta. Proprio in occasione di una affollata assemblea sul tema, Volpato fa entrare la polizia in facoltà e ordina lo sgombero: le e gli studenti vengono sollevati di peso e trascinati via, fotografati e schedati. Il conflitto con la direzione è ormai aperto e il movimento sperimenta per la prima volta la repressione istituzionale:
Era la prima volta che succedeva dal dopoguerra che un rettore – un direttore, in questo caso – chiamasse la polizia per entrare in università, tra l’altro per una cosa pacifica, una proiezione di un filmato con dibattito, una roba da cineforum, per intenderci. Le foto ci sono: la polizia e i carabinieri portano fuori uno per uno gli studenti, devo dire in modo pacifico e non violento, molto pacifico per l’epoca… Un’altra epoca, prima di piazza Fontana. Anche la polizia… si vedono scene tranquille di persone portate fuori di peso con resistenza non violenta. Però questa cosa ha un’eco a livello nazionale. (Marco Boato)
33Il clima sta cambiando, sebbene le modalità di gestione dell’ordine pubblico rimangano ancora piuttosto distese. Il punto di rottura, e su questo vi è una netta consonanza di opinioni nelle interviste, sarà in tal senso piazza Fontana, inizio della strategia della tensione, di un definitivo cambio di passo nelle modalità di gestione statuale del conflitto, perdita dell’innocenza per un’intera generazione (proprio come, molti anni più tardi, sarà Genova nel 2001 per la mia generazione e per quel ciclo di proteste).
34Un’altra significativa esperienza per il passaggio del Mst “dall’interno all’esterno”, è il Movimento per un’università negativa, il cui principale animatore fu Renato Curcio19, ex cristiano-democratico, ormai vicino all’area dei marxisti, affiancato per un certo periodo da Mauro Rostagno20, spesso definito come il leader del movimento trentino. La riflessione dell’Università negativa prosegue e radicalizza le considerazioni già elaborate nel corso della prima occupazione circa il ruolo della sociologia – disciplina critica versus strumento tecnico-burocratico di gestione – ampliandole all’università nel suo insieme. Vi si denuncia, e colpisce questa intuizione anticipatrice, «l’imbecillità tecnologica come condizione intellettuale» (Balestrini, Moroni 2003, p. 213) e la robotizzazione degli individui come comportamento sociale diffuso. Numerosi sono i riferimenti ai vecchi classici – gli immancabili Marx, Lenin e Mao – ma anche a classici nuovi, punti di riferimento intellettuali del periodo – Marcuse, Malcom X, Ortega y Gasset, don Milani (Lettere a una professoressa esce proprio nel maggio di quell’anno), gli scritti del movimento studentesco di Berkeley, tradotti dallo stesso Curcio (Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 235).
35Un tassello importante di questa pur fugace esperienza è l’organizzazione dei cosiddetti controcorsi, pratica di studio e discussione alternativa che verrà poi ripresa durante la terza occupazione, quella del 1968. Si consolida un tratto del movimento trentino che abbiamo visto delinearsi già con la prima occupazione, ovvero la spinta al pensiero, allo studio, all’elaborazione teorica:
Poi a Trento devo dire che si leggeva tanto, si studiava tanto, gente colta. […] A Trento se tu non avevi letto certi libri ti guardavano come se fossi una merda. Io ho poi sentito grande mancanza di questo, perché sai, uno arrivava e “è uscito l’articolo di Marcuse, è uscito l’articolo dei Quaderni piacentini, è uscito un articolo di qua…”. Cioè: tutti andavamo a guardarlo. Qualche volta io non li ho letti ma insomma, non sono conformista e se non mi interessava non me ne fregava niente. Però è stato positivo questo, questo ha formato un gruppo e una classe di gente colta. (Leslie Leonelli)
36La cultura è vissuta sia come elemento propedeutico all’attività politica, da essa inscindibile, sia come vera e propria spinta alla formazione di una precisa identità di gruppo. Una pressione intellettuale forte, rispetto alla quale le giovani donne di sociologia mostrano un’attitudine ambivalente: da un lato ammirazione e voglia d’imparare ma, dall’altro, una spinta critica, non priva di una certa ironia verso l’esibizione della cultura come viatico per ottenere riconoscimento nel gruppo dei pari, dinamica a sua volta associata all’esercizio di virilità, seppure secondo canoni meno convenzionali.
37Si infittiscono i contatti tra Mst e fabbriche e la conflittualità studentesca fa da volano a quella sindacale: a seguito di «lotte operaie inedite per qualità e compattezza» (Schmid 2008, p. 31), durante l’anno vengono firmati sessanta accordi aziendali e il nuovo contratto del commercio, che fanno saltare il blocco dei salari voluto dagli industriali, preparando il terreno per il cosiddetto autunno caldo del 1969.
38A luglio si festeggiano le prime lauree, quelle dei/lle “pionieri/e” dell’istituto e, con l’inizio del nuovo anno accademico, la popolazione studentesca aumenta e cambia: 700 nuove iscrizioni, che portano a 2000 il numero complessivo degli/lle studenti e che allargano il primo nucleo, estremamente coeso, cementato dalla comune “scommessa sociologica”. L’arrivo delle matricole non segna una battuta d’arresto nella conflittualità: a novembre il Mst organizza un mese di “stato di agitazione”, impedendo di fatto l’avvio stesso delle attività accademiche. Nel frattempo, si occupa in molte altre università, tra cui Palazzo Campana a Torino, Bari, Venezia, Pisa, Napoli… A dicembre, per un solo ma significativo giorno, cade persino la Cattolica di Milano: tanti i fuochi di rivolta, in Italia, in Europa, nel mondo, ormai prossimi a toccare il proprio culmine con l’anno successivo, il fatidico 1968.
4.1. L’occupazione più lunga
39Uno scontro in aula fra lo studente Augusto Bloise e il direttore Volpato, ancora sul ruolo della matematica nella formazione sociologica, fa scattare la scintilla decisiva, in una situazione, come abbiamo visto, già molto elettrica. In un’assemblea convocata a seguito dello scontro, conclusasi alle tre e mezza della notte del 1° febbraio, con 254 voti a favore, 7 contrari e 12 astenuti si decide per la terza occupazione della facoltà, la più lunga della sua storia e una delle più lunghe d’Italia: dal 31 gennaio al 7 aprile. Il salto da un’azione parasindacale a una pienamente politica è da subito evidente e la riflessione ruota attorno a una nuova centralità del problema del potere, e quindi di una strategia politica che superi le precedenti impostazioni “sindacali”. Compare per la prima volta la parola d’ordine “potere studentesco”, che caratterizzerà la nuova linea del movimento a livello nazionale (Movimento studentesco 1968). Le istanze sono riassumibili in quattro punti principali: lotta all’autoritarismo accademico e sviluppo del “potere studentesco”, la contestazione al d.d.l. 2314 (la proposta di riforma universitaria di Gui), l’organizzazione politica delle lotte studentesche e la stesura di una carta rivendicativa del movimento (Movimento studentesco 1968).
40Il confronto assembleare, progressivamente sempre più centrale rispetto ai tradizionali canali della rappresentanza universitaria, diviene la modalità di confronto principale, segnando una definitiva rottura con il vecchio modo di intendere non solo l’università, ma anche le forme della democrazia tradizionale. La direzione politica è discussa in assemblea, che rimane il fulcro di tutta l’attività, ma è affiancata da tre strumenti di lavoro più agili: i gruppi di lavoro politico (lotte studentesche, autoritarismo, diritto allo studio); i seminari collettivi autogestiti (figura sociale del sociologo, Università e provincia di Trento, imperialismo, società e repressione); le commissioni (stampa, esteri, studenti medi, studenti lavoratori, fabbriche).
41Questa terza occupazione, che può essere interpretata come la fine del ciclo di politicizzazione cominciato con il 1966, segna la transizione definitiva verso lo spirito del tempo, in un contesto ormai incendiato, tanto in Italia, quanto in Europa. Un importante tratto che va consolidandosi e che avrà una fondamentale importanza per tutti gli sviluppi successivi (anche femministi) è la riflessione antiautoritaria:
Quell’occupazione lì, però, è importante, […] è iniziato l’antiautoritarismo. E quella è una filosofia ampia che si è radicata molto, che ha preso mille versanti […] non riguardava più solo gli studenti, si è diffuso dappertutto. Tutti volevano rompere la gabbia autoritaria che c’era dappertutto. (Silvia Motta in Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 140)
42Un altro aspetto distintivo è l’intensificazione della vita culturale, con un significativo allargamento di prospettive: si passa dai temi più classici, come la critica al capitalismo, lo studio della condizione operaia, la critica del sistema formativo come ingranaggio funzionale alla riproduzione al sistema, a temi meno battuti, allora emergenti, quali l’antipsichiatria e il situazionismo.
Io facevo parte di questo gruppetto che si riferiva all’Internazionale Situazionista, che era un movimento molto libertario e molto elitario, per la verità, dal punto di vista culturale. […] Il libro di Guy Debord, La società dello spettacolo è il situazionismo. Noi ci rifacevamo a questo gruppo qui che aveva una rivista che si chiamava appunto “Internazionale Situazionista” – che noi abbiamo in facoltà, perché abbiamo tutti i numeri – ed era un gruppo internazionale fatto in gran parte di artisti, molto colto e molto libertario che aveva avuto un ruolo importante nel Maggio francese. Noi qui eravamo quattro o cinque. (Enzo Rutigliano)
Poi c’erano tutti gli atteggiamenti, da quelli sessuali a quelli politici. I ragazzi, quasi tutti, erano in rotta con la famiglia. C’erano dei fratelli che avevano attaccato in bacheca questo telegramma: “Tornate immediatamente, papà”. Glielo aveva spedito il padre, saputo che loro stavano facendo l’occupazione. Poveretto, era sbeffeggiato! (Leslie Leonelli)
43Infine, la terza occupazione segna la rottura definitiva, anch’essa antiautoritaria, con schemi, controllo sociale e limiti posti dai rigidi modelli educativi degli anni Cinquanta. Il cambiamento ha un moto di accelerazione e al contempo di radicalizzazione, ben visibile anche da aspetti formali, ma senz’altro indicativi, quali l’abbigliamento, che è infatti un elemento narrativo ricorrente21. Vi sono poi rotture più interiori, tra loro peraltro connesse, relative alla famiglia e alla sessualità. L’abbattimento di questi ultimi, potenti tabù, è un passaggio probabilmente non privo di intime complessità, che infatti viene spesso accompagnato – ed esorcizzato – da una dissacrante ironia, altro tratto caratteristico della fase.
44In quel periodo si verifica anche una contestazione interna al corpo studentesco, articolata in due momenti: il 1° marzo 1968 viene diffuso un documento di adesione al “Movimento di non occupazione”, a firma di un “gruppo studenti non occupanti” a cui segue, il 23 marzo, una “Carta delle proposte”, sottoscritta da 263 studenti del “Gruppo degli studenti trentini indipendenti” e presentata al comitato ordinatore. L’iniziativa, animata tra gli altri da un giovane Renzo Gubert, che diventerà poi docente presso la facoltà e dirigente della Dc, ha come principale obiettivo la ripresa della didattica e delle regolari sessioni di esami (tra i firmatari sono molti i non frequentanti che si recavano in facoltà per sostenere gli esami), a cui si accompagna l’accusa di scarsa democraticità dell’assemblea rispetto alla totalità del corpo studentesco. Le firme raccolte non hanno però una grande ricaduta – su questo i ricordi sono abbastanza omogenei – anche a detta dello stesso Gubert, che si sente rispondere da Kessler: «Ma la forza politica non è di queste firme, è di chi occupa» (Gubert in Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 144).
45Da un punto di vista strettamente accademico, l’occupazione coincide con una lunga trattativa con la dirigenza dell’istituto, che condurrà all’avvio di un’esperienza del tutto peculiare nel panorama italiano: l’Università critica, in parte ispirata alla Kritische Universität di Berlino (il movimento studentesco trentino ebbe in quei primi anni stretti rapporti con l’area tedesca, soprattutto berlinese). L’esperimento è guidato da Francesco Alberoni, chiamato dal 1° novembre a sostituire Volpato come nuova figura di mediazione tra dirigenza e movimento. L’arrivo di Alberoni è contestuale a un rinnovamento gestionale: si insedia il nuovo Comitato ordinatore, composto da Marcello Boldrini, Norberto Bobbio e Beniamino Andreatta. Continua il ricambio del corpo studentesco – alle quasi mille matricole dell’anno accademico 1967-68 si aggiungono le millecinquecento dell’anno successivo – a cui si accompagna quello dei docenti: dei cinquantaquattro professori, assistenti e collaboratori del 1967-68 l’anno successivo ne rimangono solo trenta, mentre saranno ventuno i nuovi docenti e diciotto i nuovi assistenti (tra cui Chiara Saraceno). Si tratta di una netta cesura rispetto alla gestione di Volpato e al dominio statistico-matematico dei primi anni (legato all’influenza dell’ateneo di Padova). Si va costituendo un corpo docente più giovane, spesso vicino agli ambienti del cattolicesimo progressista, con punti di riferimento accademici diversi, Bologna e la Cattolica di Milano, e un respiro complessivamente più orientato al metodo storico-sociale (Agostini, Giorgi, Mineo 2014).
46La cogestione di Alberoni, che si protrae sino al 3 marzo 1970, è ricordata in maniera positiva dagli allora studenti, sebbene con sfumature diverse22 ed è stata definita «un unicum assoluto non solo nella storia trentina, ma anche in quella dell’Università italiana […] di gestione della dialettica universitaria, sia sul piano scientifico-culturale che su quello istituzionale» (Boato 2018, p. 288). Alberoni cavalca l’onda del ’68 e, per certi versi, la scavalca a sinistra, pacificando e, astutamente, privando il movimento di ragioni per confliggere. Una fase su cui è complesso, oltre che di scarso interesse, dare un giudizio univoco, ma che senz’altro corona felicemente quel periodo di serrate lotte per un altro modo di vivere il rapporto con la conoscenza e il sistema universitario:
Io mi ricordo Alberoni: era arrivato con la Spider, aveva anche due figli. Quindi lui cosa faceva? Arrivava da Milano, portava i ragazzini a casa nostra, in questo casino [la comune in cui abitava] – tanto c’era sempre qualcuno – e nel frattempo però ci portava anche prosciutti, salami, eccetera. (Giovanna Pompili)
47Un breve “stato di grazia”, nel quale le istanze antiautoritarie e l’approccio di critica sociale del movimento vengono parzialmente incorporati nella gestione ufficiale (non senza resistenze e contestazioni), dando luogo a un fugace esperimento di ateneo libertario, dove il direttore arriva in Spider, con il suo carico di prosciutti e ragazzini, per cenare con le/gli studenti alla comune.
4.2. «In venti giorni, grazie al rapporto con il Movimento studentesco, abbiamo fatto più progressi che negli ultimi vent’anni»23
48Il 1968 segna anche un nuovo passo politico del movimento, che diventa più compiutamente e programmaticamente proiettato verso l’esterno. Trento conferma il proprio ruolo di primo piano nella rete delle occupazioni italiane, ospitando un convegno nazionale di “quadri” politici provenienti da varie sedi universitarie italiane, svoltosi nella facoltà occupata il 6 febbraio. Ma è soprattutto verso la città e il territorio che il Mst si apre, attraverso linee di elaborazione e intervento diverse. In primo luogo, comincia a svilupparsi in tutta la provincia un movimento delle/gli studenti medi, anch’essi parte del vasto processo di politicizzazione del periodo. I canali di collaborazione politica tra facoltà e scuole superiori sono ormai attivati da tempo: le/i medi partecipano alle assemblee di Sociologia, viene data reciproca solidarietà e appoggio alle rispettive manifestazioni. Soprattutto, diverse/i neolaureate/i del movimento si trovano a insegnare nelle scuole come supplenti, contribuendo a decisivi salti esistenziali, che li fanno ricordare con intensità a cinquant’anni di distanza:
[…] alle scuole medie poi, ecco, un altro colpo di fortuna: ho avuto degli insegnanti – e lì è stato il salto, anche – di avere due insegnanti che venivano da Sociologia di Trento. Un’altra impostazione, era un’altra cosa. E lì questi veramente hanno aperto altre finestre per me. […] La mia preferita sicuramente si chiamava Marianella Pirzio Biroli [a cui si è successivamente aggiunto il cognome Sclavi]. E lei è stata, per me, proprio la luce, diciamo, che ci spingeva… E lei ci ha fatto fare un tema, e naturalmente noi abbiamo scritto quello che pensavamo. E io ero già un po’ politicizzata, però lei, mi ricordo, ha detto, “Va bene però informati meglio, perché non è tutto come sembra”. (Annamaria)
49Un passaggio cruciale nel farsi del complesso rapporto tra Mst e città, anche per via della fortissima conflittualità scatenata, è l’ormai celebre “Controquaresimale”. Nel Duomo di Trento, proprio a due passi dalla facoltà occupata, il francescano Iginio Sbalchiero tiene diarie prediche quaresimali, non senza una certa veemenza conservatrice. Il giorno 26 di marzo Paolo Sorbi, studente del movimento di area cristiano-democratica, seduto tra le file dei fedeli, interrompe il frate, provando a ribattere. Non può però procedere oltre, perché un gruppo di fedeli lo trascina fuori dalla chiesa senza troppi complimenti. La notizia desta una fortissima impressione in città: ne parlano i giornali, i partiti, gli esponenti politici, tutti. Davanti al Duomo si radunano gruppi di persone, non solo studenti di Sociologia, per discutere del significato dell’azione che Sorbi così motiva:
Interrompendo la predica del quaresimale ho voluto dare testimonianza come oggi sia impossibile continuare con tali prediche che niente hanno di evangelico e che continuano a tradire il messaggio liberatore del Concilio Vaticano II. (Schmid 2008, p. 72)
50La contestazione – ispirata dall’analogo gesto di Rudi Dutschke alla Gedächtniskirche di Berlino – viene ripetuta per altre tre volte (27, 28, 29 marzo), coinvolgendo un numero via via più ampio di ragazzi. Quando padre Sbalchiero inizia il quaresimale, gli studenti si alzano in piedi e, in silenzio, escono dalla chiesa, per poi riunirsi sul sagrato e leggere testi di don Milani, padre Balducci, Arturo Paoli.
51Il quarto giorno una controreazione di cattolici conservatori aspetta al varco le/i contestatori. Così si legge nella cronaca del quotidiano locale “Alto Adige”:
Cattolici di destra e di sinistra si sono azzuffati, alternando lanci di pomodori e sassi alle discussioni sul Concilio. Oltre mille persone hanno preso parte a questa sconcertante veglia di fede che è stata sul punto di degenerare in un assalto alla Facoltà di sociologia ancora occupata. (ivi, p. 74)
52Il giorno successivo, la facoltà è nuovamente presa d’assedio da una folla inferocita e presidiata dalla polizia. Una situazione di tensione altissima che dura per ore, dal primo pomeriggio sino a notte inoltrata. Gli assedianti, molti giunti appositamente dalle valli, vengono caricati più volte dalla polizia che, fatto inedito e unico (il clima è ancora quello, relativamente innocente e senz’altro più felice, che precede la strage di piazza Fontana) si trova a difendere i sociologi. Un’azione su cui i giudizi si dividono24, spesso valutata come un imprudente strappo, in un contesto già parzialmente teso. Tuttavia, la lettura non è né semplice, né univoca:
E “L’Adige” [quotidiano locale] […] era il quotidiano della Democrazia Cristiana, diretto da Flaminio Piccoli. Era un quotidiano di partito all’epoca, mentre l’“Alto Adige” era il quotidiano laico, e infatti aveva una certa simpatia per il movimento studentesco. “L’Adige” scatenò giorno dopo giorno la vandea contro gli studenti che profanavano il Duomo… ma non l’avevano profanato. Ma fu una cosa di giorni, e questo provocò una marea di gente, proprio una marea, di cittadini di Trento che arrivarono alla sera dopo il lavoro a contestare gli studenti, ma non per l’occupazione che era in corso da quasi due mesi, ma per il Controquaresimale. […] Tu vedi le foto di questi cordoni di polizia e carabinieri, che siamo stati abituati a vedere negli anni precedenti contro di noi e negli anni successivi altrettanto, a fare cordone per difendere la facoltà occupata dall’assalto inferocito dei cittadini di Trento aizzati – perché se no non l’avrebbero fatto – da “L’Adige”, che all’epoca aveva sede di fronte alla facoltà. […] Democristiani, prevalentemente. Però io per molti anni, poi, ho trovato gente che ha simpatizzato con Lotta continua e con il movimento e che mi ha detto “E pensare che io allora ero lì ad assediarvi”. (Marco Boato)
53La prospettiva interna di uno dei “quadri” del movimento mette in luce una trama più complessa, in cui Flaminio Piccoli, direttore del più conservatore dei due quotidiani locali, dirigente della destra democristiana (i dorotei), da sempre rivale di Kessler e contrario al progetto di Sociologia, soffia sapientemente sul fuoco. Gli ingredienti sono quelli, ancora oggi classici, della costruzione del nemico: un ruolo dell’informazione compiacente, che esaspera i conflitti, l’uso sapiente del rancore sociale e delle paure, la mobilitazione di pezzi di società civile di destra e/o conservatori, accompagnati da qualche cane sciolto («poi ho trovato gente che ha simpatizzato con Lotta continua»). La dinamica successiva conferma l’importanza di evitare letture dicotomizzanti, pur rispetto a un episodio certamente forte e divisivo: se il vescovo Gottardi, nonostante l’orientamento progressista, sconfessa il gesto, colpevole di interrompere la liturgia sacra (limite invalicabile della critica), una prima lettera ai giornali a firma di alcuni studenti medi e una successiva lettera di centocinquanta cattolici del dissenso solidarizza con la contestazione (si uniranno poi l’ordine dei giuristi, degli architetti e note figure dell’ambientalismo). Questa interpretazione è confermata dall’incontro tra studenti di formazione cattolica e locale cattolicesimo progressista, che sarà generativo di una lunga storia politica:
E poi anche a Trento io sono entrata subito nella comunità di don Clauser25, che era quello di San Pietro. […] era un gruppo in cui c’erano anche alcuni cattolici dell’università. Lui non era il cappellano dell’università però, che era don Rauzi. E quindi ho partecipato, non dico per tanto, ma per un po’, almeno cinque o sei mesi, a queste attività. Tant’è vero che ricordo che nel Natale del ’68 noi facemmo tutti questi enormi cartelloni, in cui disegnavamo un panettone e una bottiglia di champagne, trasformandole in una chiesa con il campanile, per protestare contro il Natale consumista. (Giovanna Pompili)
54Le significative aperture della gerarchia ecclesiastica si accompagnano a una vera e propria fioritura dell’impegno sociale cattolico a sinistra. La comunità di san Pietro di don Dante Clauser, il cui straordinario lavoro sui temi della povertà e della marginalità sociale continuerà nei decenni a seguire; don Rauzi, cappellano di facoltà schierato in tutte le lotte della sinistra (che lascerà poi i voti e diventerà docente proprio presso la facoltà di Sociologia); la Pastorale del lavoro con i suoi “preti operai” sono tutti esempi di esperienze nate i quegli anni, che avranno grande importanza per la società civile trentina.
55Si va ormai consolidando un fronte di sinistra e antiautoritario che lega la facoltà a diversi poli di attivismo. All’interno di questo processo di tessitura la componente senz’altro più importante è quella dell’alleanza studenti-operai che a Trento, come accennato, era stata costruita pazientemente, con primi contatti in fabbrica risalenti già al 1965. All’interno di un contesto padronale autoritario e gerarchico, con sullo sfondo una Dc politicamente incontrastata e la tradizione socialcomunista isolata e sorvegliata nelle fabbriche (Schmid 2008; Uct 1991b), la capacità di incidere sulle condizioni di lavoro da parte dei sindacati è minima. La crescita del movimento studentesco, le sue parole d’ordine egualitarie, antiautoritarie, radicali, dà forza al conflitto in fabbrica, che pure andava preannunciandosi in un quadro di sviluppo industriale della provincia e con l’arrivo di una nuova generazione di operai, culturalmente meno lontani dall’ipotesi del conflitto e meno condizionati dal dover mantenere la famiglia, com’era stato per la precedente generazione di operai-contadini del duro dopoguerra trentino. Nel mondo del lavoro si sente cambiare il clima e, anche grazie alla lungimiranza politica di alcune figure sindacali, si comincia ad alzare la testa: si moltiplicano le vertenze, gli scioperi, i picchetti davanti alle fabbriche. Si lotta non solo per migliori condizioni di lavoro e contrattuali, ma per portare i diritti di cittadinanza dentro i luoghi della produzione, per ridare dignità a un lavoro parcellizzato, violentemente tayloristico, annichilente (Uct 1991b). Il Mst è sempre presente: partecipa alle assemblee, picchetta, fornisce forza lavoro gratuita alla Fiom Cgil; polemizza, anche, contrapponendo una linea invariabilmente più radicale di quella, più orientata agli obiettivi, degli operai e del sindacato. Eppure la dialettica politica, anche quando è più dura, viene sempre ricordata come alta e costruttiva proprio dai dirigenti sindacali che guidarono quel ciclo di lotte26.
56Moltissime sono le vertenze che si aprono già in quell’anno. Su tutte, per sintesi, ricorderò quella della fabbrica più grande della città, la Michelin: nata nel 1927 per produrre pneumatici «è l’industria simbolo del Trentino, un pezzo di storia sociale di Trento e, con oltre millecinquecento dipendenti, anche la più significativa» (Schmid 2008, p. 88). La fabbrica è gestita con autoritarismo padronale assoluto, le condizioni di lavoro sono durissime (caldo, polveri, ritmi già pesanti in via di intensificazione, aumento della produttività a salari invariati) e una gerarchia interna di capi e sottocapi sorveglia e impedisce ogni attività sindacale, isolando i pochi lavoratori che si espongono, con metodi che oggi non esiteremmo a definire di mobbing estremo. Il sindacato inizia una vertenza difficile, a cui i vertici dell’azienda reagiscono con durezza. La mattina del 25 maggio al picchetto di operai e studenti davanti ai cancelli la presenza delle forze dell’ordine è spropositata: per la prima volta si schierano con la polizia alcune centinaia di carabinieri del battaglione mobile di Laives e della scuola alpina di Moena. Con un futile pretesto, la polizia carica con violenza. Il picchetto è stretto in una sorta di tonnara: manganelli e calci di moschetto piovono da ogni lato e Mattei della Fim viene ferito al volto. Che non ci sia “scappato il morto” sembra quasi un miracolo. Il messaggio politico non lascia spazio a fraintendimenti: gli ordini dall’alto sono quelli di impartire una lezione agli insorti e l’operazione è preordinata, giacché in contemporanea scatta un attacco anche al picchetto davanti a un’altra fabbrica cittadina, la Nones. La violenza istituzionale dimostra chiaramente che la locale Dc non ha intenzione di assumersi alcuna responsabilità di gestione dei processi di sviluppo industriale, né intende riconoscere legittimità politica alle rivendicazioni sindacali. L’episodio, nella sua brutalità, segna un punto di rottura e di svolta (che accelera peraltro la costruzione dell’unità sindacale).
57In risposta ai gravi fatti avvenuti, viene proclamato lo sciopero generale per il 29 maggio. Quel giorno si svolge a Trento la più imponente manifestazione operaia mai vista: diecimila persone, tra lavoratrici/tori, cittadine/i, studenti del movimento e studenti medi. Nemmeno l’ombra della polizia, in un corteo maestoso e composto in cui si fa eco al Maggio francese, cantando la “Marsigliese”. Sul palco di piazza Battisti salgono, insieme, studenti e tute blu. Prendono la parola, tra gli altri, Sandro Schmid (Fiom): «Questa manifestazione racconta i fatti e il significato dell’unità con gli studenti», e Mauro Rostagno: «A scuola ci hanno insegnato a imparare a memoria e ad ubbidire perché domani, noi obbedienti, serviremo i padroni o, abituati a obbedire, impareremo subito a comandare» (Schmid 2008, p. 112). Chiude Giuseppe Mattei (Fim): «Questa di oggi è una di quelle giornate da non dimenticare, perché dimostra che la classe operaia è forte, unita e in grado di resistere a ogni pressione» (ibid.); e: «In venti giorni, grazie al rapporto con il Movimento studentesco, abbiamo fatto più progressi che negli ultimi vent’anni» (Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 333). Il tempo è ormai maturo per l’autunno caldo del 1969, l’anno del movimento operaio.
5. «Tutto questo si è perduto naturalmente, ma non poteva durare»: un impossibile commiato
[…] Le mie motivazioni erano le motivazioni di tutti quelli che partecipavano al movimento: l’idea di una società migliore di quella in cui vivevamo noi. Ma soprattutto, per quanto riguarda me e i primi anni del movimento, il problema era cambiare l’università. Cosa che qui appunto avvenne, soprattutto grazie ad Alberoni e a questo gruppo di docenti che arrivarono proprio con questo intento – utopico, in qualche modo – di creare un’università critica, che durò però l’espace d’un matin, perché durò appunto quanto il movimento. Quando il movimento si dissolse e quindi si crearono queste aree, questi gruppi… il processo di gruppuscolarizzazione del movimento… (Enzo Rutigliano)
Dal ’70 in poi, e soprattutto dal 12 dicembre del ’69, piazza Fontana, la strategia della tensione e le vicende che ne seguiranno portano di fatto al venire meno. […] quando l’Università critica fallisce come obiettivo, tutti assieme si esce di nuovo nelle fabbriche. Lo scontro tra gli oggettivisti, che erano per stare a studiare le teorie sociologiche, e i soggettivisti, che prevalentemente volevano stare a contatto con il mondo operaio, con i conflitti sociali e con le lotte che si stavano manifestando in tutta Italia. (Vincenzo Calì)
58Siamo ormai al termine della nostra ricostruzione del ’68 trentino: è tempo di prendere commiato da questa comunità di «autoemarginati e competenti» (Sclavi 1981), così casuale eppure necessaria da essere divenuta nel tempo un oggetto quasi archetipico della contestazione italiana; spesso mortificata da narrazioni contese tra celebrazione e denigrazione, polarità altrettanto mummificanti di una vicenda invece densa, multiforme, non riconducibile a semplificazioni, nel suo essere punto di svolta storico e biografico, individuale e collettivo.
59Le testimonianze da me raccolte, così come la letteratura (Agostini, Giorgi, Mineo 2014; Boato 2018) concordano nell’individuare, a partire dal 1969-70, un cambio di passo, preludio al passaggio di fase politica degli anni Settanta. Sul piano nazionale, la bomba alla Banca dell’Agricoltura del 12 dicembre27 si conferma come evento spartiacque, che segna un netto cambio di atmosfera e scenario: comincia la strategia della tensione e si comprende subito che il prezzo da pagare per “continuare la lotta” sarà assai più alto del previsto.
60Sul piano locale due mi sembrano essere gli eventi determinanti a segnare il cambiamento e l’ingresso nel nuovo decennio. Da una parte, finisce l’esperienza dell’Università critica, un esperimento forse troppo ardito per durare, nella sua precaria capacità di muoversi in equilibrio tra movimento e istituzione. In una sorta di «eterogenesi dei fini» (Agostini, Giorni, Mineo 2014, p. 170) il progetto, nato per ricomporre le tensioni, finisce per produrre un allontanamento politico del corpo studentesco. Si avvia un acceso dibattito interno al Mst, che divide “soggettivisti” e “oggettivisti”, ovvero sostenitori della necessità di continuare la mobilitazione sul terreno accademico o, viceversa, di proiettarsi definitivamente verso l’esterno, lavorando in particolare sul conflitto operaio (come per le dinamiche nazionali, prevarrà anche a Trento quest’ultima posizione). D’altra parte, e in stretta correlazione con tale scelta, si avvia un processo di “gruppuscolarizzazione” che, a Trento come altrove, dà avvio all’esperienza composita della nuova sinistra, o sinistra extraparlamentare.
[…] a Trento cominciano ad arrivare studenti da tutta Italia che non hanno ahimè – adesso, senza generalizzare perché sarebbe ingiusto – la formazione che avevano i primi che sono venuti un po’ all’avventura e hanno rischiato. Dopo venivano perché Trento era già famosa in Italia come la facoltà della contestazione. Quindi non venivano per studiare ma per far parte del movimento. Mica che fosse un reato eh, poi molti di questi hanno fatto la loro strada… Ma quando c’è stato il boom delle iscrizioni questo ha un po’ fatto degenerare la situazione. Tanto è vero che purtroppo – a me non è piaciuto allora, mi sono opposto – per un anno addirittura hanno chiuso le iscrizioni, nel ’70-’71, e l’anno dopo hanno fatto il numero chiuso: 600, che non era pochissimo, ma hanno fatto il numero chiuso a Sociologia. (Marco Boato)
61Nel passaggio agli anni Settanta si esaurisce una delle dimensioni più peculiari e feconde del caso trentino, vale a dire lo stretto rapporto tra posizionamento scientifico-intellettuale e politica: l’essere arrivate/i a Trento mossi da una spinta anche e non secondariamente intellettuale; l’aver attraversato la contestazione sempre da sociologhe/gi, utilizzando categorie sociologiche per leggere i fenomeni politici; l’essersi misurati con il sistema accademico non solo per rivendicare una formazione universitaria antiautoritaria, ma anche per difendere una concezione critica della sociologia e del mestiere sociologico, nella fase cruciale di prima istituzionalizzazione della disciplina.
Naturalmente tutta la nostra vita intellettuale, affettiva e relazionale era tutta all’interno della facoltà, tra di noi. Tra di noi e anche con i docenti, con cui c’era un rapporto molto paritetico: ci si vedeva insieme, si mangiava insieme e cose così. Tutto questo si è perduto naturalmente, ma non poteva durare, perché il movimento era un movimento collettivo e i movimenti collettivi hanno una loro vicenda, che finisce. (Enzo Rutigliano)
62Vi è chi identifica questo passaggio, questa “perdita di originalità” già da prima, con il 1967, che infatti è l’“anno del Vietnam” e dell’internazionalizzazione della prospettiva di contestazione:
La politica, che era rimasta un po’ fuori campo, riprende campo. E quindi la politica ha poi dei contrassegni, dei marchi, delle parole cardinali di riconoscimento, per cui ecco che si cominciano a formare più dei gruppi dentro il processo; dei gruppi che istituiscono confini, che istituiscono delle eresie, che istituiscono dei tabù, che istituiscono dei premi per chi si muove in una certa direzione, e inizia – diciamo così – una deriva… A Trento, parlo di Trento, perché dopo il ’67 a Trento inizia un percorso che assomiglia molto a un processo nazionale, ma che fa perdere l’originalità. (Renato Curcio in Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 221)
63Un’altra peculiarità forte del caso trentino che va esaurendosi con le partenze di quella prima generazione è relativa ai legami affettivi e alla vita comunitaria («si cominciano a formare gruppi che istituiscono confini, eresie, tabù, premi»). Delle condizioni di contesto che hanno facilitato tale dinamica intensamente “affettiva” si è già detto; quello che preme qui evidenziare è l’effetto concreto, profondamente inscritto nei percorsi personali, che tale dinamica ebbe. In linea con la letteratura storica, che descrive il ’68 come esperienza fondativa per chi vi prese parte (Passerini 1988; Bravo 2008; Socrate 2018), i racconti tratteggiano, pur nelle differenze e senza toni celebrativi, una sorta di unicum storico-sociale, che richiama alcuni tratti di un’esperienza solitamente non associata alla politica: l’innamoramento. Uno stato eccezionale dell’essere, per cui il tempo accelera e si dilata, la vita si alleggerisce e si intensifica al contempo, trasformando un periodo relativamente breve in un’esperienza fondamentale per la definizione di sé. Un tempo senza tempo, una ungarettiana “grazia felice” che fatica a trovare il modo di raccontarsi, come tutte le grandi passioni che, per lo spazio di un mattino, si addentrano in modi della convivenza umana segnati da slanci d’utopia:
La qualità sottile, la qualità preziosa non può essere raccontata dalle ultime file, non può essere raccontata dalle file di mezzo, non può essere raccontata neanche dalla prima fila, e quelli che potrebbero raccontarla, cioè quelli che l’hanno vissuta, perché quella è stata la loro vita, guarda caso non la raccontano […] perché come ha detto Peter28 ci manca la parola, la parola non c’è per quella cosa lì. (Mauro Rostagno)29
Notes de bas de page
1 Discorso di Bruno Kessler in Consiglio provinciale, seduta del 15 febbraio 1962, in Agostini 2008, p. 9.
2 Sandro Canestrini (1922-2019), membro della Resistenza, avvocato, figura molto stimata della sinistra trentina, cresce nell’alveo di una specifica tradizione politica locale, legata a Battisti e Pischel, che già ai primi del secolo si oppongono all’idea di un’università con sede a Trento, ritenendo che il risultato sarebbe stato quello di un ateneo clericale. Essi opposero allora come alternativa Trieste (il loro slogan era appunto « O Trieste o nulla» ; Agostini 2005, p. 106).
3 Testimonianza disponibile on line http://reggiofa.com/?p=2376 [ultima consultazione 20.06.2020].
4 Livia Battisti (1907-78), figlia dell’irredentista Cesare Battisti e Ernesta Bittanti. Laureata in medicina a Firenze, trascorre la maggior parte della sua vita a Trento, dove insegna scienze naturali e biologia. Negli anni Trenta collabora col fratello Gigino (Luigi) ad attività antifasciste e nel 1943 espatria in Svizzera. Rientrata a Trento, fonda la Lega dei donatori di sangue gratuito per i malati poveri, intitolata al partigiano Mario Pasi e a Cesare Battisti. Si dedica con passione all’attivismo politico in partiti di sinistra (Psi, Pci). Diventa consigliera comunale a Trento nel 1964. La vedremo collaborare con il movimento femminista locale, soprattutto in relazione a un processo per aborto che vide imputare 263 donne, il “caso Zorzi”, che affronteremo nel cap. 5.
5 Prima dell’avvento del movimento i parlamentini universitari erano l’unica forma di rappresentanza politica del corpo studentesco, spazzati via dal ’68. La rappresentanza universitaria era divisa in tre sigle principali : l’Unione goliardica italiana (Ugi), originariamente di orientamento laico e repubblicano, era diventata nel tempo l’associazione studentesca di sinistra, cui facevano riferimento studenti di orientamento socialista, comunista, ma anche vicini allo Psiup. Il Gruppo democratico intesa universitaria trentina (Gdiut), denominato convenzionalmente “Intesa”, raccoglieva gli/le studenti di orientamento cristiano democratico. Vi era poi l’Associazione goliardica italiana (Agi), che nasce nel 1958 come dissidenza liberale a seguito della svolta a sinistra dell’Ugi. Vi era anche un’associazione di estrema destra, il Fronte Universitario di Azione Nazionale (Fuan), che a Trento non aveva rappresentanza. Nell’anno accademico 1964-65 le elezioni universitarie a Trento avevano assegnato il 56,6 % dei seggi all’Intesa, il 21,1 % all’Ugi e il 21 % all’Agi (Agostini 2008).
6 Interviste in Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 36.
7 D.d.l. n. 2348, “Norme generali sull’Istituto superiore di scienze sociali di Trento”.
8 Luigi Gui (1914-2010), partigiano, membro della Dc, fu eletto deputato della Costituente e ricoprì poi diversi incarichi di governo tra il 1954 e il 1976. Fu ministro dell’Istruzione dal 12 febbraio 1962 al 28 giugno 1968.
9 La IV, maggio 1963 - giugno 1968.
10 D.d.l. n. 387, “Norme generali sull’Istituto di scienze sociali di Trento”.
11 L’istituzionalizzazione della scienza politica come disciplina accademica avvenne durante il fascismo, soprattutto a opera di Sergio Pannunzio, professore di filosofia del diritto, che convinse Mussolini della rilevanza della disciplina come nuovo curricolo di formazione, alternativo alla giurisprudenza, per una nuova classe dirigente fascista. Nel 1924 il corso di laurea in Scienze politiche venne istituito per legge, ma in molti casi rimase un indirizzo interno alle varie facoltà di Giurisprudenza allora esistenti. Considerate queste origini, ben si comprende la necessità di una cesura e di un nuovo inizio, intellettuale, politico e organizzativo, per una disciplina che, proprio come il Paese, cercava la sua transizione dal fascismo alla democrazia.
12 Estratto del verbale della seduta di discussione sulla riforma della facoltà di Scienze politiche, tenutasi presso la facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, su iniziativa della Fondazione Olivetti, in data 1° dicembre 1963, alla presenza di Norberto Bobbio, Giovanni Sartori, Giuseppe Maranini e Gianfranco Miglio. Per un approfondimento si veda il capitolo quarto del volume Sociologia a Trento (Agostini 2008).
13 D.d.l. n. 2314, “Modifiche all’ordinamento universitario”.
14 Testimonianza disponibile on line http://reggiofa.com/?p=2376 [ultima consultazione 21.06.2020].
15 Tristano Codignola (1913-81), liberalsocialista, tra i fondatori del Partito d’Azione, fu deputato della Costituente e poi della Camera durante la III e IV legislatura (1958-68), eletto tra le fila del Psi. Titolare della casa editrice La Nuova Italia e referente del Psi per la scuola e l’università, fu tra i maggiori artefici della riforma della scuola media unica del 1962.
16 Il Centro studi investimenti sociali fu fondato nel 1964, sulla spinta delle ampie e crescenti necessità di raccolta dati, analisi empirica, lettura dei fenomeni socioeconomici del Paese.
17 Gennaro Acquaviva (1935-), cattolico democratico, ebbe un ruolo di primo piano nelle Acli e, più genericamente, nell’area del cattolicesimo democratico. Nel 1969 fonderà il Movimento politico dei lavoratori, con l’obiettivo di dare rappresentanza partitica all’area del cattolicesimo progressista e in dissenso verso la Dc. Nel 1972 l’esperienza confluirà nel Psi.
18 Pubblicato da Laterza nel volume Documenti della rivolta universitaria nel 1968.
19 Renato Curcio (1941- ), dopo l’esperienza del Movimento studentesco fonda nel 1969 il Collettivo politico metropolitano e successivamente le Brigate rosse. Viene incarcerato nel 1974 a seguito dell’omicidio di due militanti del Movimento sociale italiano, di cui è accusato di aver rivendicato il gesto ed esserne mandante. Evade dal carcere e dopo un periodo di latitanza viene nuovamente arrestato. Viene scarcerato dopo circa 25 anni di reclusione. Fonda una cooperativa sociale ed editoriale, “Sensibili alle Foglie”, e attualmente si dedica alla ricerca sociale.
20 Mauro Rostagno (1942-88) è noto come uno dei leader delle mobilitazioni studentesche a Trento. Nel 1969 è tra i fondatori di Lotta continua. Dopo la laurea in sociologia si reca in India e l’esperienza lo porterà a fondare a Lenzi (Trapani) la comunità Saman, che si occupa soprattutto del recupero di persone tossicodipendenti. Lavora come giornalista di denuncia e viene ucciso a Lenzi per mano della mafia.
21 Si veda su questo Socrate 2018.
22 Si vedano in proposito le interviste in Agostini, Giorgi, Mineo 2014.
23 Intervento di Giuseppe Mattei, segretario della Fim Cisl, tenuto in occasione della manifestazione conclusiva dello sciopero generale dei metalmeccanici a Trento, in data 12 maggio 1968 (Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 333).
24 Si veda Agostini, Giorgi, Mineo 2014, p. 144 e sgg.
25 Don Dante Clauser (1923-2013), divenuto nel 1964 parroco della centrale chiesa di San Pietro, a Trento, è stata una delle figure di spicco del cattolicesimo neoconciliare trentino. Dopo un’esperienza come “prete di strada” a Torino torna a Trento dove fonda, nel 1979, il Punto d’incontro, mensa e luogo di accoglienza per persone in difficoltà, tuttora attiva. Nel 1982 è tra i fondatori, insieme a Luigi Ciotti e ad altri sacerdoti, del Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza. Dedicherà il resto della sua vita al contrasto della povertà e dell’esclusione sociale.
26 Mi riferisco in particolare a Giuseppe Mattei (1926-2002), della Fim Cisl, figura storica del sindacato trentino, molto amato dagli operai e a Sandro Schmid, allora giovane e vulcanico dirigente della Fiom Cgil. Mattei e Schmid guidarono lotte dure e cruciali per il rinnovamento delle relazioni industriali locali e furono i principali artefici della successiva esperienza della Federazione dei lavoratori metalmeccanici, sindacato unitario che in Trentino ebbe una storia particolarmente vivace. Entrambi dovettero peraltro superare diverse resistenze nei rispettivi sindacati per gli sforzi profusi alla realizzazione dell’unità sindacale metalmeccanica.
27 All’attentato di piazza Fontana si aggiungono, è opportuno ricordarlo per dare conto dell’aspetto strategico, altre tre esplosioni a Roma e il rinvenimento di un ordigno inesploso, sempre a Milano, nella vicina piazza della Scala.
28 Peter Schneider (Lubecca, 1940- ), studente tedesco militante del movimento presso la Freie Universität di Berlino, a lungo in visita a Trento in quel periodo, ha dedicato alla propria esperienza nel movimento il racconto del 1973 Lenz (Agostini, Giorgi, Mineo 2014).
29 Discorso tenuto da Mauro Rostagno in occasione del convegno “A Trento vent’anni dopo”, tenutosi presso la facoltà di Sociologia in occasione del ventennale del ’68, di cui alcune parti filmate sono disponibili on line https://www.youtube.com/watch ?v =IyOvMIjY2ro&t =1523s : [ultima consultazione 30.09.2020].

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