La gestione delle acque a Locri Epizefiri
Criticità e soluzioni, dalle origini alla conquista romana
p. 87-108
Résumés
Les explorations récentes de l’Université de Turin sur plusieurs secteurs du site de Locres Épizéphyrienne ont montré qu’à partir des premières phases d’occupation la polis dut faire face à d’importants flux d’eau provenant des vallons en amont de l’habitat. Au cours du VIe siècle av. J.-C., afin de mettre la partie centrale de la cité à l’abri de ces risques et pour contrôler le passage des eaux du Vallone Milligri, des structures imposantes furent construites, en relation avec le plan d’urbanisme per strigas. Des aménagements analogues furent par ailleurs réalisés en d’autres parties de la cité. Ce système intégré de contrôle des eaux semble avoir été en fonction jusqu’au début du IVe siècle av. J.-C., quand il fut restructuré radicalement, notamment pour ce qui concerne le débit des canalisations. En coïncidence avec les événements de la deuxième guerre punique, ce système complexe d’aménagements hydrauliques fut complètement transformé et sacrifié en partie aux nécessités défensives de la polis.
The recent investigations conducted by the University of Turin in various areas of the ancient city of Lokroi Epizephyrioi show that, starting from the first phases of occupation, the polis was obliged to cope with the presence of huge quantities of water coming from the hills upstream of the domestic area. In order to protect the central part of the city against these risks, imposing structures were built to control the passage of the waters of the Vallone Milligri during the 6th century BC. These structures are related to the urban plan per strigas, and similar installations are known in other parts of the ancient city as well. This integrated system was probably in use till the beginning of the 4th century BC, when it was radically modified, with significant changes especially in the flow rate of the canals. During the 2nd Punic war, this system of water management was radically transformed and partly obliterated due to defensive needs.
Texte intégral
1Negli ultimi anni le esplorazioni sul terreno a Locri Epizefiri hanno impresso un nuovo impulso all’esame del rapporto tra la città e l’acqua, sotto molteplici aspetti.1 In particolare, le campagne di scavo condotte in regime di concessione tra il 2010 e il 2015 – e successive – hanno permesso di mettere in luce, nel settore immediatamente a mare della masseria ottocentesca detta Casino Macrì, una serie di nuove testimonianze connesse alla gestione e alla regimazione delle acque meteoriche,2 e di riconsiderare apprestamenti già noti.
Il settore collinare della città
2Fin dalle prime esplorazioni, alcuni tratti peculiari della forma e dell’organizzazione planimetrica della città hanno permesso di riconoscere uno stretto rapporto con le caratteristiche orografiche e idrografiche dell’area prescelta dai coloni.
3Già al tempo delle ricerche condotte da Paolo Orsi, lo sviluppo del circuito murario risultò in tal senso emblematico (Fig. 1)3: lunghi tratti rettilinei si sviluppano nella parte pianeggiante della città, mentre nel settore a monte le mura assumono un andamento articolato che segue la morfologia dei rilievi, disponendosi per lo più lungo il ciglio delle alture e inglobando i sistemi collinari più avanzati. Peculiare è poi l’andamento assunto proprio nel tratto a monte, dove le mura si dispongono sul fondo dei due profondi valloni che separano i colli di Castellace e Abbadessa a sud, e di Abbadessa e Mannella a nord (Fig. 1,1 - 2).
4Così li descriveva Orsi, segnando il loro ingresso nella bibliografia archeologica:
“Gli alti colli Castellacce, Abbadessa e Mannella, muniti tutti di opere non vaste ma poderose, in gran parte oggi distrutte, costituivano i perni della difesa frontale di Locri verso la montagna. Tra l’uno e l’altro di essi corrono angusti valloni, profondamente incassati, che s’insinuano nella città, aprendosi poi a mare.4”
5Fin da queste prime osservazioni, Orsi individuava il fondamentale ruolo di queste imponenti strutture in relazione alla gestione delle acque:
“Ma oltre che di opere militari, anche di opere idrauliche furono muniti questi valloni, perché un altro pericoloso e costante nemico delle città erano le alluvioni. Per l’integrità di Locri era suprema necessità, regolare e disciplinare il deflusso delle acque dei torrentelli, calmi la maggior parte dell’anno, ma impetuosissimi e minacciosi durante le lunghe piogge autunnali.”
6In particolare, a proposito del vallone settentrionale, dove la cinta muraria è strettamente connessa alle possenti opere di terrazzamento e di perimetrazione del Persephoneion, così prosegue la descrizione:
“[…] appunto nell’angusto defilé fra Castellacce e Mannella diciannove anni or sono il Petersen, lo Stefani ed io avevamo notato ragguardevoli avanzi di muraglioni, appoggiati al declive della Mannella, ed uno sbarramento, che doveva essere porta d’ingresso e ponte ad un tempo, servendo il gretto del torrente da strada in tempo di magra e siccità, di canale idrico in tempo di piena.”
7La pianta edita (Fig. 2) documenta chiaramente la situazione, così come immagini scattate all’epoca (Fig. 3, a sinistra). In questo punto il varco risulta largo quasi 10 m, e foderato su entrambi i lati da strutture in blocchi di calcarenite arenacea e di calcare, conservate in elevato fino a sette assise.
8Su un’analoga sistemazione posta nel vallone adiacente,5 Orsi ritornava qualche anno dopo:
“[…] ho voluto in quest’anno devolvere una non indifferente somma al consolidamento del magnifico rudere, che si trova dentro il profondo vallone del Melligri, opera di sbarramento idraulico - militare, e sostegno contro le dilavazioni del monte. Ad un trattamento analogo sottoposi i ruderi idraulico - militari del vallone Abbadessa,6 i quali, senza questi urgenti provvedimenti, sarebbero andati irremissibilmente perduti.7”
9Più a valle di questo sbarramento, sempre lungo il vallone Milligri, è una struttura di contenimento già nota ad Orsi (Fig. 3, a destra); un più recente intervento di pulitura e rilievo è infatti segnalato all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso per
“imponenti strutture in blocchi di arenaria situate in una stretta gola del vallone Milligri […], rettificata artificialmente per assicurare uno scorrimento regolare, anche in caso di piena, alle acque del vallone Milligri, il quale attraversa l’intera area urbana di Locri e ancor oggi talvolta dilaga con forza nella fascia pianeggiante, in cui sta la parte più densamente occupata dell’abitato antico. Con potenti muri in struttura isodoma di blocchi disposti alternativamente per testa e per taglio si rivestirono le pareti della strettoia lasciando per le acque un passaggio a baionetta, largo poco più di 2 metri, che ne frenava l’impeto in caso di piena. Questa imponente struttura, conservata fino a 8 assise di elevato, svolge oggi la sua funzione di regolamentazione idraulica…8”
10Queste attestazioni costituiscono un’evidente prova del fatto che i Locresi impararono a convivere con la minaccia rappresentata dalle ingenti quantità di acqua che si venivano a raccogliere alle spalle dell’area pianeggiante, in particolare nei valloni ai piedi dei rilievi che delimitavano l’area urbana verso l’entroterra; trascinando verso mare grandi masse di detriti, queste erano causa dell’erosione dei fianchi collinari prevalentemente composti da depositi ghiaiosi incoerenti. Le strutture descritte avevano appunto la funzione di limitare il pericolo di fenomeni alluvionali, facilitare il monitoraggio del regime dei corsi d’acqua, inglobare il passaggio di questi ultimi all’interno del percorso delle mura, nonché contenere i pendii, limitando al tempo stesso i fenomeni franosi e l’erosione.
Il settore pianeggiante della città
11In effetti, il confronto tra i dati editi e le recenti scoperte permette di delineare l’esistenza di un articolato sistema realizzato sia per ridurre tali minacce, con l’allontanamento di parte del flusso delle acque dall’abitato, sia al fine di gestire e controllare questa presenza incombente nei tratti interni attraverso robusti apprestamenti.
Le evidenze note
12La prima soluzione – vale a dire quella di portare le acque meteoriche all’esterno dei limiti della città – appare adottata in particolare per le fasce perimetrali. Infatti, per quanto riguarda il settore meridionale,9 le acque che si raccoglievano ai piedi dell’altura di Castellace (Fig. 1,3) erano regimate e portate al di fuori della città immediatamente ad est della porta meridionale posta all’altezza della plateia pedemontana (Fig. 1,4), il cui percorso è conservato in modo approssimativo dalla moderna ‘strada del Dromo’.10 Circa 8 m a mare della grande torre orientale della porta è noto infatti un varco largo circa 4 m con stipiti in calcare, fiancheggiato da due strutture in blocchi di calcarenite locale disposti di testa, approssimativamente parallele (Fig. 4): l’andamento obliquo rispetto al profilo esterno delle mura permette di identificare in questo apprestamento un canale per la fuoriuscita delle acque dall’area dell’abitato; l’orientamento indica la volontà di allontanare il flusso dalla cortina per evitare fenomeni di erosione e danneggiamento delle fondazioni. La consunzione dei blocchi della soglia, causata dal prolungato scorrere dell’acqua, e il riconoscimento delle tracce dell’alloggiamento di una chiusura mobile costituiscono un’ulteriore conferma di tale identificazione.
Fig. 1 – Locri Epizefiri. Pianta schematica dell’assetto idrografico (C=Castellace; A=Abbadessa; M=Mannella).

13Una soluzione analoga è ipotizzata anche per la fascia settentrionale, destinata ad intercettare il flusso che si convogliava nel conoide del vallone Saitta - Abbadessa (Fig. 1,12), posto tra le alture di Abbadessa e Mannella; in questo caso, infatti, le acque venivano fatte uscire attraverso il circuito murario in regione Caruso, prima di raggiungere il settore pianeggiante (Fig. 1,13), e comunque dovevano alimentare almeno in parte un corso d’acqua esterno al perimetro della città, che nel tratto pianeggiante correva a poche decine di metri dal tratto delle mura settentrionali.11 In questo caso la ricostruzione non ha il conforto di rinvenimenti strutturali – come in quello precedente –, ma è suffragata dall’analisi della conformazione del terreno e dalla presenza accertata del paleoalveo del torrente Lucifero, che in origine correva immediatamente all’esterno delle mura settentrionali e – nel tratto terminale – costeggiava il muro di temenos del Thesmophorion (Fig. 1,14). Proprio alla presenza di questo passaggio di acque sarebbe da imputare l’anomalo andamento obliquo del tratto settentrionale della cinta muraria, caratterizzato da un orientamento divergente rispetto all’impianto urbanistico (Costamagna, Sabbione 1990: 185; Sabbione 2010: 320).
14Peraltro, risulta assai probabile che il flusso delle acque meteoriche in questa’area della città non fosse completamente proiettato all’esterno dell’abitato. In questo senso depone la scoperta, avvenuta alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, di un imponente canale nel tratto settentrionale della fronte marina delle mura (Fig. 1,11; Fig. 5,a; Barra Bagnasco 2000: 16 - 22, Fig. 3 - 14; Bouffier 2013: 133 - 134). Immediatamente a nord del varco carraio della porta ‘portuense’, gli scavi condotti da Marcella Barra Bagnasco misero infatti in luce un ampio passaggio occupato da una possente platea in blocchi di calcare (4 × 5,50 m), con stipiti anch’essi in calcare, diviso al centro da una spina in blocchi. Anche in questo caso le profonde corrosioni delle superfici testimoniano il passaggio d’imponenti masse di acqua, prolungatosi dall’età arcaica fino al periodo ellenistico.12
Fig. 2 Locri Epizefiri. Vallone Saitta-Abbadessa, planimetria: area santuariale e strutture di terrazzamento e di regimazione (da Orsi 1909).

Fig. 3 – Locri Epizefiri. Strutture di terrazzamento e regimazione delle acque: a sinistra) vallone Saitta-Abbadessa; a destra) vallone Milligri (da Costamagna, Sabbione 1990).

Fig. 4 – Locri Epizefiri. Porta meridionale lungo l’asse della strada del Dromo, planimetria: apprestamento idraulico (da Costamagna, Sabbione 1990).

Fig. 5 – Locri Epizefiri. Porta ‘portuense’, planimetria e schizzo assonometrico: a) assetto in età arcaica; b) assetto nel IV sec. a.C. (da Barra Bagnasco 2000).

Fig. 6 – Locri Epizefiri. Localizzazione delle aree indagate dall’Università di Torino (2010-2015).

15Tuttavia, la conformazione del territorio urbano mostra come fossero soprattutto le acque convogliate dal vallone Milligri ad essere destinate ad attraversare l’intera città (Fig. 1,6): alimentato anche dai rivoli originatisi dalle piccole gole dei pendii collinari, questo flusso dovette dunque rappresentare per tutto il periodo di vita dell’abitato una presenza vincolante e minacciosa, che necessitava di un controllo costante.13
Testimonianze dagli scavi recenti: l’assetto in età arcaica
16Il quadro documentario relativo al sistema idraulico nell’area interna al circuito murario si è significativamente arricchito in seguito alle ricerche condotte dalla missione archeologica dell’Ateneo torinese a partire dal 2010, nella parte centrale del settore pianeggiante della città (Fig. 1,7; Fig. 6).14 Queste indagini hanno infatti rivelato chiare tracce di apprestamenti finalizzati al controllo del passaggio delle acque provenienti dal vallone Milligri.
Fig. 7 – Locri Epizefiri. Saggio C, da nord.

17Le nostre esplorazioni si sono svolte in un’area coincidente con un’anomalia da tempo segnalata nell’impianto urbanistico di Locri: una lacuna di circa 37 m nella sequenza regolare degli isolati allungati. Secondo un’ipotesi avanzata fin dagli anni ’70 del secolo scorso, tale fascia avrebbe accolto una plateia monte - mare larga 13 - 14 m, che avrebbe attraversato tutto il settore pianeggiante della città per sfociare nella porta ‘di Afrodite’, fiancheggiata nel suo percorso dai due isolati di larghezza ridotta, I 7 e I 8 (Fig. 8).15
18Come vedremo, però, i più recenti rinvenimenti non suffragano questa ipotesi, mentre mostrano con evidenza che questa fascia è segnata per un lungo periodo – dalle fasi alto - arcaiche all’epoca ellenistica avanzata – dal passaggio d’imponenti flussi d’acqua, testimoniati da possenti depositi alluvionali caratterizzati dalla concentrazione di sabbie e ghiaie incoerenti.
19La potenziale pericolosità di questa situazione per i contesti a carattere abitativo è testimoniata dalle vicende occorse ad un’area di frequentazione alto - arcaica messa in luce nel saggio C indagato negli anni 2010 - 2011 (Fig. 6 - 7), il più a mare tra quelli realizzati nella zona.
20Qui si sono infatti esplorate strutture che è stato possibile ricondurre alle prime fasi di frequentazione del sito da parte dei coloni greci (Fig. 7; Elia, Meirano 2012; Bonomi 2014: 559). In particolare – per quanto la limitatezza dell’area scavata e il modesto stato di conservazione dei resti inducano a cautela – si è ritenuto di poter identificare un muro di oikopedon che avrebbe diviso lo spazio interno da un possibile asse stradale, posto immediatamente a nord. L’area interna appare invece prevalentemente occupata da un cortile dotato di una pedana addossata al muro di recinzione; sullo spazio aperto si affacciavano le strutture pertinenti all’angolo di un edificio a destinazione abitativa. Tutte le evidenze presentano già un orientamento identico a quello dell’impianto arcaico per strigas risalente al secolo successivo. Tale sistemazione è databile alla seconda metà del VII sec. a.C., sulla base di numerosi indicatori cronologici.16
Fig. 8 – Locri Epizefiri. Pianta schematica con indicazione delle strutture del canale arcaico (in rosso) e del canale di IV sec. a.C. (in verde).

21Le vicende immediatamente successive mostrano l’estrema pericolosità insita nel passaggio di grandi quantità di acqua nell’abitato: dopo un possibile, breve periodo di abbandono, infatti, le strutture arcaiche vennero violentemente distrutte e l’area non fu più occupata per un lungo periodo.17 La causa di tale distruzione è desumibile dalla presenza di strati incoerenti di natura alluvionale: si tratta di una successione di ghiaie frammiste a straterelli di sabbia di modesto spessore che testimoniano il prolungato – e forse iterato – passaggio di importanti flussi. Questi depositi sono databili ai primi decenni del VI sec. a.C., per quanto sia abbondante la ceramica residuale più antica.
22Tali eventi trovano per altro riscontro alcune decine di metri a nord (nei pressi del Casino Macrì), dove le indagini della Soprintendenza hanno messo in luce in due saggi di limitata estensione (Fig. 8,6 - 7) murature pertinenti a probabili strutture abitative databili al VII sec. a.C.; anche queste furono cancellate “da un evento alluvionale che invase e sconvolse un settore di abitato accumulando depositi di ghiaie e sabbie, che non furono rimossi per ripristinare la situazione di abitato, ma al contrario ricevettero successivi apporti di materiali trascinati dalle acque”.18
23Ora, appare evidente che tra la fine del VII a.C. e l’inizio del secolo successivo, uno o più episodi di carattere alluvionale cancellarono completamente in quest’area l’organizzazione urbanistica che pure – come si è detto – rivelava già un orientamento rigoroso, coerente con quello che l’intera città avrebbe assunto nei decenni successivi. E’ peraltro verosimile che tale orientamento sia stato condizionato proprio dal naturale andamento del preesistente paleoalveo del torrente Milligri; il fenomeno sarebbe quindi analogo a quanto osservato a proposito del ricordato rapporto di dipendenza del tratto settentrionale delle mura dal corso d’acqua esterno, con un adeguamento degli assi dell’impianto al naturale assetto idrogeologico. Tornando al settore centrale della città, appare probabile che l’originale letto di scorrimento del Milligri non fosse in origine molto distante dalle aree colpite dall’esondazione, come sembrano indicare non solo le evidenze emerse nei sondaggi condotti nell’area immediatamente a monte del saggio C (Fig. 6, trincea 2002 - 2015), dove la larghezza di questo passaggio d’acqua è stata accertata per oltre 25 m,19 ma anche le soluzioni adottate nella fase successiva.
24Nel corso del VI sec. a.C., direttamente al di sopra di tali depositi alluvionali, furono infatti realizzate due strutture parallele in blocchi di calcarenite arenacea, con sviluppo rettilineo monte - mare, destinate a fungere da spalle di un ampio canale artificiale per la regimazione delle acque meteoriche. L’argine meglio noto è quello settentrionale (Fig. 8, in rosso: US 24, US 1008; Fig. 9 - 10), realizzato con blocchi parallelepipedi disposti di taglio (l. 1 - 1,20 m), la cui lunghezza accertata raggiunge 140 m. Per il tratto a monte si conserva solo il filare inferiore, mentre in quello centrale la struttura mostra due assise in elevato (Fig. 9).20 Nel segmento individuato più ad est (saggio A; Fig. 8,2), la struttura, molto deteriorata da attività di spoliazione occorse in antico e da interventi agricoli moderni, conserva tuttavia l’originaria quota d’imposta dei blocchi digradante verso mare, verosimile indizio di un antico salto di quota (Fig. 11).
25Nell’insieme, questa impegnativa realizzazione coinciderebbe con il margine settentrionale della fascia occupata dalla supposta plateia secondo l’ipotesi tradizionale che, come si è detto, non ha invece trovato riscontro sul terreno.
26L’identificazione della suddetta struttura come argine settentrionale del canale è sostenuta – oltre che dalla tecnica costruttiva e dall’assenza di murature connesse, come vedremo in seguito – dalla chiara situazione stratigrafica: a sud si è infatti depositato un riempimento di sabbie e ghiaie, contenuto dal profilo meridionale della struttura e conservato per uno spessore di 70 cm (Fig. 12, US 26), mentre a nord è emerso un bacino stratigrafico di origine antropica completamente diverso, privo di sedimenti di natura alluvionale (Fig. 12, US 78 e US 82).
Fig. 9 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015: argine settentrionale del canale arcaico. A sinistra) profilo interno; a destra) profilo esterno.

Fig. 10 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015: argini settentrionali del canale arcaico (a sinistra) e del canale di IV sec. a.C. (a destra), da ovest.

Fig. 11 – Locri Epizefiri. Saggio A, argine settentrionale del canale arcaico. A sinistra) profilo interno; a destra) cresta della struttura.

27Gli strati formatisi all’interno del canale hanno restituito materiali che coprono un ampio arco cronologico; oltre alle ceramiche residuali più antiche, i reperti che si distribuiscono tra il VI e l’inizio del secolo successivo sono da ricondurre al periodo d’uso del canale stesso.21
28Sebbene non sia stato possibile indagare estensivamente la larghezza del collettore arcaico, occupato da varie strutture successive, la presenza di depositi alluvionali caratterizzati da una successione di possenti strati di sabbie e ghiaie incoerenti, databili alla fase d’utilizzo della canalizzazione, è stata riscontrata verso sud in vari saggi profondi realizzati nella parte centrale della trincea 2002 - 2015.
29La larghezza del canale – per il momento ipotetica, tenuto conto della limitatezza dei settori indagati – è determinata dall’individuazione 24,40 m a sud di brevi tratti di una struttura anch’essa in blocchi in calcarenite, ma posti di testa, interpretabile come argine meridionale. In particolare, essa è stata intercettata in due piccoli saggi (Fig. 8, in rosso: US 248 e US 394; Fig. 13), la cui estensione è stata limitata dalla presenza di murature di età romana e tardo - antica. Anche in questo caso, da un lato (verso nord) la struttura contiene un possente strato di sabbia incoerente databile all’età arcaica (Fig. 12, US 227), mentre dall’altro (a sud, quindi all’esterno del canale), il bacino stratigrafico è di natura completamente diversa (Fig. 12, US 200, US 230, US 249, US 250): si è infatti indagata una serie di battuti databili a partire dal IV sec. a.C. e identificabili come piani di vita dello stenopos S 6.
30Questo ampio canale, delimitato dalle due strutture in blocchi, trasforma dunque radicalmente il quadro urbanistico ipotizzato in passato, occupando esattamente la larghezza corrispondente all’ipotizzata plateia e all’isolato di dimensioni ridotte I 7 (Fig. 8). Allo stato attuale delle conoscenze tale apprestamento costituisce dunque una netta ed ampia cesura nel tessuto urbano della città arcaica: quest’ultima doveva così risultare divisa in due settori distinti, senza che al momento sia possibile ricostruire come avvenisse il passaggio tra l’uno e l’altro. Appare per altro poco verosimile l’ipotesi che questo grande canale potesse rivestire anche funzione viaria, seppur in periodi circoscritti dell’anno: le caratteristiche della stratigrafia indagata e delle strutture messe in luce non sembrano offrire conferme in tal senso.22 Negli strati depositatisi all’interno del collettore, infatti, non si riconoscono superfici orizzontali identificabili come battuti stradali o come sistemazioni atte a tale scopo; la consistenza incoerente degli strati di sabbia e ghiaia, peraltro, non appare adatta al passaggio pedonale e soprattutto a quello di carri. Inoltre, almeno nelle fasi iniziali, prima che l’azione di deposito naturale operato dal passaggio delle acque rialzasse progressivamente la quota, la superficie all’interno del canale era sensibilmente inferiore rispetto alla cresta delle strutture di contenimento (ad esempio, oltre 80 cm in corrispondenza del tratto meglio conservato della spalla settentrionale): risulta dunque difficile immaginare in che modo fosse possibile utilizzare il fondo del collettore come strada o come si potessero superare agevolmente le sponde laterali per accedervi.23 Bisognerebbe supporre, poi, che ogniqualvolta si fosse presentato un periodo d’intense e prolungate precipitazioni, un elemento primario della viabilità cittadina sarebbe stato sconvolto risultando inservibile per periodi di tempo anche prolungati: in tal caso, si sarebbero dovuti operare spianamenti per ripristinare l’assetto originario dopo ogni passaggio d’acqua che avesse scavato e compromesso il piano stradale. Infine, le dimensioni e la tecnica costruttiva dei due argini, in massicci blocchi di calcarenite, sembrano escludere che tali murature possano corrispondere a strutture perimetrali di isolati; va peraltro sottolineato che in nessun punto dei lunghi tratti esplorati sono state rinvenute tracce di strutture coeve in connessione alle due sponde: anzi, lo spazio esterno adiacente si è rivelato del tutto privo di interventi edilizi,24 cosa che induce a ipotizzare la presenza di due fasce libere da costruzioni. L’unico elemento di viabilità in senso monte - mare accertato in questo settore per l’età arcaica è dunque lo stenopos S 6 che correva immediatamente all’esterno del collettore, lungo la sponda meridionale.25
Fig. 12 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015, sezione: in rosso gli argini del canale di età arcaica e in verde gli argini del canale di IV sec. a.C.

Fig. 13 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015: muro perimetrale meridionale dell’isolato I7 sovrapposto all’argine meridionale del canale arcaico in blocchi di calcarenite arenacea.

Fig. 14 – Locri Epizefiri. Porta ‘di Afrodite’, planimetria: a sinistra) assetto in età arcaica; a destra) assetto nel IV sec. a.C. (da Barra Bagnasco 2000).

31Tornando al canale, la sua realizzazione verso la metà - seconda metà del VI sec. a.C. rientra certamente in un sistema articolato più complesso. Un ulteriore tassello pertinente allo stesso progetto è rappresentato infatti dalla porta lungo il tratto marino delle mura detta ‘di Afrodite’ (Fig. 1,8; Fig. 8) e in particolare dal varco secondario posto 16 m circa a nord - est del passaggio carraio e pedonale (Fig. 14,a - 15.)26 Il varco laterale, infatti, è stato da tempo interpretato come funzionale a “irregimentare un passaggio d’acqua […] continuato per più secoli” (Barra Bagnasco 1996: 263). In un’interruzione delle mura, larga 7,10 m, venne inserita un’imponente platea di blocchi di calcare (4,20 × 5 m), la cui superficie si presenta profondamente scavata dall’acqua e corrosa dall’erosione provocata dai detriti trascinati in sospensione; alcuni incassi sono stati inoltre interpretati come possibili alloggiamenti per elementi connessi ad una saracinesca. Le spalle di contenimento, all’interno e all’esterno del tratto di mura,27 furono realizzate in blocchi di calcarenite arenacea. Appare particolarmente significativo che questo apprestamento, pur essendo il risultato di successive trasformazioni, presenti una cronologia iniziale coincidente con quella dell’impianto del canale scoperto 400 m a nord: per il tratto marino delle mura, con cui il varco è in fase, è infatti confermata una datazione alla seconda metà - fine del VI sec. a.C.28 Inoltre, l’allineamento dei margini settentrionali dei due apprestamenti costituisce un’evidente testimonianza della reciproca pertinenza: il canale scoperto nell’area centrale della città, scendendo verso il mare, doveva quindi ridursi in larghezza per coincidere con il varco laterale della porta ‘di Afrodite’, anche se con modalità che rimangono al momento da chiarire.29
Fig. 15 – Locri Epizefiri. Porta ‘di Afrodite’: a destra) varco per il canale da sud-est; a sinistra) argine esterno meridionale.

32Un altro elemento del sistema di regimazione delle acque in età arcaica è poi noto lungo la linea marina delle mura, dove, 200 m circa a sud della porta ‘di Afrodite’, è stato riconosciuto un secondo varco monumentale nelle fortificazioni (Fig. 1,9). Denominato porta ‘con postierla’ per l’assetto assunto in una fase più avanzata, è stato proposto che in età arcaica si presentasse originariamente come un apprestamento simile a quelli descritti (Fig. 16,a), in particolare alla porta ‘portuense’.30 Infatti, una struttura interna con andamento obliquo facilitava l’incanalamento delle acque che scorrevano su un’ampia piattaforma in blocchi di calcare, in parte erosi dal prolungato passaggio dell’acqua: proprio il differenziato stato di consunzione della superficie dei blocchi lascia ipotizzare l’originaria presenza di un’ampia apertura bipartita per la fuoriuscita delle acque (larghezza complessiva 7,60 m, con spina centrale larga 1,20 m), fiancheggiata a nord da un varco distinto, destinato al passaggio della strada R3 (Barra Bagnasco 2000: 24 - 27, Fig. 17 - 19; Bouffier 2013: 134). Oltre alla citata erosione della superficie dei blocchi della platea, una prova della destinazione dell’apprestamento è costituita dalla presenza di spessi strati di ghiaia e di materiali fluitati.
33Il dispositivo descritto conferma dunque l’ipotesi secondo cui il corso d’acqua a carattere torrentizio proveniente dal Milligri sarebbe stato suddiviso in due rami, forse poco a monte della plateia del dromo (Fig. 1,6): questi sarebbero poi stati incanalati in due percorsi che correvano paralleli verso mare. L’esistenza di quello meridionale sarebbe dunque confermata in maniera indiretta dall’apprestamento idraulico connesso alla porta ‘con postierla’. Dal momento che le recenti scoperte testimoniano che quello settentrionale connesso alla porta ‘di Afrodite’ (Fig. 1,8) fu rigorosamente inserito nel rigido impianto urbanistico, appare verosimile che ciò sia avvenuto anche per l’omologo meridionale (Fig. 1,9). A conferma di questa ipotesi depone un’osservazione scaturita da indagini condotte in contrada Stranghilò nel 2005 (Fig. 1,10; Sabbione 2010: 318): se la scoperta di due stenopoi e dell’isolato frapposto ha testimoniato l’esistenza dell’impianto arcaico per strigas anche nel settore meridionale della città, la cadenza regolare di questi non risulta però in diretta continuità con la sequenza riscontrata tra l’area di Centocamere e del Casino Macrì, ma si presenta sfalsata di 39 m circa. Tale anomalia, interposta tra le due serie di isolati con cadenza regolare, potrebbe dunque riflettere una situazione analoga a quella documentata nella fascia del canale settentrionale.
34Ovviamente, oltre a contenere e condurre a valle le acque provenienti dalle alture retrostanti, entrambi i canali dovettero raccogliere e allontanare le acque meteoriche e quelle reflue che dalle aree destinate ai settori pubblici e residenziali della città venivano convogliate nelle strade, innanzi tutto negli stenopoi in pendenza verso mare.
35Ritornando alle scoperte più recenti emerse nell’area del Casino Macrì, è evidente che la cronologia, la posizione e l’orientamento del canale settentrionale appaiono perfettamente coerenti con l’impianto urbanistico per strigas, che dovette riorganizzare completamente la città, dalla fronte marina sino almeno alle prime pendici collinari.31 Questa canalizzazione (insieme alla sua probabile omologa meridionale) si materializza infatti nel momento in cui vengono (ri) definiti gli spazi interni dell’abitato, imperniato su grandi plateiai con andamento nord - sud e una fitta rete di stenopoi larghi 4 m circa che scandiscono strigae larghe 27,50 - 28 m.32 Anzi, considerata la fondamentale importanza di questo apprestamento idraulico destinato a proteggere un’ampia fascia della città dalla minaccia delle acque provenienti dalle colline, è da pensare che la sua posizione e il suo orientamento siano stati determinanti nell’influenzare le scelte dell’intero progetto, nel quale esso si inserisce con precisione.
36Si tratta evidentemente di un programma urbanistico unitario che doveva rispondere innanzi tutto alle pressanti necessità imposte dalla crescita demografica, ma anche ad esigenze di ordine economico e sociale; tale progetto implicò, almeno nel settore pianeggiante, anche l’erezione della cinta urbana, un perimetro dall’aspetto monumentale e possente che fu munito di ampie porte e apprestamenti funzionali, in parte legati proprio alla gestione delle acque (porte ‘con postierla’, ‘di Afrodite’, ‘portuense’).33
Fig. 16 – Locri Epizefiri. Porta ‘con postierla’, planimetria e schizzo assonometrico: a) assetto in età arcaica; b) assetto nel IV sec. a.C. (da Barra Bagnasco 2000).

37Nel VI sec. a.C., dunque, Locri assume nel corso di alcuni decenni una forma rispondente alle sue ambizioni, sviluppando sul terreno una pianificazione organica, strutturata sulla base della reciproca organizzazione logica e funzionale dei diversi elementi. Si realizza così una maglia ad ampi spazi che risponde ai più moderni criteri urbanistici venutisi a formulare nel VI sec. a.C., come mostra il confronto con analoghe realizzazioni in Occidente. La fitta scacchiera definita dagli assi viari in relazione gerarchica scandisce una vasta area protetta verso l’esterno e definita da una possente cinta dotata di porte monumentali aperte verso la chora e verso il mare, come nel caso del propileo monumentale arcaico, il cui portico colonnato costituisce una ricercata ed innovativa soluzione architettonica.34
38Alla stessa fase edilizia va ricondotta anche la prima monumentalizzazione dell’area portuense, già collegata alla città da una delle porte principali. Qui, possenti strutture strettamente connesse alla cortina vengono realizzate in apparato lapideo, cingendo il bacino e proiettandosi verso il mare (Barra Bagnasco 1999; Ead. 2000: 13 - 14). Una strada perpendicolare alle mura costeggiava le strutture portuali collegando la linea costiera con il santuario di Marasà.
39Proprio il carattere monumentale assunto dal perimetro urbano, che non a caso viene realizzato negli stessi decenni in cui si assiste al rinnovato sviluppo edilizio delle aree sacre,35 costituisce un segno della volontà di autorappresentazione della polis e del suo gruppo dirigente, manifestazione esplicita di ricchezza e prosperità, oltre che riflesso di un’elevata capacità di progettazione e pianificazione.
40Ancora, è a partire dalla metà del VI sec. a.C. che, in stretta connessione con la definizione dei percorsi interni e dei varchi, si ripianificano gli spazi riservati ai morti: lo stesso impegno organizzativo e decisionale che investe l’abitato sembra infatti riconoscibile nelle aree funerarie, coinvolte in un probabile processo di suddivisione in lotti, che sembra costituire un riflesso della razionale ripartizione dello spazio dell’abitato sottesa all’impianto per strigas.36
41E’ in questa fase poi che si registra l’avvio del ricorso sistematico al calcare e alla calcarenite arenacea che vengono utilizzati in quantità cospicue nelle diverse realizzazioni citate. L’impresa di dare un nuovo aspetto e un rinnovato assetto alla città deve certamente riflettere una forte e specifica volontà politica che avviò o accelerò numerosi fenomeni: si pensi alla localizzazione delle cave, allo sviluppo e alla razionalizzazione delle attività estrattive, all’organizzazione del trasporto nei diversi cantieri, alla progettazione e alla realizzazione delle singole infrastrutture, alla nascita o alla moltiplicazione dei saperi artigianali e manifatturieri.
42Si trattò certamente di un grande sforzo organizzativo ed economico che dovette impegnare profondamente anche le capacità tecniche della giovane città. In questo quadro, il controllo e la regimazione delle acque meteoriche, nonché le interazioni di queste con l’impianto urbanistico e la cinta muraria dovettero occupare un ruolo primario.
43L’innovativo e ambizioso progetto descritto è con tutta probabilità da attribuire alla volontà dell’élite aristocratica delle ‘Cento Case’ detentrice del potere politico ed economico, che in questo complesso intervento rivela un atteggiamento «ambiziosamente programmatico» (Barra Bagnasco 1984: 36), che diede risposta alla probabile crescita demografica, mantenendo un rigoroso ed equilibrato assetto politico e sociale. L’intervento, destinato a completarsi nell’arco di una generazione, dovette conferire alla città un aspetto nuovo e consono alle sue ambizioni, pur nel rispetto dell’ordine costituito, garante dei rapporti gerarchici stabilitisi fin dall’epoca della fondazione. A questo proposito è stato proposto che l’Atrekeia locrese, verosimilmente evocata da Pindaro per celebrare il rigore che dominava la città e ne determinava l’assetto politico e sociale, possa essere riflessa in qualche misura dall’organica articolazione e dalla suddivisione funzionale dello spazio urbano (Pind, Ol. X, 13; Musti 1980: 84 - 85; Barra Bagnasco 1984: 35 - 36; Ead. 1996: 273).
44Tuttavia, se l’assetto assunto in età arcaica appare circostanziato sotto vari aspetti, le vicende immediatamente successive sono in parte ancora da definire, a partire proprio dall’area del canale.
45Come emerge chiaramente dall’indagine dei depositi originati dal passaggio dell’acqua, si dovette rapidamente creare un innalzamento della quota di scorrimento e un progressivo insabbiamento: già all’inizio del V sec. a.C. la superficie dei depositi ghiaiosi raggiungeva almeno la sommità del secondo filare, come è stato possibile verificare nel tratto indagato nella trincea 2002 - 2015 (Fig. 12, US 26).
46Inoltre, immediatamente a mare, nel saggio B (Fig. 6; Fig. 8,3), si sono riconosciuti evidenti indizi del fatto che, ben presto, la spalla settentrionale del canale arcaico dovette subire un grave danneggiamento per via dell’azione erosiva dell’acqua, forse a causa di un afflusso di eccezionale portata. Lungo l’allineamento della struttura si sono infatti rinvenuti spezzoni di blocchi consunti e trascinati, ancora una volta ricoperti da uno spesso strato di sabbie e ghiaie che sembra essersi depositato a seguito del passaggio di acque non più contenute verso nord (Fig. 17). A questo proposito appare tuttavia opportuno segnalare che l’area esplorata è ancora troppo limitata per poter trarre conclusioni definitive.
47Per la fase successiva, occorre invece sottolineare come in tutta l’area indagata non si siano individuati strutture o strati databili al pieno V sec. a.C., per quanto si sia raccolto un limitato quantitativo di ceramiche residuali riconducibili a questo periodo. Appare verosimile che tale assenza non sia da imputare ad un prolungato abbandono – assai improbabile in questo settore centrale della città –, quanto piuttosto a profondi interventi successivi che avrebbero rimosso parte del bacino stratigrafico per ripristinare le quote di scorrimento dell’acqua.
Testimonianze dagli scavi recenti: la riorganizzazione nel IV sec. a.C.
48In effetti, bisogna attendere i primi anni del IV sec. a.C. per poter riconoscere un esteso e radicale intervento di ristrutturazione, che trasformò profondamente le modalità di occupazione dell’area con la realizzazione di un nuovo canale di raccolta e di regimazione delle acque, di portata sensibilmente ridotta rispetto a quello di età arcaica.37
49Infatti, all’interno dello spazio occupato dal collettore arcaico, in vari saggi realizzati nell’area a mare del Casino Macrì, si sono intercettati tratti pertinenti a due nuove strutture parallele, ancora una volta in blocchi di calcarenite arenacea, distanti fra loro 3,80 m (Fig. 8, in verde: US 104 a nord, US 266 a sud). Tali strutture risultano più massicce di quelle della fase precedente (larghezza oscillante tra 1,10 e 1,40 m) e sono per lo più realizzate con possenti blocchi posti di testa;38 inoltre, in alcuni punti esse appaiono rinforzate da un filare di blocchi di taglio: nel tratto indagato nella trincea 2002 - 2015 la sponda settentrionale presenta il filare aggiuntivo verso l’esterno del canale (Fig. 10; Fig. 12, US 104; Fig. 18), quella meridionale verso l’interno (Fig. 12, US 266; Fig. 19).
50Per realizzare il nuovo canale si dovette procedere ad un taglio nei depositi di natura alluvionale formatisi precedentemente: i blocchi appaiono infatti calati quasi ‘a sacco’ nelle ghiaie sedimentatesi nel corso dell’età arcaica, dal momento che si riconoscono solo stretti cavi di fondazione poco profondi, posti lungo i profili esterni (Fig. 12, US - 121/ US 122 per la spalla nord; US - 391/US 392 per la spalla sud). In occasione di questa grandiosa operazione di scavo, tra le due nuove strutture, fu ricavato lo spazio libero per lo scorrimento delle acque: l’intera area venne dunque interessata dalla rimozione di una porzione del bacino stratigrafico formatosi nel corso del secolo precedente, rendendo – come già ricordato – evanescenti le tracce della frequentazione di V sec. a.C.
Fig. 17 – Locri Epizefiri. Saggio B, elementi dell’argine settentrionale del canale arcaico immersi in depositi di natura alluvionale.

51L’intervento è da collocare nel corso della prima metà del IV sec. a.C. – con tutta probabilità nei primi decenni –, mentre i depositi alluvionali sembrano essersi succeduti sino alla fine del secolo successivo, anche se spesso è difficile riconoscere una sequenza stratigrafica ben definita, probabilmente a causa della periodica azione impetuosa delle acque.39
Fig. 18 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015: argine settentrionale del canale di IV sec. a.C. In alto) cresta della struttura; in basso) profilo esterno.

52In ogni caso, nel tratto indagato le strutture sembrano aver svolto in modo efficace il loro compito per tutto il periodo indicato, fino al momento in cui – come vedremo – il canale non fu definitivamente abbandonato. Inoltre, a testimonianza dell’efficacia dell’apprestamento, occorre sottolineare come il fenomeno di insabbiamento causato dai depositi sembri essere stato assai meno intenso: nel corso di quasi due secoli di vita, si registra soltanto un interro pari a circa 45 cm (Fig. 12, US 118).
53Ancora una volta, l’assetto assunto dal canale e le sue radicali trasformazioni messe in luce nell’area del Casino Macrì trovano puntuale riflesso nelle vicende costruttive della porta ‘di Afrodite’ (Fig. 14 - 15). I nuovi argini di contenimento vengono infatti ad allinearsi perfettamente con il varco per il passaggio dell’acqua descritto in precedenza, anzi in qualche modo la posizione e le dimensioni dell’apprestamento a mare sembrano aver influenzato i caratteri della riorganizzazione dell’opera idraulica a monte. In questa fase, peraltro, in occasione della sistemazione del varco le mura registrano importanti interventi di ristrutturazione, tra cui il raddoppiamento dell’argine settentrionale del canale con un secondo filare di blocchi disposti di testa, che costituiscono un rinfianco esterno alla struttura di età arcaica (Fig. 14,b, US 462; Fig. 15, a sinistra; Barra Bagnasco 1996: 262 - 264 (US 462); Ead. 2000: 22).
54Molti indizi in città suggeriscono come questa riorganizzazione abbia interessato in realtà l’intero sistema di regimazione delle acque meteoriche nell’area urbana. Tale ripensamento è infatti chiaramente testimoniato dalle vicende che riguardano gli altri varchi coinvolti nel complesso sistema.
55Gli interventi edilizi riconosciuti alla porta ‘portuense’ sono in questo senso particolarmente significativi.40 In coincidenza con il grandioso raddoppiamento della cortina muraria e del rialzamento della soglia, si operò infatti anche una complessa ristrutturazione che mantenne però sostanzialmente la configurazione originale (Fig. 5,b): le strutture oblique che convogliavano le acque alle spalle delle mura furono rinforzate, con il ricorso a blocchi di calcare sia per il posizionamento di un nuovo elevato (spalla nord), sia per il completo rifacimento di alcune strutture (spalla sud). Analogamente, sempre con blocchi di calcare, furono rifatti i rinfianchi del varco nelle mura e ristrutturata la spina centrale che assunse forme e sviluppo più poderosi; fu invece mantenuta la platea pavimentale posata in età arcaica. In questa fase i blocchi di testa della spina verso monte presentano gli spigoli smussati come invito per il deflusso delle acque.
56Se nei due esempi citati si riconoscono interventi di riorganizzazione nel senso della continuità d’uso e di rafforzamento strutturale degli elementi di contenimento delle acque, la porta ‘con postierla’ (Fig. 16,b), riconducibile all’ipotetico passaggio del ramo meridionale del torrente Milligri, sembra invece ridurre sensibilmente il suo ruolo (Barra Bagnasco 2000: 26 - 27). Nel corso della prima metà del IV sec. a.C., infatti, la porta vera e propria fu occlusa con l’inserimento di blocchi, mentre l’ampio passaggio per l’acqua munito di doppio canale in calcare fu radicalmente trasformato: l’apprestamento arcaico fu allora obliterato e – in coincidenza con la parte meridionale del canale precedente e ad una quota sensibilmente più alta – venne realizzata una postierla larga solo 1,60 m. Anche qui la struttura è rivestita sul fondo e sui fianchi con blocchi di calcare, in questo ultimo caso smussati negli spigoli interni come invito per le acque. In occasione di questa ristrutturazione fu realizzata una nuova spalla settentrionale di contenimento, anch’essa posta ad una quota sensibilmente superiore a quella arcaica e con un orientamento meno obliquo.41
Fig. 19 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015: argine meridionale del canale di IV sec. a.C., da ovest.

57I diversi tasselli noti dell’articolato sistema si confermano dunque pertinenti ad un organismo unitario anche in questa fase, ma al momento mancano gli elementi per comprendere nel dettaglio la dinamica delle trasformazioni. Risulta assai verosimile che interventi realizzati a monte rispetto alle aree finora esplorate abbiano diminuito la portata delle acque meteoriche che attraversavano la città dirette verso mare: tale riduzione, che appare sensibile già per il ramo settentrionale del Milligri, è invece radicale nel caso del canale meridionale; in apparenza, invece, la portata del collettore che attraversa le mura alla porta ‘portuense’ non viene diminuita, anzi il nuovo apprestamento risulta ancora più imponente.
58In ogni caso, analogamente a quanto emerge in relazione al programma urbanistico arcaico, anche in questa fase la trasformazione dell’impianto per la regimazione delle acque si accompagna a un profondo riassetto di interi settori dell’abitato. Si è già fatto cenno ad alcuni interventi alle mura e alle infrastrutture relative, in parte ricostruite e in parte accresciute, riconducibili ad una sistematica operazione di rafforzamento e monumentalizzazione. Basti pensare all’imponente intervento al complesso portuale, che, se da un lato mostra evidenti elementi di continuità con gli apprestamenti arcaici, dall’altro rivela un elevato impegno costruttivo, volto ad accrescere significativamente la capacità funzionale del bacino e degli scivoli di alaggio. Peraltro, il citato raddoppiamento della cinta muraria nel settore della porta ‘portuense’ interessa anche l’angolo nord - est della cinta e il tratto settentrionale delle mura, oltre a comportare la realizzazione del grandioso torrione angolare.42
Fig. 20 – Locri Epizefiri. Trincea 2002-2015: il santuario da sudovest (sulla destra il muro perimetrale, già argine settentrionale del canale arcaico).

59Appare verosimile che questa diffusa ristrutturazione delle infrastrutture pubbliche, nel senso di un aggiornamento di alcuni elementi urbanistici fondamentali per la città, sia da mettere in stretta relazione con il momento di vitalità e di prosperità che Locri conosce nei primi decenni del IV sec. a.C., in concomitanza con l’alleanza con Dionigi I.43 Diventata avamposto militare delle campagne dionigiane e fulcro del progetto di epikrateia, Locri sembra aver conosciuto in questa fase un grande fervore edilizio sostenuto da un’accresciuta disponibilità di risorse economiche.44
60Analogamente a quanto emerso per l’età arcaica, l’intervento al sistema di regimazione delle acque si accompagna puntualmente a cambiamenti nella distribuzione degli spazi destinati all’abitato, anche per venire incontro alle esigenze di carattere demografico che si dovevano essere manifestate nei decenni precedenti.45 In questo caso l’impianto arcaico per strigas mantenne sostanzialmente l’assetto originario, ma la sensibile variazione delle dimensioni del canale settentrionale del Milligri comportò la necessità di ristrutturare questo settore della città, resosi in gran parte libero. In particolare, il netto restringimento del collettore rese disponibile a sud di questo un’ampia fascia orientata in senso monte - mare. Quest’ultima dovette essere rapidamente occupata dall’isolato ‘stretto’ I 7, largo 11,70 m circa46: tale successione di interventi giustifica l’anomalia rappresentata da un isolato di dimensioni ridotte, estraneo alla rigida modularità dell’impianto arcaico e connesso invece all’occasione di sfruttare uno spazio resosi disponibile solo all’inizio del IV sec. a.C. La diretta sovrapposizione della fronte meridionale dell’isolato all’argine meridionale del canale arcaico è una chiara testimonianza del cambiamento di destinazione di questo settore della città (Fig. 12).
61Per la porzione rimanente posta tra la fronte settentrionale dell’isolato I 7 e la sponda meridionale del canale, larga approssimativamente 3,30 m, finora esplorata per un tratto molto limitato e comunque occupato intensivamente a partire dall’età imperiale, non è invece nota la destinazione tra IV sec. a.C. e I d.C. Le dimensioni lascerebbero però ipotizzare che possa trattarsi di una fascia destinata alla viabilità, uno stenopos (S 7) che si sarebbe sviluppato lungo la sponda meridionale del canale, con posizione e funzioni analoghe a quelle assunte dallo stenopos S 6 in età arcaica.
62Contemporaneamente, sull’altra sponda, l’argine settentrionale del canale arcaico, che aveva ormai perduto del tutto la sua funzione originaria, fu utilizzato come zoccolo del muro perimetrale di un’area a destinazione cultuale strettamente legata alle acque (Fig. 20). Per quanto lo studio e l’interpretazione del complesso siano ancora in corso,47 appare ormai certa la dimensione intima e privata delle forme di ritualità che vi si espletavano; esso si configura come un santuario ‘di quartiere’, legato alle Ninfe e ad altre figure divine, in cui avevano luogo rituali femminili connessi al passaggio dalla dimensione nubile a quella maritale, come indiziato da specifici apprestamenti strutturali e dai numerosi reperti portati alla luce. Il complesso occupa l’intera larghezza del primo isolato a nord del canale (I 8), pari in questo punto a 12,30 m, ed è separato dal collettore coevo da una fascia larga 3,20 m. Anche in questo caso non è chiara la destinazione di tale fascia lasciata libera tra la fronte del santuario e la sponda settentrionale del canale stesso, ma le dimensioni di questa porzione di terreno, risultata al momento priva di strutture di età greca, lascerebbero ipotizzare l’esistenza di un ulteriore stenopos (S 8), anch’esso sviluppato lungo la spalla di contenimento dell’apprestamento idraulico.
63Peraltro, ulteriori trasformazioni urbanistiche ed edilizie operate nei primi decenni del IV sec. a.C. sono note anche per l’area contigua alla postierla: ai lati dell’apertura più recente venne infatti eretta una serie di oikoi addossati alla cortina muraria,48 che potrebbero aver ereditato la funzione degli ambienti della stoa ‘ad U’, abbandonata alla metà del secolo (Barra Bagnasco 1980: 379 - 380; Belli Pasqua 2012: 23). Il settore interno, invece, sarebbe stato interessato dallo sviluppo degli isolati irregolari: in particolare, la fronte del lotto più meridionale, O1, sembra corrispondere all’allineamento della più recente struttura di contenimento delle acque (Fig. 16, b).49
Testimonianze dagli scavi recenti: le trasformazioni nel corso dell’età ellenistica
64Tornando alla zona centrale in prossimità del Casino Macrì, il nuovo canale di dimensioni ridotte sembra essere rimasto efficacemente in funzione sino ad un momento avanzato del III sec. a.C., quando ebbe luogo un ulteriore e radicale cambiamento. Alla fine dello stesso secolo, la funzionalità dell’apprestamento idraulico appare infatti improvvisamente annullata: direttamente a contatto con la superficie superiore dei depositi alluvionali si è riconosciuto il battuto estremamente compatto di una stradella che sembrerebbe contenuta dalle creste dei due argini del canale ormai colmato; si tratta di una situazione verificata per un tratto omogeneo di oltre 30 m.50 Tale intervento testimonia in modo inequivocabile l’esaurirsi della destinazione originale dell’apprestamento idraulico: evidentemente l’acqua proveniente dal vallone smise di fluire in questo settore della città, probabilmente a causa di una deviazione dalla sede naturale di scorrimento, operata più a monte. La datazione della formazione di questo asse stradale è fornita da alcuni frammenti di ceramica ad engobbio rosso presenti nel battuto stesso.51
65Ancora una volta, il confronto con gli assetti assunti dalle strutture collocate a mare fornisce una chiave di lettura delle profonde trasformazioni intervenute. Proprio nel corso del III sec. a.C., infatti, le mutate necessità difensive portarono ad una radicale riorganizzazione della linea delle mura marine, con la rettifica del percorso della cinta nel tratto di Centocamere e di Marasà. La modifica previde contestualmente la chiusura delle principali porte che si aprivano verso la spiaggia.
66Particolarmente significative a questo proposito risultano le vicende connesse alla porta ‘di Afrodite’: la rettifica del tratto della cortina con andamento a gomito, originariamente realizzato per rispettare la stoa ‘ad U’, comportò un allineamento del segmento meridionale con quello settentrionale. Il varco della porta carrabile e pedonale fu completamente chiuso e l’unica apertura risparmiata fu quella destinata originariamente al passaggio del canale: in questa fase il varco, protetto da due torri quadrangolari simmetriche (Fig. 14,b), era attraversato da una stradella larga poco più di 4 m (Barra Bagnasco 2000: 22). Appare evidente che quest’ultima costituisce la prosecuzione dell’asse viario rinvenuto 400 m a monte nell’area del Casino Macrì: le dimensioni e il perfetto allineamento costituiscono indizi eloquenti in tal senso. Tale testimonianza conferma dunque in modo inequivocabile come in quest’epoca, dopo oltre tre secoli di attenta regimazione delle acque, il canale settentrionale del Milligri fu completamente annullato, anche se con tutta evidenza il suo tracciato finì per influenzare quello della stradella ellenistica.
67Vicende analoghe sono peraltro state riconosciute per la porta ‘portuense’ alla fine del III sec. a.C.: anche qui il varco principale fu completamente sbarrato con una platea di blocchi di calcare, forse il basamento di una torre (Barra Bagnasco 1999: 7); solo l’apprestamento per il passaggio delle acque fu lasciato aperto, ma la destinazione originaria fu del tutto abbandonata: una possente gettata di terra innalzò il piano di calpestio di oltre 2 m per raccordare la soglia con la quota di una stradella diretta verso mare, spostata più a nord ed obliqua rispetto al precedente percorso.52
68In entrambi i casi, la rinuncia all’originaria destinazione funzionale dei varchi per i canali è certamente indizio del radicale cambiamento nella gestione delle acque, con il conseguente rimodellamento del sistema interno di regimazione.53 Tali interventi si giustificano certamente con la necessità di adottare soluzioni efficaci per rinforzare il valore difensivo del sistema di fortificazioni in un periodo di drammatici eventi bellici, che vide Locri coinvolta nelle vicende connesse alla prima e alla seconda guerra punica, momento in cui per la prima volta nella storia della città il carattere difensivo della cinta prese il sopravvento.54 La presenza dei passaggi d’acqua affiancati alle porte avrebbe comportato la necessità di mantenere un più elevato numero di varchi aperti lungo la linea delle mura sulla costa, mentre la soppressione dei passaggi carrai e la trasformazione dei varchi per i canali in postierle difese da torri permise il rafforzamento degli apprestamenti difensivi. Il carattere radicale di tale trasformazione, dettata dall’insorgere di gravi e minacciosi pericoli provenienti dall’esterno, è significativamente testimoniato dai contestuali interventi che trasformarono profondamente il paesaggio urbano, in particolare la demolizione sistematica di tutti gli edifici sacri e funzionali esterni alla cortina (ad es., gli oikoi addossati al profilo esterno delle mura, la stoa ‘ad U’, la casa ‘dei leoni’, il Thesmophorion) per creare una fascia libera di fronte alle mura (Barra Bagnasco 2000: 31; Sabbione 2005: 483 - 484).
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Notes de bas de page
1 Oltre alle evidenze illustrate nel presente contributo, sono infatti emersi elementi legati all’approvvigionamento e – soprattutto – al rapporto tra acqua e ambito sacro (infra).
2 Una presentazione preliminare dei risultati di scavo è già comparsa in Bonomi 2012: 1432-1433; Elia, Meirano 2012; Bonomi 2014: 559-561; Elia, Meirano 2016. La conduzione delle indagini sul terreno e la riflessione sui risultati raggiunti sono stati sviluppati in stretta collaborazione con Valeria Meirano, che ringrazio per il continuo dialogo e le appassionate discussioni sulle ricerche comuni.
3 Per le ricerche di Paolo Orsi sul circuito murario, in particolare sulla trattazione che sarebbe confluita nella monografia rimasta incompiuta: Sabbione 2010: 320-323.
4 Orsi 1909: 408.
5 L’apprestamento è riportato nella pianta inedita commissionata da Orsi a G. de Notaris nel primo decennio del XX secolo e pubblicata in Costamagna, Sabbione 1990, Fig. 34. La struttura è anche indicata nei rilievi editi in Foti 1980: tav. XXVII, 5 e in Barra Bagnasco 1996: Fig. 1,5.
6 cf. Bollettino d’Arte 1909: 407.
7 Orsi 1912: 3; Foti 1980: 347.
8 Lattanzi 1983: 232-233, tav. XXXIII, 1; v. anche Costamagna, Sabbione 1990: 52, fig. 38,9; Sconfienza 1996: 58, n. 175; Sabbione 2010: 318, Fig. 21.1, n° 16.
9 Secondo una consuetudine ormai affermatasi in bibliografia (v. ad es.: Barra Bagnasco 1996: 241; Ead. 2000: 11, n. 2; Ead. 2002: 90, n. 9; Sabbione, Milanesio Macrì 2008: 196, n. 3), si farà convenzionalmente coincidere il mare con est e il monte con ovest.
10 Costamagna, Sabbione 1990: 264-268, Fig. 368-370; Barra Bagnasco 1996 :248 ,252-253, Fig. 1,16; Sconfienza 1996: 58, Fig. 42. V. anche Bouffier 2013: 134, dove il flusso è detto raccogliere, oltre alle acque che confluivano nella plateia pedemontana, anche il “torrent saisonnier de Portigliola”, che però scorre più a sud.
11 Costamagna, Sabbione 1990: 185, Fig. 38; Barra Bagnasco 1996: 248, Fig. 1; Sconfienza 1996: 58; Milanesio Macrì 1996: 49; Sabbione, Milanesio Macrì 2008: 198; Elia 2010: 34-35, tav. II, 6.
12 In Occidente un confronto per questo monumentale sistema di regimazione – e per quelli che verranno descritti in seguito connessi alla porta ‘di Afrodite’ e alla porta ‘con postierla’ – può essere riconosciuto nel “système monumental d’évacuation des eaux” ipotizzato attraversare il tratto orientale delle mura di Megara Hyblaea in corrispondenza della depressione di Arenella (Mégara Hyblaea 5: 291-292 ,478). In generale la soluzione ‘a cielo aperto’ adottata sistematicamente a Locri appare meno diffusa rispetto agli apprestamenti interrati, come quelli messi in luce a Cuma, ad Agrigento e a Metaponto. Nel caso cumano, in prossimità della porta mediana delle fortificazioni settentrionali, un grandioso collettore di epoca tardo-arcaica – largo fino a 4,40 m – corre al di sotto delle mura, coperto da due file di blocchi di tufo poggianti su ortostati collocati lungo la linea mediana (Cuma 1, CN10221, 9, 35-36 ,95-96, Fig. 21, E). Anche ad Agrigento il condotto che attraversa le mura nella valle S. Biagio è bipartito (Gabrici 1925: 457-459, Fig. 27-28). Più ridotte appaiono invece le dimensioni del collettore che attraversa il lato settentrionale delle fortificazioni di Metaponto (Adamesteanu 1975 :24, Fig. 261-262 ,264). In generale, per un’ampia rassegna dei condotti idraulici che attraversano le cinte urbane in Occidente: Bouffier 2013.
13 Barra Bagnasco 1996: 248, Fig. 1; Sconfienza 1996: 58; Sabbione 2010: 318; Bouffier 2013: 121. Una situazione in qualche misura analoga è testimoniata ad esempio a Caulonia, dove l’acqua proveniente da due ampi valloni (valle della Campana e valle adiacente) attraversava un ampio settore dell’abitato (Iannelli 2005: 228-234; Ead. 2010: 137-138). Già Orsi segnalava la presenza di possibili strutture di contenimento delle acque a difesa dell’area del tempio (Orsi 1914: col 903-906), mentre nella planimetria disegnata da Rosario Carta (ibid., tav. I) è presente “una vasta area di depressione delimitata da due argini” (Iannelli 2005: 233).
14 Sotto la direzione dello scrivente e di Valeria Meirano, hanno collaborato alle esplorazioni in qualità di responsabili di settore i dott.ri. Gianluca Sapio, Carla Scilabra, Marco Serino, nonché la dott.ssa Barbara Carè, anche responsabile del rilievo, cui si devono le elaborazioni grafiche presentate in questa sede. Le fotografie sono dell’autore.
In questi anni, oltre alle campagne regolari in regime di concessione, l’area è stata oggetto di un ampio intervento nell’ambito del progetto SPA 26 (Locri, RC. Museo e Area Archeologica di Locri Epizefiri – Interventi finalizzati a migliorare la fruizione dell’area, mediante la riconnessione dei percorsi di visita), diretto da Rossella Agostino per conto della Soprintendenza Archeologica, per il quale l’Università di Torino ha curato l’attività di assistenza scientifica e di documentazione (Bonomi 2014: 561-563).
Colgo l’occasione per esprimere il mio ringraziamento alla Soprintendenza e a tutto il personale del Museo Archeologico Nazionale di Locri per la costante collaborazione con la missione torinese in questi proficui anni di esplorazioni e ricerche.
15 Barra Bagnasco 1980: 383-384; Ead. 2002: 96, n. 33. La proposta si basava, innanzi tutto, su un’irregolarità nella cadenza degli isolati a nord di I 6, registrata in contrada Centocamere: venne rinvenuto infatti a distanza regolare l’angolo sud-est di I 7, mentre non fu possibile indagare quello nord-est, a causa della presenza della stradella moderna e di alberi di grosso fusto. Venne invece scoperta più a nord la fronte di un edificio realizzato in grandi blocchi lapidei della larghezza di 11,40 m, ritenuto occupare interamente un isolato di sviluppo inferiore rispetto alla canonica larghezza di 27-28 m (I 8). Per deduzione, si ritenne che lo spazio intermedio pari a 25,20 m dovesse essere stato occupato da un ulteriore isolato di modulo ridotto – I 7 appunto – e da un’ampia arteria di 13,80 m, il cui battuto sarebbe stato esplorato per un brevissimo tratto. A nord di I 8 una serie di saggi evidenziarono invece la ripresa della regolare scansione degli isolati “fin quasi all’area dei templi di Marasà” (Barra Bagnasco 1980: 384).
L’ipotesi è stata riproposta in varie occasioni, anche recentemente: Barra Bagnasco 1984: 33, Fig. 2-B; Ead. 1996: 247, Fig. 1-3,B; Costamagna, Sabbione 1990: 56-57; Mertens, Greco 1996: 251; Sabbione 2004: 396; Id. 2005: 501; Mertens 2006: 171-172, Fig. 295; Sabbione 2010: 309-310, 315-318; Id. 2012: 830, 835 (dove però la larghezza della presunta plateia è indicata come pari a 11 m circa), Fig. 4; Il Parco Archeologico di Locri Epizefiri, 16-17 ,60 ,69 ,71-72; Bonomi 2014: 566, Fig. 12.
16 Tra i materiali più significativi dal punto di vista cronologico, si segnalano frammenti di una coppa e di un aryballos, entrambi del Protocorinzio Tardo. Per queste informazioni ringrazio la collega Valeria Meirano, che ha in studio la ceramica arcaica dello scavo.
17 Se si escludono le tracce di una struttura arcaica ipoteticamente connessa alla regimazione delle acque (infra), il primo intervento di occupazione antropica stabile nell’area è rappresentato da un pozzo realizzato tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C.
18 Sabbione 2010: 315, Fig. 21.3, n° 7-8. Si tratta di due sondaggi posti rispettivamente 85 e 120 m a monte del saggio C.
19 In vari punti della lunga trincea nord-sud, scavata tra il 2002 e gli anni 2010-2015, si sono infatti realizzati saggi in profondità che hanno rivelato la presenza di depositi alluvionali formatisi in una fase precedente alla regimazione delle acque stesse.
20 Il tratto a monte è stato messo in luce nell’area indagata nell’ambito del progetto SPA 26 (supra, n. 11) e in limitati saggi operati dalla Soprintendenza (Fig. 8,5-6), mentre quelli a mare sono emersi nella trincea 2002-2015 e nel saggio A).
21 I materiali residuali sono rappresentati principalmente da frammenti di coppe a filetti, mentre tra i reperti più recenti si segnalano prevalentemente frammenti di coppe ioniche di tipo B2, kotylai a fasce, coppe decorate a bande.
22 L’ipotesi era stata formulata da Marcella Barra Bagnasco dopo la prima campagna di scavi nell’area: si era infatti supposta la presenza di un “valloncello” all’estremo settentrionale della trincea, che sarebbe stato utilizzato “nei momenti di piena, come naturale percorso d’acqua e, nella restante parte dell’anno, come asse di scorrimento stradale di notevole larghezza, una vera e propria plateia monte-mare” (Barra Bagnasco 2002: 97). La duplice funzione è anche evocata dal ricorso all’espressione “canale-plateia” da parte di Claudio Sabbione per i limitati ritrovamenti operati nei due citati saggi posti a monte dell’area in esame (Sabbione 2010: 315).
23 Tale situazione appare particolarmente evidente nel settore a monte, nell’area interessata dall’intervento SPA 26 (supra, n. 11): qui il lungo tratto continuo, messo in luce per oltre 20 m, evidenzia lo sviluppo ininterrotto delle strutture di contenimento del canale.
24 Le strutture addossate perpendicolarmente ai profili esterni delle sponde appartengono a fasi in cui queste ultime avevano ormai perduto la loro originale funzione.
25 Una situazione analoga sembra ipotizzabile anche per l’area esterna all’argine settentrionale del canale. Tuttavia, a causa degli estesi e profondi interventi successivi, protrattisi fino all’epoca tardo-antica, l’assetto in età arcaica appare ancora da chiarire.
26 Per una descrizione analitica, con bibliografia precedente: Barra Bagnasco 1996: 262-264; v. anche Bouffier 2013: 134.
27 Verso mare il canale è stato seguito per uno sviluppo di 19 m, per quanto se ne sia supposta l’ulteriore prosecuzione verso la linea di costa (Barra Bagnasco 1996: 264, dove si propone convincentemente che l’attenzione rivolta al condotto, anche nel tratto extra moenia, sia in parte da ricondurre alla volontà di proteggere il porto da fenomeni di insabbiamento).
28 Barra Bagnasco 1996: 263. Per la diffusione in Occidente di soluzioni analoghe: supra, n. 9.
29 Come si è in parte visto in precedenza, la spalla settentrionale è riconoscibile per uno sviluppo di circa 140 m nel tratto a monte: un lungo segmento è stato messo in luce nell’area indagata nell’ambito del progetto SPA 26; all’altezza del saggio C, invece, essa non si è conservata o appare ‘sostituita’ da una struttura molto corrosa in scaglie e blocchetti di calcarenite, posta però 2,90 m a nord della posizione attesa: se la pertinenza di quest’ultima struttura all’argine settentrionale del canale fosse confermata, si dovrebbe supporre che a mare del salto di quota percepibile nel saggio A si sia sentita la necessità di allargare l’invaso per accrescere l’efficacia del sistema di contenimento delle acque.
Strutture con andamento obliquo per incanalare l’acqua nei varchi delle mura sono note sia a monte della porta ‘portuense’ (Barra Bagnasco 2000: 17, Fig. 3-4 ;8) sia a monte della porta ‘con postierla’ (ibid.: 25, Fig. 18-19). La situazione immediatamente a monte del varco per il passaggio dell’acqua connesso alla porta ‘di Afrodite’ non è invece mai stata indagata.
30 Barra Bagnasco 1977: 40-41, tav. VII-VIII; Ead. 1996: 248, 255, Fig. 1,V; Sconfienza 1996: 58-59.
31 Il settore più a monte raggiunto dalla scansione regolare degli isolati è quello testimoniato dai rinvenimenti operati immediatamente alle spalle della skene del teatro (Costamagna, Sabbione 1990: 251-254).
32 Una coerente organizzazione spaziale più antica, risalente al secolo precedente, è riflessa dall’assetto unitario delle strutture di VII sec. a.C. (supra), ma anche dalla possibile esistenza di una prima delimitazione dell’area urbana, anteriore alla fase monumentale tardo-arcaica (Schenal Pileggi 2010; in tal senso vedi anche Barra Bagnasco 2000: 30).
33 Sulla cronologia della cinta fortificata: v. in ultimo la sintesi in Barra Bagnasco 1996: 270-273.
34 Barra Bagnasco 1977: 42-46; Ead. 1996: 256-258; Gullini 1980: 130- 131; Costamagna, Sabbione 1990: 224-227. Per Mertens rientrerebbe nella categoria delle “porte festive” (Mertens 2006: 209); in assenza di specifici apprestamenti idraulici, è stato proposto che l’inclinazione delle lastre pavimentali verso mare favorisse l’evacuazione delle acque (Bouffier 2013: 134), che in ogni caso sembrano essere state limitate a quelle che si raccoglievano nell’area immediatamente retrostante il varco.
35 Negli stessi decenni nel santuario di Marasà l’originario sacello viene radicalmente ristrutturato assumendo le forme di un tempio dotato di peristasi (II fase: Gullini 1980: 24-45); un intervento altrettanto significativo coinvolge la stoa ‘ad U’ che viene raddoppiata (ibid.: 118- 124). Anche il Thesmophorion viene ampliato e ristrutturato nella seconda metà del secolo, per quanto solo successivamente si assista alla monumentalizzazione del santuario (Agostino, Milanesio Macrì 2014 :312-313).
36 Sulla riorganizzazione delle aree funerarie utilizzate sin dalla prima generazione dei coloni, in particolare quella settentrionale che si sviluppava lungo la strada uscente dalla porta di Parapezza diretta verso nord-est: Elia 2010: 340-342.
37 Seppur in misura differenziata nei vari saggi realizzati, la presenza del canale più recente è attestata per tutta la lunghezza corrispondente al tratto esplorato del collettore arcaico (140 m).
38 Questa tessitura è peculiare di tutto il tratto a monte, coincidente con l’area indagata in occasione del progetto SPA 26.
39 All’interno del canale più recente, si è evidenziata una successione di depositi di ghiaie e sabbie, senza tuttavia poter riconoscere una precisa stratigrafia, a causa delle limitate dimensioni del tassello operato, dovute alla sovrapposizione di una struttura di età romana. Lo strato ha restituito abbondante materiale ceramico databile a partire dalla prima metà del IV a.C. fino ai primi anni del secolo successivo, arco cronologico che sembra corrispondere al periodo d’uso del canale stesso. I riempimenti degli angusti cavi di fondazione, scavati nei depositi incoerenti del collettore arcaico, non hanno invece restituito reperti datanti. La cronologia appare confermata dai dati raccolti a monte, in occasione dello scavo di un lungo tratto del riempimento del canale (progetto SPA26).
40 Barra Bagnasco 2000: 18-20; l’intervento è datato “entro la metà del IV secolo”.
41 Come per la fase arcaica, non sono invece note strutture di contenimento verso sud.
42 Cfr. Barra Bagnasco 1999, dove la ristrutturazione del bacino portuale e della porta ‘portuense’ è inizialmente collocata nella seconda metà del IV sec. a.C. Più convincentemente la datazione è corretta in Ead. 2000: 15, 18-24, dove, pur non ritornando sulla cronologia degli interventi alle strutture portuali, si riconduce l’attività edilizia connessa alle mura e ai varchi di questo settore proprio alla prima metà del secolo. Da ultime, v. le considerazioni in Schenal Pileggi 2010: 382- 383, n. 5; Agostino, Milanesio Macrì 2014: 319, n. 58, dove la costruzione della torre angolare e il potenziamento della cinta muraria vengono connessi agli eventi storici della prima metà del IV sec. a.C. e danno avvio alla fase C, datata alla seconda metà dello stesso.
43 Mertens 2006: 433. Sull’ampliamento del territorio locrese nell’ambito della campagna avviata nel 390 a.C. (Caulonia, Hipponion, Skylletion), in relazione al rafforzamento del legame dinastico con l’aristocrazia locale a seguito del matrimonio con Doride: Musti 1980: 96-100; Bruno Sunseri 2002: 368; De Sensi Sestito 2002: 394-395. L’intento di Dionisio I è esplicitamente ricordato in Diod. XIV 107,2.
44 Per quanto l’ampliamento delle torri e l’ispessimento della cortina siano stati letti nel senso di un adeguamento alle tecniche ossidionali (Barra Bagnasco 2000: 19-20), a Locri la valenza difensiva della cinta non sembra ancora prevalente sulle esigenze di monumentalizzazione, come sembrano testimoniare il mantenimento di ampi varchi e la presenza di numerosi complessi addossati alle mura, sia lungo il tratto costiero (gli oikoi a schiera, la stoa ‘ad U’, la casa ‘dei leoni’) sia lungo quello settentrionale (Thesmophorion); in questo senso già Costamagna, Sabbione 1990: 51.
45 A questo proposito, v. ad esempio le considerazioni in De Sensi Sestito 1988 :280-281.
46 I livelli di vita più antichi dell’isolato sono stati raggiunti solamente per limitatissime porzioni. In particolare, la prima occupazione appare riconducibile alla prima metà-metà del IV sec. a.C. sulla base di un ridotto numero di frammenti a vernice nera.
47 Per una presentazione preliminare dell’area: Elia, Meirano 2016. V. anche Bonomi 2014.
48 Da ultima: Barra Bagnasco 2000: 26-28, con datazione aggiornata.
49 La datazione degli isolati irregolari e, quindi, dell’occupazione della fascia tra la plateia marina e la fronte interna delle mura, lasciata originariamente libera, è tradizionalmente posta alla metà del IV sec. a.C. (Barra Bagnasco 1980, p. 382; Ead. 2000: 29; Meirano 2012: 264), anche se sono stati avanzati dubbi su questa cronologia ed è stata ipotizzata un’occupazione più antica (Costamagna, Sabbione 1990: 229).
50 Ancora una volta la situazione riconosciuta per un breve tratto nella trincea 2002-2015 è stata confermata dallo scavo in estensione nel settore indagato immediatamente a monte, nel corso del progetto SPA 26. La superficie del battuto corrisponde in molti punti alla quota superiore del bacino stratigrafico antico conservato ed è direttamente a contatto con gli strati di formazione moderna. Non è quindi accertabile se tale battuto fosse contenuto tra le due strutture del canale, ormai spogliate (lembi si espandono talvolta sulle creste superiori dei blocchi), oppure se esso si estendesse anche alle fasce perimetrali dei supposti stenopoi (I 7 e I 8); finora in nessun punto se ne sono riconosciuti lembi all’esterno delle strutture in blocchi di calcarenite.
51 L’elemento cronologicamente più significativo in tal senso è rappresentato da un frammento di teglia a orlo ingrossato, tipo particolarmente diffuso nei contesti locresi a partire dagli ultimi decenni del III sec. a.C.
52 Barra Bagnasco 2000: 19, n. 24 e Fig. 3, dove il nuovo asse è indicato con la dicitura “strada romana”.
53 Solo la postierla a sud non sembra essere mai stata interessata da definitive chiusure, verosimilmente in ragione delle dimensioni ridotte, che la rendevano con tutta probabilità facilmente difendibile.
54 Per le vicende storiche che coinvolgono Locri nel corso del III sec. a.C., cfr. Costabile 1976: 66-72; Musti 1994.
Auteur
-
Diego Elia
Università di Torino
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Peupler et habiter l’Italie et le monde romain
Stéphane Bourdin, Julien Dubouloz et Emmanuelle Rosso (dir.)
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Catherine Dureuil-Bourachau
2015
Sarta Tecta
De l’entretien à la conservation des édifices. Antiquité, Moyen Âge, début de la période moderne
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2019
Gérer l’eau en Méditerranée au premier millénaire avant J.-C.
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Le village de la Capelière en Camargue
Du début du ve siècle avant notre ère à l’Antiquité tardive
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2019
Les métaux précieux en Méditerranée médiévale
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L’Homme et l’Animal au Maghreb, de la Préhistoire au Moyen Âge
Explorations d’une relation complexe
Véronique Blanc-Bijon, Jean-Pierre Bracco, Marie-Brigitte Carre et al. (dir.)
2021