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    Plan détaillé Texte intégral L’area di via Bellini Le indagini nel settore centrale La fornace arcaica (Ina Casa) La fornace circolare e il santuario di Apollo Bibliographie Notes de bas de page Auteurs

    Travailler à l’ombre du temple

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    Aree sacre e impianti produttivi: il caso di Pontecagnano

    Luca Cerchiai, Teresa Cinquantaquattro et Aurora Lupia

    Texte intégral L’area di via Bellini Le indagini nel settore centrale La fornace arcaica (Ina Casa) La fornace circolare e il santuario di Apollo Bibliographie Notes de bas de page Auteurs

    Texte intégral

    1Nell’insediamento etrusco-campano di Pontecagnano l’attivazione di consistenti attività produttive è ben delineabile sulla base dei materiali provenienti dalle necropoli che documentano una forte incidenza delle produzioni locali; in ombra è, invece, rimasto l’aspetto più propriamente connesso ai luoghi della produzione1.

    2In un recente contributo A. De Feo ha operato una sintesi dei dati disponibili evidenziando l’esistenza di molteplici aree produttive2.

    3La più rilevante è ubicata sul versante suburbano sud-orientale della città antica, in loc. S. Antonio, nella zona di via Palinuro (fig. 1): si tratta di un ampio quartiere artigianale dedicato alle produzioni ceramiche, in cui sono state rinvenute 13 fornaci, la cui ulteriore estensione a nord e ovest rispetto alle aree indagate è segnalata dalle prospezioni geofisiche eseguite dalla Fondazione Lerici nel 1978-79.

    Fig. 1 - Pontecagnano; l’abitato antico con ubicazione degli impianti artigianali.

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    Da De Feo 2017.

    4I dati disponibili consentono di datare il funzionamento di questo settore produttivo dall’inizio del VI alla II metà del IV sec. a.C.: un range cronologico non casualmente compreso tra il processo di urbanizzazione dell’insediamento e la sua irreversibile crisi politica.

    5Una più circoscritta area artigianale si colloca a sud della città lungo l’attuale via Cristoforo Colombo, che certamente riprende un tracciato antico che conduceva al mare: in questo caso, un intervento di emergenza ha portato alla scoperta di due fornaci rettangolari databili alla fine del VI sec. a.C. e di un’area aperta in battuto contenente materiali compresi entro il I quarto del V sec. a.C.

    6A questo contesto si collega una piccola necropoli restata in uso dalla I metà del VI al IV sec. a.C. e l’insieme è forse riferibile ad un unico nucleo suburbano, ubicato immediatamente all’esterno delle mura, riservato, almeno in età arcaica, a funzioni di produzione e scambio3.

    7Una situazione diversa, ancorché isolata, è documentata dai recenti scavi eseguiti lungo il tracciato dell’autostrada, all’estremità settentrionale dell’impianto urbano, in un’area periferica della città inserita entro il perimetro della fortificazione: in corrispondenza di edifici conservati solo al livello di fondazione, probabilmente organizzati intorno ad una corte, è stata rinvenuta una piccola fornace obliterata entro la metà del V sec., presso la quale era situato un pozzo4.

    8Occorre ribadire che si tratta dell’unico caso di impianto produttivo rinvenuto all’interno dei quartieri di abitazione.

    9Dall’insieme di queste testimonianze occorre distinguere la documentazione relativa alla presenza di impianti produttivi entro le aree sacre.

    10Nell’area del santuario in loc. Pastini, situato presso il versante nord-orientale dell’insediamento su un plateau distinto dal pianoro dell’abitato, è stata rinvenuta una fornace di IV sec.: probabilmente utilizzata per la produzione di ceramica comune, essa era dotata di prefurnio, camera di combustione circolare e piano di cottura sostenuto da quattro pilastrini.

    11Nella notizia preliminare dello scavo P. Aurino inquadra la fornace all’interno di un ampio settore adiacente alla zona più direttamente connessa alle funzioni di culto, caratterizzato da strutture risalenti già al VI sec. a.C., e ipotizza l’esistenza di “un’area artigianale strettamente connessa all’attigua area sacra”5.

    12È all’interno di questo rapido inquadramento che si colloca la relazione dedicata alla documentazione archeologica proveniente dall’area di via Bellini e dal santuario meridionale di Apollo, dalla quale si possono inferire una serie di informazioni utili per approfondire il rapporto tra pianificazione urbana e luoghi della produzione.

    L’area di via Bellini

    13Il complesso di via Bellini occupa l’angolo sud-ovest dell’insediamento antico, a occidente della grande piazza sulla quale si apriva il contiguo santuario di Apollo (fig. 2); tra il 1968 e il 1969, seguendo e anticipando la frenetica attività edilizia che caratterizzava quegli anni, Bruno d’Agostino condusse una serie di saggi preliminari all’edificazione di alcuni lotti di terreno individuando quelle che ancora oggi rappresentano le più antiche testimonianze di occupazione dell’abitato, risalenti al periodo Orientalizzante, e almeno due edifici databili tra l’età arcaica e ellenistica. Poco a nord fu riconosciuto in due diversi saggi un asse viario (prop. Noschese, fig. 2.f-g) e, verso nord-est, una struttura inizialmente interpretata come “altare” (prop. Ina Casa), che si rivelò invece, dopo lo scavo, una fornace arcaica (fig. 2.d)6.

    Fig. 2 - Inquadramento topografico: a) strada (prop. Negri, scavi 1966-1967); b) fossato e blocchi in caduta lungo la SS.18; c) via Verdi, santuario di Apollo; d) fornace Ina Casa; e) complesso via Bellini (scavi 1968-69); f) strada (prop. Noschese, scavi 1968); g) strada (scavi 2001).

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    Da Massanova 2018.

    14Le modalità di svolgimento delle indagini, forzatamente limitate agli ingombri delle singole edificazioni, hanno restituito un quadro piuttosto frammentato; tuttavia, grazie alle successive ricerche sul campo e all’attuale disponibilità di una cartografia digitalizzata, che consente di raccordare tra loro su un piano sincronico e diacronico i singoli elementi, è possibile oggi ricomporre la storia topografica e urbanistica di questo settore dell’abitato antico.

    15Tra la fine dell’VIII e la fine del VII sec. a.C. l’area ad est dell’attuale via Bellini era occupata da strutture capannicole, alle quali si ipotizza possano riferirsi tre pozzi (A, B, F) utilizzati per la captazione dell’acqua di falda (fig. 3). I reperti offrono un panorama sufficientemente ampio della cultura materiale dell’abitato, che va a completare e arricchire le conoscenze sulle produzioni ceramiche per il periodo Orientalizzante, in gran parte dipendenti dall’evidenza delle necropoli.

    Fig. 3 - Complesso di via Bellini (scavi 1968-69); pianta e sezione SS’.

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    Rilievi C. Lanzara, Archivio Soprintendenza di Salerno.

    16Il pozzo A è stato rinvenuto ricolmo di uno scarico intenzionale, composto per lo più da vasi interi d’impasto (fig. 4-5): la forma più rappresentata è la situla, in impasto grezzo a superficie lucidata ma anche in un impasto chiaro, micaceo, forse di importazione, alla quale si accompagnano forme d’uso comune, come bacini, olle a labbro svasato, coppe-coperchio, pithoi, fornelli. Nell’impasto fine ricorrono forme del repertorio locale, come l’anforetta e lo scodellone, ma anche tipi ibridi, come l’anfora ad alte anse sormontanti che richiama tratti peculiari della cultura irpina di Oliveto Citra - Cairano (fig. 4.2). Su un’anforetta d’impasto, al di sotto dell’ansa, è graffito un segno o una lettera, tra le più antiche attestazioni epigrafiche da Pontecagnano (fig. 4.7; fig. 5.4)7. In associazione con i vasi descritti, vanno citate poche forme di argilla depurata (due oinochoai e una bottiglia di tipo italo-geometrico). Il complesso dei materiali si può datare tra la fine dell’VIII e la metà del VII sec. a.C., momento nel quale il pozzo è stato intenzionalmente defunzionalizzato.

    Fig. 4 - Via Bellini, materiali dal pozzo A.

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    Disegni G. Stelo.

    Fig. 5 - Via Bellini, foto dei materiali dal pozzo A (nn. 1-4) e dal pozzo B (n. 5).

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    S. Stompanato, Laboratorio Museo di Pontecagnano.

    17Entro la fine del VII sec. a.C. si può datare la dismissione del pozzo B, nel quale sono stati rinvenuti materiali frammentari pertinenti per lo più a forme di uso comune (bacini con orlo a mandorla, olle e tegami con prese plastiche), oltre a qualche frammento di ceramica italo-geometrica e – elemento di rilievo – un frammento di cratere di tipo euboico-pitecusano (fig. 5.5). Alla stessa fase di occupazione è riconducibile un terzo pozzo (F) ubicato a sud dei precedenti, che ha restituito pochi materiali, tra i quali, ancora una volta, un’anforetta d’impasto intera8.

    18A nord della fascia occupata dalle capanne si impianta un edificio del quale è noto solo il margine meridionale di un ambiente (fig. 3.1; largh. ca. 12 m) definito da due strutture ortogonali costruite a secco con pietre irregolari di travertino. La sua cronologia, in assenza di dati stratigrafici, è ipotizzata sulla base del materiale ceramico pertinente alle più antiche fasi d’uso – si tratta quasi esclusivamente di forme aperte di ceramica fine – che si pone tra la prima metà del VI sec. a.C. e l’età tardo-arcaica: oltre a un frammento di coppa attica del tipo di Siana, sono presenti coppe ioniche, coppe a vernice nera etrusco-arcaiche, bucchero.

    19In un momento non meglio precisabile, ma presumibilmente nel corso del IV sec. a.C., una nuova fase edilizia caratterizzata dall’uso di blocchi squadrati di travertino9 è documentata da un grande edificio di almeno 20 m ca di larghezza in senso nord-est/sud-ovest, con un’ampia area ipetra al centro corrispondente alla zona precedentemente occupata dalle capanne. Ai pozzi A e B, inutilizzati da lungo tempo, si affiancano analoghi apprestamenti (pozzi C, D, E), dai riempimenti dei quali proviene ceramica che – in sintonia con quella restituita dagli ambienti contigui – fissa la fine dell’occupazione dell’area alla fine del IV-inizi del III sec. a.C.

    20Considerata l’esiguità dei resti conservati e la mancanza di notazioni stratigrafiche, la ricostruzione della planimetria dell’edificio, in particolare per quanto riguarda l’ala occidentale, resta ipotetica. Il lato nord è certamente occupato da un ambiente rettangolare (fig. 3.2; 12,50 × 4 m ca.) che utilizza la struttura di età arcaica come muro di fondo; al suo interno non si sono individuate tracce di eventuali suddivisioni. Più problematica la ricostruzione del lato ovest, dove non è certa la pertinenza ad un’unica fase degli ambienti 3 e 4; il vano 3 presenta un piccolo setto addossato al muro occidentale, che potrebbe essere inteso quale base per un sostegno ligneo della copertura o come resto di un muro divisorio.

    21Nell’area centrale scoperta (n. 5), oltre ai pozzi, sono stati individuati una teca (fig. 3.H) recante sul fondo tegole poste orizzontalmente, che richiama analoghi apprestamenti individuati nel santuario di via Verdi10, e un pozzetto (G) adiacente al pozzo B – e con esso comunicante – all’interno del quale è stata rinvenuta una pisside con coperchio pressoché integra databile nella seconda metà del IV sec. a.C.

    22Sia per la fase più antica che per quelle successive, resta sub iudice il rapporto tra il complesso descritto e il limitrofo santuario di Apollo, nel quale le più antiche tracce del culto risalgono alla fine del VII-inizi VI sec. a.C., ma sono emerse fasi di occupazione/frequentazione di età Orientalizzante coeve all’insediamento di capanne su descritto.

    23Incerta, anche se molto suggestiva, appare una possibile valenza “pubblica” dell’area di via Bellini già in età Orientalizzante, laddove si vogliano valorizzare, da un lato, gli elementi di continuità topografica, dall’altro, le particolari modalità di riempimento intenzionale dei pozzi con vasi interi, in particolare del pozzo A, che potrebbero indiziare una forma di ritualità connessa alla defunzionalizzazione dell’area.

    24Per le fasi successive il posizionarsi dell’edificio di età arcaica-ellenistica sui margini dell’ampia area aperta, la stessa sulla quale si apriva, sul lato opposto, il santuario di Apollo, nonché la tipologia dei materiali rinvenuti, cronologicamente omogenei con quelli restituiti dall’area sacra e per di più costituiti sostanzialmente da forme aperte a vernice nera (kylikes, coppe e skyphoi), potrebbero suggerire un collegamento funzionale con il santuario e una sua possibile destinazione all’accoglienza e/o ad attività di consumo collettive.

    25Da un punto di vista topografico, occorre ancora evidenziate che l’edificio di via Bellini presenta un orientamento coerente con l’impianto urbano ed è delimitato ad occidente da un asse stradale, un tratto del quale è stato individuato in prossimità della S.S. 18 (fig. 2.g). Sulla proiezione verso nord del suo tracciato si allineano i tratti scavati da Bruno d’Agostino nel 1968 in prop. Noschese (fig. 2.f): con probabilità l’asse viario costituisce il limite occidentale dell’area pubblica11. Rispetto alla definizione del perimetro di quest’ultima, è opportuno ricordare che in corrispondenza della S.S. 18 (fig. 2.b) è stato individuato un fossato antico, all’interno del quale sono stati rinvenuti in caduta blocchi squadrati di travertino, presumibilmente da riferire alle fortificazioni urbane; poco distante, a Nord, si localizza una strada (prop. Negri) con andamento nord/ovest-sud/est (fig. 2.a) le cui prime fasi d’uso si possono collocare agli inizi dell’Orientalizzante, in concomitanza con una fase di ristrutturazione dell’insediamento12.

    Le indagini nel settore centrale

    26In assenza di elementi che chiariscano le modalità di occupazione dell’abitato nella fascia posta a nord del complesso via Bellini-via Verdi, è possibile proporre alcune notazioni che potranno trovare spazio nelle ricerche future13.

    27Un elemento di riflessione per la ricomposizione della topografia urbana antica è fornito dall’individuazione, a circa 20 m a nord-est dello scavo di via Bellini, di una fornace rettangolare (fig. 2.d; fig. 6). L’impianto produttivo sembrerebbe affacciarsi direttamente sull’ampio spazio libero da edificazioni la cui esistenza, si ricorda, è stata ricostruita sulla base dell’esito delle indagini condotte alla fine degli anni 1970 in sei lunghe trincee14 dove si rinvennero livelli di frequentazione coevi alle fasi documentate nei complessi di via Bellini e via Verdi15, ma in assenza di evidenze strutturali.

    28Le peculiarità dei materiali riconosciuti nell’area sacra, come è noto, identificano il santuario nella categoria degli spazi sacri votati all’apertura ed al contatto della comunità verso l’esterno, funzione che ben si lega alla presenza di uno spiazzo libero per il quale, oltre a una funzione genericamente “pubblica/politica”, è possibile immaginare una possibile valenza anche di tipo mercantile16.

    29Come già suggerito17, è probabile che tale funzione, evidente per l’età arcaica e classica, quando le strutture di via Bellini e via Verdi e la fornace rettangolare definivano su tre lati la piazza18, fosse in qualche modo anticipata già nell’Orientalizzante: lo suggerisce, in entrambi i contesti, la presenza di vasellame di importazione, cumana o pithecusana (cratere di via Bellini, kylikes con ornati a sigma da via Verdi), oltre che dall’area irpina della cultura di Oliveto Cairano (anfora con anse sormontanti dal pozzo A di via Bellini, uno scodellone d’impasto da via Verdi (fig. 9.10).

    30Un ulteriore elemento di valorizzazione di tale settore dell’abitato è stato suggerito da C. Pellegrino che ha messo in risalto la “relazione privilegiata” tra la piazza e il nucleo sepolcrale “gentilizio” di Piazza Risorgimento con le tombe “principesche” 926 e 92819.

    31La contiguità di impianti produttivi alla piazza – alla fornace Ina Casa si deve aggiungere l’evidenza più antica restituita dall’area sacra di Apollo e della quale si tratterà di seguito – risulta dunque uno degli aspetti da approfondire per la comprensione della destinazione funzionale di questo settore dell’abitato.

    La fornace arcaica (Ina Casa)

    32La fornace rinvenuta a settentrione20 presenta struttura a pianta rettangolare orientata nord-ovest/sud-est e dimensioni notevoli (L. 5,60 m × l. 1,40 m); all’interno della camera di combustione si conserva solo per un breve tratto il muro di spina destinato a sorreggere il piano di cottura (fig. 6)21. La bocca d’alimentazione dell’impianto si apre a nord-ovest ed appariva ostruita da frammenti di pithoi, da una tegola e da scaglie di travertino. Le strutture perimetrali sono conservate per un’altezza massima di 0,55 m, corrispondente a sei ricorsi di mattoni in argilla cruda. Questi ultimi, di lunghezza costante pari a 0,39 m, appaiono concotti e parzialmente vetrificati sulle superfici per la prolungata esposizione al calore della combustione. Il fondo è costituito direttamente dal banco basale di terreno argilloso.

    Fig. 6 - Fornace Ina Casa: pianta e foto di scavo.

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    Archivio Soprintendenza di Salerno.

    33Nulla resta del piano forato che doveva essere poggiato sul muro di spina longitudinale (L. 0,80 m). Le strutture della camera di cottura sono andate disperse: solo in via ipotetica possono essere attribuiti alle sue pareti i numerosi grumi di argilla concotta rinvenuti negli strati di obliterazione22. In tali accumuli sono stati recuperati anche elementi di argilla combusti a profilo convesso, alcuni dei quali con tracce di elementi vegetali, attribuiti al crollo della copertura a volta. Intorno alla struttura una spessa ed ampia fascia di terreno mostrava inequivocabili i segni dell’esposizione al calore generato dalle alte temperature raggiunto nelle fasi della produzione. Il precario stato di conservazione del muro di spina non rende agevole la definizione trasversale tra prefurnio e camera di combustione, mentre appare improbabile la prosecuzione del muro di spina fino all’imboccatura, con una partizione longitudinale di tutto lo spazio23.

    34Il riempimento della fornace risultava compromesso nella sua affidabilità stratigrafica da vari interventi, tra cui un ampio scasso sulla parete sud-ovest, cui si deve la presenza di materiali tardi nella camera, come un frammento di sigillata chiara D24. La struttura appare ricolma di materiali scaricati in grossi accumuli intercalati da uno spesso strato di tegole e mattoni; gli elementi diagnostici rinvenuti in associazione non offrono spunti per giustificare un’articolazione cronologica di tale deposito, formatosi verosimilmente in un arco temporale circoscritto raccogliendo materiali residuali dai contesti circostanti.

    Fig. 7 - Fornace Ina Casa, i materiali.

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    Disegni A. Beatrice.

    35Un insieme cospicuo di 287 distanziatori – del tipo triangolare a base ellittica – resta a testimonianza della vocazione produttiva della struttura (fig. 7.4-5). In generale, la ceramica era in percentuale poco attestata25: pochi frammenti più antichi sono coevi alla frequentazione più antica delle aree contigue (via Bellini e via Verdi), mentre decisamente più numerose appaiono le attestazioni di pieno VI secolo, in coincidenza dunque con la fase di strutturazione monumentale dei due complessi; tra queste si evidenzia un fondo di coppa carenata di bucchero con lettera graffita dagli strati superficiali26. Il reperto più recente sembra essere rappresentato da una coppetta a vernice nera su basso piede, molto frammentaria (fig. 7.11), datata agli inizi del V secolo, da intendersi come terminus ante quem per la vita dell’impianto.

    36Sebbene nessuno scarto sia stato segnalato nel corso dello scavo, la quantità di tegole e mattoni rinvenuti nel riempimento, nonché la tipologia e le dimensioni della fornace, suggeriscono un utilizzo dell’impianto per la produzione di componenti edilizie fittili (tegole, mattoni, etc.), forse da collegare alla costruzione/manutenzione degli edifici di via Bellini o dell’area sacra di via Verdi. Alla specifica funzione di quest’ultima rimandano due elementi isolati restituiti dallo scavo dell’area: si tratta di ex voto in terracotta raffiguranti dei piedi, categoria ampiamente attestata nei pozzi 1 e 3 del santuario di Apollo.

    37Per la planimetria e le caratteristiche costruttive la fornace trova confronti con impianti destinati prevalentemente alla produzione di tegole e terrecotte architettoniche, mentre la stessa tipologia sembra meno frequente per fornaci adibite alla produzione ceramica. Strutture simili si riconoscono ad esempio a Lavinium, nel santuario delle XIII are (VI sec.-prima metà V sec. a.C.)27 e dall’abitato (del III sec. a.C.)28; a Caere (del IV-III sec. a.C.)29; a Metaponto, due fornaci nell’area urbana ad est dei templi sono probabilmente destinate alla produzione di terrecotte architettoniche30 e un impianto per ceramiche è documentato dalla chora presso loc. Torretta in agro di Pisticci, dove è connesso ad un nucleo a carattere rurale attivo tra la seconda metà del VI e la seconda metà del V a.C.31; a Naxos, infine, si segnala una fornace nei pressi del santuario sud occidentale utilizzata per la produzione di tegole e terrecotte architettoniche (fine VII-VI sec. a.C.)32.

    38Verosimilmente in relazione al ciclo produttivo, così come suggerito peraltro anche nel diario di scavo, è la presenza di un pozzo per la captazione dell’acqua riconosciuto a circa 14 m a sud-est della fornace. La struttura è del tipo a campana con stretta imboccatura ed è stato svuotato per almeno 3,60 m di profondità. Dalle descrizioni del rinvenimento si evince che il pozzo era stato colmato, da 2,20 m di profondità fino all’imboccatura, con un riempimento intenzionale fortemente rimaneggiato, come dimostra il rinvenimento di vasi di ceramica a bande di epoca alto medievale33. La parziale revisione dei reperti ha consentito il riconoscimento di un gruppo di frammenti di età orientalizzante ed arcaica34 e di alcuni blocchi squadrati, di cui almeno due sembravano presentare tracce di decorazioni modanate35. Solo un approfondimento dello studio delle evidenze potrà confermare la connessione cronologica e funzionale del pozzo con la fornace rettangolare, così come d’abitudine in apprestamenti di tipo artigianale; la presenza contestuale di pozzi e fornaci è peraltro confermata anche nel quartiere artigianale di Pontecagnano esplorato in località S. Antonio36.

    La fornace circolare e il santuario di Apollo

    39Una seconda più antica fornace è stata rinvenuta nel settore orientale, occupato a partire dal periodo arcaico dal santuario di Apollo37. Ubicata nel settore centrale dello scavo (fig. 8), essa risulta anteriore alla evidenze edilizie di epoca arcaica e tagliata anche dal muro settentrionale dell’oikos di epoca ellenistica (A). L’evidenza ceramica del riempimento della camera di combustione e nel praefurnium pone la dismissione dell’impianto tra il terzo quarto e la fine del VII secolo, un momento coevo dunque alla chiusura del pozzo B di via Bellini.

    Fig. 8 - Santuario di Apollo: la fornace orientalizzante.

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    40La fornace di via Verdi ha pianta circolare (di circa 1 m di diam.), con piano forato sorretto da pilastrini, e prevede un breve prefurnio rettangolare (L. conservata 0,50 m, l. 0,48 m) delimitato da blocchi di travertino (0,50 per 0,15 m) sigillati all’interno da lastre di argilla cruda (fig. 8). Un accumulo di scaglie di tufo, conservatosi nella fossa di fondazione del vano A, costituiva probabilmente la chiusura della bocca del prefurnio. La camera di combustione circolare è tagliata direttamente nel suolo, ma ad una quota leggermente più alta rispetto al piano del condotto. Il fondo non è rivestito, mentre il perimetro del taglio è delimitato da lastre di argilla cruda conservatesi solo in parte. Le lastre sono poste di taglio e rincalzate all’esterno da lastre di travertino che recano ancora evidenti le tracce dell’esposizione al calore. Nel riempimento della camera sono stati rinvenuti grossi frammenti di argilla concotta, pertinenti forse al crollo del piano forato, e resti dei pilastrini in tufo di cui due ancora in situ ed uno in crollo. Assenti invece le tracce della camera di cottura e della struttura di copertura asportate al momento della realizzazione dei primi edifici monumentali di epoca arcaica. Il lato sud-est dell’impianto è interrotto da un taglio rettangolare che ha sconvolto il riempimento della camera al punto che elementi strutturali, quali alcune lastre di argilla concotta, sono state recuperate dal suo svuotamento.

    41L’assenza del piano forato non consente di ricostruire l’elevato della camera, probabilmente poco più alto del taglio nel banco naturale di argilla. Allo stesso modo la mancanza di scarti di lavorazione non offre la possibilità di definire il tipo di produzione né di precisarne le fasi d’uso in maniera puntuale: i materiali recuperati, pertinenti alla sua dismissione, ne suggeriscono piuttosto il terminus ante quem (terzo quarto del VII sec. a.C.)38. Pochi e molto frammentati i reperti: tra i materiali più antichi un’oinochoe del tipo a corpo arrotondato (fig. 9.2)39, kylikes di tipo protocorinzio (fig. 9.3-4)40 , tra le quali una di probabile importazione pitecusana o cumana, e forme aperte, come le lekanai (fig. 9.5-6) e i piatti (fig. 9.7-8).

    Fig. 9 - Santuario di Apollo: 1-9) materiali dalla fornace orientalizzante; 10-12) Materiali di età orientalizzante dai livelli del santuario.

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    42Molto lacunose le tracce di epoca Orientalizzante nello scavo di via Verdi: coevi all’apprestamento artigianale sono, con molta probabilità, i lacerti di piani in terra battuta e pochi buchi per palo presenti a sud ed a nord-ovest della fornace (fig. 10.1). Tale osservazione va però bilanciata dalla considerazione che, diversamente dal settore occidentale, nel santuario di Apollo la complessità delle indagini non ha consentito l’esplorazione integrale del complesso, arrestandosi a poche decine di centimetri dal piano moderno.

    43A riprova di quanto le testimonianze di epoca orientalizzante potrebbero in futuro essere implementate, consentendo così di valorizzare discontinuità e/o possibili costanti sia nella organizzazione planimetrica sia nella definizione funzionale delle due aree, l’interessante campionatura ceramica che, seppure rinvenuta in forma residuale, documenta una significativa presenza di oggetti coevi alla vita della fornace e dei pozzi di via Bellini41. Oltre a vari materiali isolati42, si devono segnalare i reperti da una piccola fossa a nord-ovest della fornace, tra il pozzo 2 ed una struttura mal conservata, che delimita a nord un’area di offerte43. Nel riempimento, datato tra fine VI sec. e inizi del V sec. a.C. per la presenza di una coppetta monoansata a fasce, era un consistente nucleo di materiali di impasto databili tra la fine dell’VIII e la fine del VII sec. a.C. (fig. 9.11-12): un’anforetta a ventre espanso, uno scodellone carenato del medesimo orizzonte cronologico, un’olla a corpo globulare, due olle cilindro-ovoidi presenti in contesti dell’Orientalizzante, un orlo di pithos di un tipo presente anche nel pozzo B di via Bellini. Tali presenze, seppur in giacitura secondaria, si associano ad un piano in terra battuta compromesso dalla fossa ma che si estende a nord oltre i limiti del taglio.

    44Allo stato delle indagini è dunque problematico definire la relazione della fornace con le tracce di frequentazione d’epoca orientalizzante riconosciute nei due complessi. Testimonianza al momento isolata in quest’area, l’impianto deve essere stato a servizio di un settore dell’abitato le cui valenze sembrano andare oltre una semplice funzione residenziale, in virtù della presenza di pozzi dismessi forse a seguito di atti rituali (via Bellini) così come per l’attestazione di materiali di importazione apparentemente non riferibili a nuclei funerari.

    45In via Verdi le strutture sicuramente legate al culto di Apollo si datano tra l’età arcaica ed il IV sec., periodo al quale rimandano le dediche al dio. Al VI sec. risalgono le più antiche iscrizioni dedicatorie ad Apollo, la prima, redatta in alfabeto acheo, riporta la dedica Apol44; la seconda, graffita in lingua etrusca, riporta il nome del dio infero Manth assimilabile a Dis Pater e allo stesso Apollo45. Come già sottolineato da L. Cerchiai, i caratteri salienti del santuario meridionale rimandano alle valenze specifiche degli hierà dedicati ad Apollo presenti sul litorale tirrenico46.

    46La prima strutturazione edilizia del complesso presenta muri in ciottoli e piccole scaglie di travertino, simili per tecnica costruttiva a quelle rinvenute in via Bellini. In questa fase almeno due ambienti si conservano nella parte meridionale dello scavo, ma lo stato di conservazione impedisce di determinarne funzione e sviluppo planimetrico.

    47La connotazione sacrale dell’area in questo periodo è garantita, oltre che dalle dediche al dio, anche da testimonianze di diverse pratiche devozionali. Alla sfera del sacro rimanda una piccola teca quadrangolare rivestita e ricoperta da laterizi, ma priva del fondo (fig. 10.1), che ricorda la struttura simile già citata per il settore presso via Bellini (fig. 3.H). In assenza di elementi che ne determinino un diverso utilizzo, se ne può suggerire l’identificazione quale apprestamento per le libagioni; l’assenza di un rivestimento sul fondo garantirebbe infatti la dispersione dei liquidi verso il sottosolo, mentre la copertura in laterizi sancirebbe il termine dell’atto rituale e la protezione dell’offerta.

    48Ancora ad atti devozionali rimanda l’offerta riconosciuta nell’angolo sud-ovest, costituita da un servizio di vasi legato anch’esso all’atto del libare: un’oinochoe, un’anforetta e tre coppette databili alla fine del VI sec. a.C.

    49Solo poche evidenze materiali, coroplastica e due dediche al dio, attestano la vitalità del santuario ancora allo scorcio del V secolo47.

    50La ristrutturazione messa in atto nel corso del IV secolo investe il precedente impianto: le nuove strutture in grosse scaglie di travertino o in blocchi squadrati, si sovrappongono agli edifici più antichi, pur osservando gli orientamenti e la pianificazione complessiva dell’area. Gli spazi lasciati liberi dalle strutture di epoca arcaica sono ancora rispettati e deputati alla raccolta di offerte votive: pozzetti per libagioni, deposizioni di doni, sacrifici a fuoco, ma soprattutto l’apprestamento di almeno tre pozzi (1, 2, 3) colmati con ex voto all’atto della futura dismissione del santuario (fig. 10.1).

    Fig. 10 - Santuario di Apollo: 1) planimetria; 2) antefissa di Atena con elmo frigio dal pozzo 1; 3) testa femminile con polos dal pozzo 1; 4) patera a figure rosse dal pozzo 2.

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    Archivio Soprintendenza di Salerno.

    51Il nuovo impegno costruttivo è concomitante nelle due aree (via Bellini e via Verdi)48, mentre lo spiazzo centrale anche in questa fase è significativamente risparmiato da edifici, suggerendo, nella continuità dell’organizzazione urbanistica, il perpetuarsi di una medesima funzionalità.

    52Poche le tracce delle decorazioni architettoniche rinvenute in giacitura secondaria all’interno dei pozzi votivi (antefisse del tipo di Atena con elmo frigio, fig. 10.2, o sime a protome leonina)49 o nei livelli di abbandono (frammenti di kalypter egemones)50.

    53Un unico edificio (Ambiente A) è ricostruibile pressoché integralmente: si tratta di un oikos a pianta quadrata (6 × 6 m) che si impone sui resti di strutture di epoca arcaica, tagliando anche la teca in laterizi. Il rinvenimento di numerosi pesi da telaio al suo interno richiama suggestivamente gli edifici cultuali noti in ambito lucano e connessi al culto di divinità femminili51.

    54Esterni all’oikos ed allineati nell’area aperta votata alle offerte, sono due pozzi ed una cisterna che hanno restituito le tracce più significative per la definizione della sfera del sacro52: il pozzo 1 è destinato ad accogliere ex voto anatomici e i resti di decorazione architettonica; il pozzo 2 le offerte vascolari, tra cui i vasi con le iscrizioni al dio. La presenza di dediche ad Apollo perdura ancora alla metà del IV sec. a.C., periodo al quale possono datarsi alcune coppette a vernice nera con iscrizione in alfabeto acheo53.. All’interno di essi la summenzionata antefissa di Atena con elmo frigio, una patera a figure rosse con volto femminile databile alla fine del IV sec. a.C. Accanto a queste testimonianze i vasi rinvenuti in una fossa di scarico poco distante, un fondo di bolsal a vernice nera54 recante l’iscrizione etrusca tru connessa alla sfera semantica del libare, e una coppetta55 con iscrizione in lingua etrusca (ma) sul fondo interno, interpretabile come abbreviazione del prenome Mamarce/Marce oppure del teonimo Manth, e, sul fondo esterno, la sigla in greco (σα)56.

    55La crisi complessiva dell’abitato si ripercuote anche nelle aree santuariali che vengono bruscamente dismesse, sigillando in modo rituale i luoghi deputati alle offerte: è significativo, infatti, che nel medesimo periodo anche il santuario settentrionale sia abbandonato57. Nel santuario di Apollo l’area aperta preposta alle pratiche devozionali viene obliterata con scarichi di vasellame ed ex voto frammentari, mentre i pozzi sono colmati fino all’imboccatura.

    56La cisterna 3 è oggetto di un rituale di espiazione più complesso58 che viene enfatizzato anche con il sacrificio di una piccola scrofa adagiata senza scomporla sul fondo; accanto ad essa due lastroni di travertino sigillano l’apertura verso il mondo ctonio e nascondono due teste fittili.

    57La presenza di semi posti lungo le pareti della cisterna valorizzano ancora più marcatamente la presenza di una divinità preposta alla tutela del ciclo vegetale. Un insieme di indizi ha fatto supporre che al culto di Apollo si accompagnasse quello rivolto verso una divinità femminile (fig. 10.2-4), richiamata, oltre che dalla presenza di resti paleobotanici nel riempimento della cisterna 3, anche dalla vicinanza all’oikos quadrato e dal rinvenimento nel pozzo 2 di una patera a figure rosse di produzione pestana raffigurante un volto femminile, cui può essere attribuito un particolare valore in quanto costituisce l’unico vaso figurato conservato nel deposito. Come ha messo in evidenza L. Cerchiai, la patera, che evoca una scena di anodos, potrebbe alludere all’immagine della dea e la deposizione della coppia di teste fittili ad un culto incentrato su coppia divina (maschile/femminile) che si riconosce anche “nel mundus del Foro romano, incentrato sulla coppia Dis Pater/Proserpina (o Cerere)”59.

    58Con questi atti di espiazione le attività del santuario sembrano esaurirsi60; scarse evidenze materiali rimandano ad un orizzonte databile tra la fine del III e il II sec. a.C. e testimoniano di una sporadica frequentazione dell’area sacra.

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    Notes de bas de page

    1 Nell’ambito del presente contributo l’introduzione si deve a L. Cerchiai, il paragrafo I su via Bellini a T.E. Cinquantaquattro, quelli sulla fornace Ina Casa e il santuario di Apollo (II-III) ad A. Lupia. Le fotografie dei materiali sono state realizzate da S. Stompanato (Laboratorio fotografico del Museo archeologico di Pontecagnano); i disegni dei materiali da A. Beatrice e G. Stelo.

    2 De Feo 2017, p. 39-40 con bibliografia.

    3 Cfr., da ultimo, C. Pellegrino in Pontecagnano I, p. 67 n. 96; sulla necropoli (prop. Polmone Attrezzato), cfr. D’Andrea 1994.

    4 C. Pellegrino in Pontecagnano I, p. 89-90.

    5 P. Aurino in Alfano et al., p. 483-486.

    6 Sul complesso di via Bellini cfr. Lupia 2013 con bibliografia precedente; Cerchiai 2017, p. 301 s.

    7 Cinquantaquattro 2004-2005, p. 163, fig. 9.

    8 L’anforetta d’impasto è inquadrabile nel tipo 44 d’Agostino 1968; dal pozzo provengono poi materiali frammentari riferibili a pithoi, fornelli, scodelle, oltre a un peso da telaio.

    9 Da questo punto di vista si sottolinea l’analogia con l’edificio A di via Verdi: cfr. infra.

    10 Lupia 2013, p. 62.

    11 Lo scavo in prop. Noschese (saggi I-III, maggio 1968) è inedito. Ad ovest del tratto stradale individuato nel saggio II si disponeva una ulteriore struttura in blocchi di travertino squadrati (saggio II), interpretata al momento dello scavo come possibile muro di temenos, sulla cui natura solo un ampliamento delle indagini potrà dare risposte certe.

    12 Il fossato con i blocchi in caduta è emerso nel 1968 nel corso dello scavo del collettore fognario: all’incirca all’altezza di via Verdi, presso la proprietà Sessa, sono stati individuati grossi blocchi di travertino in crollo (m -1,50/1,80 m dal piano stradale e fino ad una profondità massima di -2,70/3,35 m); uno dei blocchi recava ancora visibile il marchio di cava. Sull’argomento cfr. A. Rossi in Pontecagnano I, p. 71. Sul tratto di strada in prop. Negri (scavi 1966-67) cfr. Massanova 2016-2017. Cfr. inoltre Pellegrino 2015, p. 35 s.; Massanova 2018.

    13 A nord di quest’area si riconosce un nucleo di sepolture che, a partire dal terzo quarto del VII sec. a.C., marca la definizione tra gli spazi funerari e quelli dell’abitato, Pellegrino 1999, p. 39,n. 8.

    14 Le trincee avevano lunghezza variabile, compresa tra 50 e 20 m, la larghezza era di 2,60 m, lo scavo si è spinto fino a 2-2,30 m, solo nella trincea 1 raggiunse i 3 m dal piano stradale moderno.

    15 Alcuni reperti rimandano infatti ad un orizzonte cronologico arcaico e tardo arcaico (impasto, bucchero campano, ceramica a fasce di tradizione greco orientale, kylikes tipo C, oltre a numerosissimi frammenti di ceramica comune). Una fase più tarda, coeva alla frequentazione più recente del santuario, documentano i frammenti a vernice nera di tradizione attica. Da verificare, con una revisione puntuale dei materiali, la presenza, segnalata nel diario di scavo, di frammenti di una statua votiva che potrebbero essere pertinenti anche ad ex voto anatomici ma che, in entrambi i casi, marcherebbero la stretta connessione con le deposizioni votive di via Verdi.

    16 Come è noto, l’ampio spiazzo centrale ad est del santuario di Apollo è stato interpretato da G. Colonna come la “piazza” dell’insediamento, aperta alle comunità straniere: Colonna 1991, p. 56. Da ultimo, Cerchiai 2016 e 2017 con bibliografia precedente.

    17 Cerchiai 1995, p. 82.

    18 La recente disamina dello scavo condotto in prop. Negri (scavi 1966-67) ha consentito di definire a sud dell’area sacra il tracciato di un asse viario in ciottoli con due distinte fasi costruttive: la più recente ascrivibile ai primi decenni del VI sec. a.C., coeva dunque all’impianto del santuario; la precedente riferita agli inizi dell’Orientalizzante sulla base delle testimonianze ceramiche in giacitura secondaria negli strati funzionali al nuovo impianto: Massanova 2016-2017, p. 87-88.

    19 Pontecagnano I, p. 211; Pellegrino 2015, p. 35 s.

    20 Lo scavo fu condotto nel 1968 dal prof. B. d’Agostino. La sistemazione dei dati archeologici e lo studio tipologico della struttura è stata curata preliminarmente dalla dott.ssa F. Fratta, i materiali dalla dott.ssa C. Albore Livadie.

    21 La tipologia della struttura corrisponde al tipo II/a della classificazione della Cuomo di Caprio: Cuomo di Caprio, 1971-1972, p. 122; 2007, p. 485, 525-526; sul tipo si veda Colivicchi, Osanna, 2004, p. 189-194.

    22 Strutture realizzate con elementi di argilla cruda si riconoscono anche in alcune fornaci del quartiere artigianale di Pontecagnano.

    23 La fornace si lega alle testimonianze di via Cristoforo Colombo, dove come si è detto sono state rinvenute due fornaci a pianta rettangolare di epoca arcaica; a quelle del quartiere ceramico di S. Antonio, dove due impianti sono ascrivibili ad epoca arcaica: la fornace 13, databile almeno alla fine del primo quarto del VI sec. a.C., ha pianta circolare con piano forato sorretto da pilastrini e prefurnio rettangolare; la fornace 10, a pianta ellittica con pilastrino centrale e prefurnio rettangolare, probabilmente databile alla metà del VI sec. a.C., diversamente dalle precedenti è realizzata con strutture fuori terra, De Feo 2017; ed infine ad una piccola fornace dismessa entro la metà del V sec. a.C. rinvenuta in occasione degli scavi della autostrada in un’area periferica ma ancora interna all’abitato, C. Pellegrino in Pontecagnano I, p. 89-90.

    24 La revisione dei materiali si deve a A. Serritella e A. De Feo che si ringrazia per la disponibilità.

    25 In totale si contano 89 frammenti ceramici, ai quali sono da aggiungere alcuni pesi da telaio e tegole.

    26 Tra i materiali più antichi frammenti di uno scodellone carenato di impasto, di un calice molto frammentario sempre di impasto, coppe carenate, oinochoai e un kantharos decorato con solcature orizzontali di bucchero; ceramica di tradizione ionica quale frammenti di coppe ioniche del tipo B2, coppe decorate a fasce, una coppa del tipo Panionion; ceramica del tipo italo geometrico.

    27 Giuliani 1981, p. 170, 176.

    28 Fenelli 1984, p. 342, fig. 15, 18.

    29 Per Caere Mengarelli 1936, p. 71, fig.3.; Le Ny, 1988, p. 41, fig. 3, 21.

    30 Per il santuario urbano di Metaponto, scavo del 1982 ad est dei templi, Bottini 1983, p. 467-468; Adamesteanu 1987, p. 123: due fornaci a pianta rettangolare con lungo prefurnio.

    31 Per Pisticci, loc. Torretta, cfr. Lecce 2010-2011, con bibliografia precedente alla p. 17,n. 8 e p. 40-41 (tra la seconda metà del VI e la metà o terzo quarto del V a.C.): struttura a pianta rettangolare con prefurnio composto da due condotti di adduzione. La fornace produceva vasellame (kylikes di tipo ionico B2, ciotole, piatti profondi, coppette monoansate e skyphoi a vernice nera e a bande, brocchette, lekythoi e alabastra a vernice nera, ceramica comune da mensa, bacili di grandi dimensioni).

    32 Per Naxos: due fornaci nel santuario sud-occidentale, una a pianta rettangolare (B), una a pianta circolare (A), entrambe datate fine VII-inizi del VI a.C. La prima doveva essere destinata alla cottura di tegole e terrecotte architettoniche, la seconda alla produzione di ceramica: Pelagatti 1993, p. 276, 277, 283.

    33 I vasi appaiono in discreto stato di conservazione; si tratta di olle biansate decorate a bande verticali o grosse brocche con decorazione dipinta e incisa peculiare di contesti area longobarda del VII sec. d.C.

    34 Tra i materiali ceramica di impasto (frammenti di scodellone, di un’olpetta), di bucchero (un’olpetta) e ceramica di tradizione etrusco corinzia e parzialmente verniciata.

    35 I materiali sono stati inizialmente rivisti dalla dott.ssa C.A. Livadie negli anni 1980.

    36 De Feo 2017.

    37 Il rinvenimento del santuario si deve a L. Cerchiai: Cerchiai 1984. Per le indagini successive cfr. Lupia 2013 e Cerchiai 2017 con bibliografia precedente.

    38 La piccola fornace di via Verdi rappresenta al momento l’attestazione più antica di impianti artigianali a Pontecagnano. Essa si lega alle testimonianze del quartiere ceramico di S. Antonio dove le due fornaci più antiche sono ascrivibili ad epoca arcaica: la fornace 13, databile almeno alla fine del primo quarto del VI sec. a.C., mostra anch’essa pianta circolare con piano forato sorretto da pilastrini e prefurnio rettangolare; la fornace 10, a pianta ellittica con pilastrino centrale e prefurnio rettangolare, probabilmente databile alla metà del VI sec. a.C., era realizzata diversamente dalle precedenti con strutture fuori terra.

    39 Cuozzo 2003, p. 58, fig. 3 presente nei contesti funerari tra ultimo quarto dell’VIII ed il primo del VII a.C.; presente nelle necropoli di Pontecagnano dagli ultimi decenni dell’VIII fino al terzo quarto del VII secolo.

    40 Cfr. Pithekoussai I, t. 141,n. 2 e n 3; si datano tra la fine dell’VIII e il VII secolo. Una di esse è assimilabile ai tipi del MPC.

    41 A questi si aggiungono i numerosi materiali provenienti dallo scavo in prop. Negri, Massanova 2016-2017, p. 72, figg. 5, 6.

    42 Tra tutti uno scodellone carenato di impasto quasi integro che si iscrive nelle produzioni della cultura irpina di Oliveto Cairano: Cairano, tipo 64a, p. 60-61.

    43 Il contesto è stato individuato in pianta con il numero di US 2463.

    44 Cerchiai 1984, p. 249, fig. 36.

    45 Colonna 1999; Cerchiai 2017, p. 309.

    46 d’Agostino, Cerchiai 1998, cui si rimanda per l’ampia bibliografia.

    47 Si tratta di una testa maschile in terracotta della fine del V sec. a.C. interpretabile come elemento acroteriale, Cerchiai 1984, p. 249-250; le iscrizioni dedicatorie sono state rinvenute sul fondo di una kylix tipo inset-lip, Agorà XII,n. 471 e della vasca di una coppa monoansata tipo Agorà XII,n. 747.

    48 Per l’area di via Bellini si rimanda a Cinquantaquattro, supra.

    49 Cerchiai 2002.

    50 I blocchi modanati segnalati dalla Livadie tra i rinvenimenti del pozzo connesso alla fornace rettangolare, purtroppo, non possono essere ascritti ad una fase specifica di frequentazione.

    51 Greco 1996.

    52 Per le analisi dei contesti si rimanda a Cerchiai 1984; Lupia 2005; Lupia in Bailo Modesti et al. 2005b; Lupia 2013.

    53 Morel 1981, serie 2433; Cerchiai 1984, p. 249, fig. 36. La persistenza nell’uso dell’alfabeto acheo è stata messa in relazione da G. Colonna con la presenza di pocola iscritti da addetti al culto di lingua greca inseriti all’interno del santuario, Colonna 1984-1985, p. 77, nota 67.

    54 Morel 1981, serie 4122.

    55 Morel 1981, serie 2433.

    56 Lupia, Colonna 2004; Cerchiai 2017, p. 309.

    57 M. Mancusi in Bailo Modesti et al. 2005a e 2005b; P. Aurino in Alfano et al. 2009; Mancusi, Bailo Modesti 2013.

    58 L. Lupia in Bailo Modesti et al. 2005b.

    59 Cerchiai 2017, p. 310-311.

    60 Cerchiai 2008.

    Auteurs

    Luca Cerchiai

    Università degli Studi di Salerno.

    Teresa Cinquantaquattro

    Ministero della Cultura.

    Aurora Lupia

    Archeologa.

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    1 Nell’ambito del presente contributo l’introduzione si deve a L. Cerchiai, il paragrafo I su via Bellini a T.E. Cinquantaquattro, quelli sulla fornace Ina Casa e il santuario di Apollo (II-III) ad A. Lupia. Le fotografie dei materiali sono state realizzate da S. Stompanato (Laboratorio fotografico del Museo archeologico di Pontecagnano); i disegni dei materiali da A. Beatrice e G. Stelo.

    2 De Feo 2017, p. 39-40 con bibliografia.

    3 Cfr., da ultimo, C. Pellegrino in Pontecagnano I, p. 67 n. 96; sulla necropoli (prop. Polmone Attrezzato), cfr. D’Andrea 1994.

    4 C. Pellegrino in Pontecagnano I, p. 89-90.

    5 P. Aurino in Alfano et al., p. 483-486.

    6 Sul complesso di via Bellini cfr. Lupia 2013 con bibliografia precedente; Cerchiai 2017, p. 301 s.

    7 Cinquantaquattro 2004-2005, p. 163, fig. 9.

    8 L’anforetta d’impasto è inquadrabile nel tipo 44 d’Agostino 1968; dal pozzo provengono poi materiali frammentari riferibili a pithoi, fornelli, scodelle, oltre a un peso da telaio.

    9 Da questo punto di vista si sottolinea l’analogia con l’edificio A di via Verdi: cfr. infra.

    10 Lupia 2013, p. 62.

    11 Lo scavo in prop. Noschese (saggi I-III, maggio 1968) è inedito. Ad ovest del tratto stradale individuato nel saggio II si disponeva una ulteriore struttura in blocchi di travertino squadrati (saggio II), interpretata al momento dello scavo come possibile muro di temenos, sulla cui natura solo un ampliamento delle indagini potrà dare risposte certe.

    12 Il fossato con i blocchi in caduta è emerso nel 1968 nel corso dello scavo del collettore fognario: all’incirca all’altezza di via Verdi, presso la proprietà Sessa, sono stati individuati grossi blocchi di travertino in crollo (m -1,50/1,80 m dal piano stradale e fino ad una profondità massima di -2,70/3,35 m); uno dei blocchi recava ancora visibile il marchio di cava. Sull’argomento cfr. A. Rossi in Pontecagnano I, p. 71. Sul tratto di strada in prop. Negri (scavi 1966-67) cfr. Massanova 2016-2017. Cfr. inoltre Pellegrino 2015, p. 35 s.; Massanova 2018.

    13 A nord di quest’area si riconosce un nucleo di sepolture che, a partire dal terzo quarto del VII sec. a.C., marca la definizione tra gli spazi funerari e quelli dell’abitato, Pellegrino 1999, p. 39,n. 8.

    14 Le trincee avevano lunghezza variabile, compresa tra 50 e 20 m, la larghezza era di 2,60 m, lo scavo si è spinto fino a 2-2,30 m, solo nella trincea 1 raggiunse i 3 m dal piano stradale moderno.

    15 Alcuni reperti rimandano infatti ad un orizzonte cronologico arcaico e tardo arcaico (impasto, bucchero campano, ceramica a fasce di tradizione greco orientale, kylikes tipo C, oltre a numerosissimi frammenti di ceramica comune). Una fase più tarda, coeva alla frequentazione più recente del santuario, documentano i frammenti a vernice nera di tradizione attica. Da verificare, con una revisione puntuale dei materiali, la presenza, segnalata nel diario di scavo, di frammenti di una statua votiva che potrebbero essere pertinenti anche ad ex voto anatomici ma che, in entrambi i casi, marcherebbero la stretta connessione con le deposizioni votive di via Verdi.

    16 Come è noto, l’ampio spiazzo centrale ad est del santuario di Apollo è stato interpretato da G. Colonna come la “piazza” dell’insediamento, aperta alle comunità straniere: Colonna 1991, p. 56. Da ultimo, Cerchiai 2016 e 2017 con bibliografia precedente.

    17 Cerchiai 1995, p. 82.

    18 La recente disamina dello scavo condotto in prop. Negri (scavi 1966-67) ha consentito di definire a sud dell’area sacra il tracciato di un asse viario in ciottoli con due distinte fasi costruttive: la più recente ascrivibile ai primi decenni del VI sec. a.C., coeva dunque all’impianto del santuario; la precedente riferita agli inizi dell’Orientalizzante sulla base delle testimonianze ceramiche in giacitura secondaria negli strati funzionali al nuovo impianto: Massanova 2016-2017, p. 87-88.

    19 Pontecagnano I, p. 211; Pellegrino 2015, p. 35 s.

    20 Lo scavo fu condotto nel 1968 dal prof. B. d’Agostino. La sistemazione dei dati archeologici e lo studio tipologico della struttura è stata curata preliminarmente dalla dott.ssa F. Fratta, i materiali dalla dott.ssa C. Albore Livadie.

    21 La tipologia della struttura corrisponde al tipo II/a della classificazione della Cuomo di Caprio: Cuomo di Caprio, 1971-1972, p. 122; 2007, p. 485, 525-526; sul tipo si veda Colivicchi, Osanna, 2004, p. 189-194.

    22 Strutture realizzate con elementi di argilla cruda si riconoscono anche in alcune fornaci del quartiere artigianale di Pontecagnano.

    23 La fornace si lega alle testimonianze di via Cristoforo Colombo, dove come si è detto sono state rinvenute due fornaci a pianta rettangolare di epoca arcaica; a quelle del quartiere ceramico di S. Antonio, dove due impianti sono ascrivibili ad epoca arcaica: la fornace 13, databile almeno alla fine del primo quarto del VI sec. a.C., ha pianta circolare con piano forato sorretto da pilastrini e prefurnio rettangolare; la fornace 10, a pianta ellittica con pilastrino centrale e prefurnio rettangolare, probabilmente databile alla metà del VI sec. a.C., diversamente dalle precedenti è realizzata con strutture fuori terra, De Feo 2017; ed infine ad una piccola fornace dismessa entro la metà del V sec. a.C. rinvenuta in occasione degli scavi della autostrada in un’area periferica ma ancora interna all’abitato, C. Pellegrino in Pontecagnano I, p. 89-90.

    24 La revisione dei materiali si deve a A. Serritella e A. De Feo che si ringrazia per la disponibilità.

    25 In totale si contano 89 frammenti ceramici, ai quali sono da aggiungere alcuni pesi da telaio e tegole.

    26 Tra i materiali più antichi frammenti di uno scodellone carenato di impasto, di un calice molto frammentario sempre di impasto, coppe carenate, oinochoai e un kantharos decorato con solcature orizzontali di bucchero; ceramica di tradizione ionica quale frammenti di coppe ioniche del tipo B2, coppe decorate a fasce, una coppa del tipo Panionion; ceramica del tipo italo geometrico.

    27 Giuliani 1981, p. 170, 176.

    28 Fenelli 1984, p. 342, fig. 15, 18.

    29 Per Caere Mengarelli 1936, p. 71, fig.3.; Le Ny, 1988, p. 41, fig. 3, 21.

    30 Per il santuario urbano di Metaponto, scavo del 1982 ad est dei templi, Bottini 1983, p. 467-468; Adamesteanu 1987, p. 123: due fornaci a pianta rettangolare con lungo prefurnio.

    31 Per Pisticci, loc. Torretta, cfr. Lecce 2010-2011, con bibliografia precedente alla p. 17,n. 8 e p. 40-41 (tra la seconda metà del VI e la metà o terzo quarto del V a.C.): struttura a pianta rettangolare con prefurnio composto da due condotti di adduzione. La fornace produceva vasellame (kylikes di tipo ionico B2, ciotole, piatti profondi, coppette monoansate e skyphoi a vernice nera e a bande, brocchette, lekythoi e alabastra a vernice nera, ceramica comune da mensa, bacili di grandi dimensioni).

    32 Per Naxos: due fornaci nel santuario sud-occidentale, una a pianta rettangolare (B), una a pianta circolare (A), entrambe datate fine VII-inizi del VI a.C. La prima doveva essere destinata alla cottura di tegole e terrecotte architettoniche, la seconda alla produzione di ceramica: Pelagatti 1993, p. 276, 277, 283.

    33 I vasi appaiono in discreto stato di conservazione; si tratta di olle biansate decorate a bande verticali o grosse brocche con decorazione dipinta e incisa peculiare di contesti area longobarda del VII sec. d.C.

    34 Tra i materiali ceramica di impasto (frammenti di scodellone, di un’olpetta), di bucchero (un’olpetta) e ceramica di tradizione etrusco corinzia e parzialmente verniciata.

    35 I materiali sono stati inizialmente rivisti dalla dott.ssa C.A. Livadie negli anni 1980.

    36 De Feo 2017.

    37 Il rinvenimento del santuario si deve a L. Cerchiai: Cerchiai 1984. Per le indagini successive cfr. Lupia 2013 e Cerchiai 2017 con bibliografia precedente.

    38 La piccola fornace di via Verdi rappresenta al momento l’attestazione più antica di impianti artigianali a Pontecagnano. Essa si lega alle testimonianze del quartiere ceramico di S. Antonio dove le due fornaci più antiche sono ascrivibili ad epoca arcaica: la fornace 13, databile almeno alla fine del primo quarto del VI sec. a.C., mostra anch’essa pianta circolare con piano forato sorretto da pilastrini e prefurnio rettangolare; la fornace 10, a pianta ellittica con pilastrino centrale e prefurnio rettangolare, probabilmente databile alla metà del VI sec. a.C., era realizzata diversamente dalle precedenti con strutture fuori terra.

    39 Cuozzo 2003, p. 58, fig. 3 presente nei contesti funerari tra ultimo quarto dell’VIII ed il primo del VII a.C.; presente nelle necropoli di Pontecagnano dagli ultimi decenni dell’VIII fino al terzo quarto del VII secolo.

    40 Cfr. Pithekoussai I, t. 141,n. 2 e n 3; si datano tra la fine dell’VIII e il VII secolo. Una di esse è assimilabile ai tipi del MPC.

    41 A questi si aggiungono i numerosi materiali provenienti dallo scavo in prop. Negri, Massanova 2016-2017, p. 72, figg. 5, 6.

    42 Tra tutti uno scodellone carenato di impasto quasi integro che si iscrive nelle produzioni della cultura irpina di Oliveto Cairano: Cairano, tipo 64a, p. 60-61.

    43 Il contesto è stato individuato in pianta con il numero di US 2463.

    44 Cerchiai 1984, p. 249, fig. 36.

    45 Colonna 1999; Cerchiai 2017, p. 309.

    46 d’Agostino, Cerchiai 1998, cui si rimanda per l’ampia bibliografia.

    47 Si tratta di una testa maschile in terracotta della fine del V sec. a.C. interpretabile come elemento acroteriale, Cerchiai 1984, p. 249-250; le iscrizioni dedicatorie sono state rinvenute sul fondo di una kylix tipo inset-lip, Agorà XII,n. 471 e della vasca di una coppa monoansata tipo Agorà XII,n. 747.

    48 Per l’area di via Bellini si rimanda a Cinquantaquattro, supra.

    49 Cerchiai 2002.

    50 I blocchi modanati segnalati dalla Livadie tra i rinvenimenti del pozzo connesso alla fornace rettangolare, purtroppo, non possono essere ascritti ad una fase specifica di frequentazione.

    51 Greco 1996.

    52 Per le analisi dei contesti si rimanda a Cerchiai 1984; Lupia 2005; Lupia in Bailo Modesti et al. 2005b; Lupia 2013.

    53 Morel 1981, serie 2433; Cerchiai 1984, p. 249, fig. 36. La persistenza nell’uso dell’alfabeto acheo è stata messa in relazione da G. Colonna con la presenza di pocola iscritti da addetti al culto di lingua greca inseriti all’interno del santuario, Colonna 1984-1985, p. 77, nota 67.

    54 Morel 1981, serie 4122.

    55 Morel 1981, serie 2433.

    56 Lupia, Colonna 2004; Cerchiai 2017, p. 309.

    57 M. Mancusi in Bailo Modesti et al. 2005a e 2005b; P. Aurino in Alfano et al. 2009; Mancusi, Bailo Modesti 2013.

    58 L. Lupia in Bailo Modesti et al. 2005b.

    59 Cerchiai 2017, p. 310-311.

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    Format

    Cerchiai, L., Cinquantaquattro, T., & Lupia, A. (2023). Aree sacre e impianti produttivi: il caso di Pontecagnano. In O. de Cazanove, A. Esposito, N. Monteix, & A. Pollini (éds.), Travailler à l’ombre du temple (1‑). Publications du Centre Jean Bérard. https://doi.org/10.4000/books.pcjb.8880
    Cerchiai, Luca, Teresa Cinquantaquattro, et Aurora Lupia. « Aree sacre e impianti produttivi: il caso di Pontecagnano ». In Travailler à l’ombre du temple, édité par Olivier de Cazanove, Arianna Esposito, Nicolas Monteix, et Airton Pollini. Naples: Publications du Centre Jean Bérard, 2023. https://doi.org/10.4000/books.pcjb.8880.
    Cerchiai, Luca, et al. « Aree sacre e impianti produttivi: il caso di Pontecagnano ». Travailler à l’ombre du temple, édité par Olivier de Cazanove et al., Publications du Centre Jean Bérard, 2023, https://doi.org/10.4000/books.pcjb.8880.

    Référence numérique du livre

    Format

    Cazanove, O. de, Esposito, A., Monteix, N., & Pollini, A. (éds.). (2023). Travailler à l’ombre du temple (1‑). Publications du Centre Jean Bérard. https://doi.org/10.4000/books.pcjb.8683
    Cazanove, Olivier de, Arianna Esposito, Nicolas Monteix, et Airton Pollini, éd. Travailler à l’ombre du temple. Naples: Publications du Centre Jean Bérard, 2023. https://doi.org/10.4000/books.pcjb.8683.
    Cazanove, Olivier de, et al., éditeurs. Travailler à l’ombre du temple. Publications du Centre Jean Bérard, 2023, https://doi.org/10.4000/books.pcjb.8683.
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