URL originale : https://books.openedition.org/efr/62606

I quarant’anni che sconvolsero il Colle Oppio
Trasformazioni urbane dall’incendio neroniano alla costruzione delle Terme di Traiano
p. 377-402
Résumés
Nell’estate del 64 d.C. un grande incendio partito dal Circo Massimo distrusse buona parte del centro di Roma. Le attività di rinnovamento dal fuoco cambiarono drasticamente l’intero assetto urbanistico del Colle Oppio, perché furono l’occasione per l’imperatore Nerone di estendere anche qui la nuova residenza imperiale, nota come domus Aurea. Alla morte di Nerone, la politica urbanistica di Vespasiano e della dinastia dei Flavi, volta alla restituzione al popolo delle aree già della domus Aurea, portò alla realizzazione di vasti complessi dedicati ad uso pubblico. Tra questi vanno compresi anche i grandi edifici pubblici scoperti nell’area della galleria sudoccidentale delle Terme di Traiano, con importanti testimonianze artistiche, come l’affresco della “Città Dipinta”. La nuova rivoluzione urbanistica che cambiò definitivamente l’aspetto del colle Oppio fu tuttavia quella determinata dalla costruzione delle Terme di Traiano. L’enorme impianto pubblico, progettato da Apollodoro di Damasco, si estendeva su 60.000 mq, e la sua imponente presenza, da quel momento in poi, caratterizzò il paesaggio urbano del Colle Oppio.
In the summer of 64 AD, a great fire from the Circus Maximus destroyed a large part of the city of Rome. The reconstruction activities after the fire drastically changed the entire urban layout of the Oppian hill, because they provided to the Emperor Nero the opportunity to extend here too the new imperial residence, known as the domus Aurea. After the death of Nero, the urban planning policy of Vespasian and the Flavian dynasty led to the construction of vast complexes dedicated to public use. Among these, the large public buildings discovered in the area of the south-western gallery of the Baths of Trajan, with important artistic testimonies, such as the fresco of the “Painted City”. The new urban revolution that definitively changed the appearance of the Oppian Hill was however the one determined by the construction of the Baths of Trajan. The big public building, designed by Apollodorus of Damascus, extended over 60,000 square meters. Since then, its imposing presence characterized the urban landscape of the Oppian Hill.
Entrées d’index
Keywords : Oppian Hill, Domus Aurea, Trajan’s Baths
Parole chiave : Colle Oppio, Domus Aurea, Terme di Traiano
Texte intégral
1Nel corso della storia molte città hanno subito cambiamenti improvvisi, dovuti sia all’azione umana sia a catastrofi naturali, che hanno portato a grandi trasformazioni, modificando profondamente il loro assetto urbano, la loro memoria e perfino la loro identità, trasformandole, in alcuni casi, in città nuove o molto differenti da quelle originarie. È infatti antica e complessa, ma ancora attuale, la problematica del dover scegliere tra ricostruire “dov’era e come era” o rifondare ex novo, o a volte addirittura ricostruire in siti diversi. Vari studi, soprattutto in ambito moderno, si sono interessati alle dinamiche che seguono alla catastrofe, la distruzione, a volte addirittura la perdita di identità e la disaggregazione dell’ordine sociale.1
2Risale alla metà del secolo scorso l’elaborazione della teoria delle catastrofi, con la quale il matematico francese René Thom cercava di applicare la matematica ai fenomeni naturali;2 osservava infatti che in un sistema qualsiasi un elemento si comporta con una certa continuità, che viene interrotta quando, a seguito di una catastrofe, cambia in modo brusco e radicale il suo comportamento o il suo stato. Una volta avvenuta la catastrofe (in Greco καταστροϕή significa giravolta, rivolgimento, capovolgimento, e non sempre ha l’accezione negativa che in epoca moderna solitamente gli viene data), il sistema si trova in un nuovo stato, su un altro piano, e non rimane più niente di ciò che vi era prima, e anche le cose che sono rimaste intatte vengono viste con occhio diverso.
L’incendio del 64 d.C. e la Domus Aurea
3Le catastrofi sono quindi spesso all’origine di rinnovamenti radicali: nell’estate del 64 d.C., come racconta Tacito,3 un grande incendio partito dal Circo Massimo nel corso di 9 terribili giornate distrusse buona parte del centro di Roma (fig. 1). Sempre secondo Tacito, si trattava del più grave e disastroso incendio che avesse mai colpito la città, ed era in dubbio perfino se le cause fossero state naturali o da attribuire alla perfidia dell’imperatore4. Dei quattordici quartieri in cui la città era stata divisa, dall’epoca della riforma augustea, solo quattro rimasero intatti, tre furono completamente rasi al suolo, mentre gli altri conservavano solo pochi resti ancora in piedi in mezzo alla devastazione generale. Insieme con il Palatino e la zona del Circo Massimo, l’area della valle del Colosseo e il Colle Oppio (che ricadevano nella Regione III) furono probabilmente tra le zone completamente arse e devastate.5 Le attività intraprese successivamente all’incendio sono proprio un esempio di rivolgimento successivo alla catastrofe: cambiarono infatti drasticamente l’intero assetto urbanistico in questa zona, perché furono l’occasione per l’imperatore Nerone di estendere anche qui la nuova residenza imperiale, nota dalle fonti con il nome di Domus Aurea, congiungendo le proprietà sul Palatino con quelle esquiline.6 È ben noto che le proprietà di Mecenate sull’Esquilino erano state lasciate in eredità ad Augusto, e facevano quindi parte del vasto patrimonio imperiale, cui nel tempo si erano aggiunti anche altri horti esquilini. Gli horti di Mecenate erano posti sicuramente a ridosso dell’antico aggere serviano, i più vicini alla zona centrale, anche se non ne è noto il limite occidentale, e sicuramente quelli la cui ricchezza consentiva anche la residenza di principi e imperatori.7 Non è un caso forse che le fonti che narrano di Nerone che canta la distruzione di Troia guardando la città in fiamme (immagine che ha dato origine a molte trasposizioni letterarie e cinematografiche moderne) localizzino l’evento proprio sulla turris Mecenatiana.8
Fig. 1. L’estensione del fuoco nelle regioni augustee secondo il racconto di Tacito (elab. Borghini-Carlani, da Panella 2011).

4Secondo Svetonio tuttavia, Nerone avrebbe perseguito già prima dell’incendio l’obiettivo di riunire le proprietà con una dimora che passasse dal Palatino all’Esquilino: Non in alia re tamen damnosior quam in aedificando domum a Palatio Esquilias usque fecit, quam primo transitoriam, mox incendio absumptam restitutamque auream nominavit9. Diversi studi e approcci differenti hanno tentato di ricostruire la presumibile estensione e le eventuali strutture superstiti della Domus Transitoria. Al momento, tuttavia, non ci sono prove definitive per l’ipotesi che una residenza estesa dal Palatino all’Esquilino fosse già in costruzione e non ancora completata nel momento in cui l’incendio la distrusse, e soprattutto quale parte di essa sarebbe stata sul colle Oppio, poi eventualmente riedificata e/o trasformata in Domus Aurea dopo l’incendio10. Controversa è infatti la lettura delle due differenti tipologie architettoniche che compongono il padiglione esquilino della Domus Aurea sul Colle Oppio; questa differenza infatti non si può ricondurre con certezza all’interpretazione di una preesistenza all’incendio di una parte rispetto all’altra.11
5Aldilà della “cattiva stampa” che vede in Nerone addirittura l’artefice dell’incendio,12 è tuttavia certo che l’imperatore prese spunto da questa devastazione per proporre una nuova sistemazione urbanistica, forse riprendendo appunto progetti e decisioni precedenti. Secondo Tacito, tutta la parte di città distrutta fu soggetta a nuove regole, costruendo strade più ampie, con portici per proteggere le facciate degli edifici, cui fu messo un limite di altezza, erogando anche contributi per la riedificazione.13
6La ricostruzione della sistemazione urbanistica precedente l’incendio sul Colle Oppio è resa difficile sia a causa dell’azione del fuoco, sia soprattutto per la pervasiva e ingombrante costruzione delle successive Terme di Traiano, che agli inizi del II secolo d.C. occuparono quasi tutta la superficie del colle Oppio, sovrapponendosi e cancellando qualsiasi sistemazione precedente.14 Solo sui margini dell’altura, che non furono occupati dalle Terme stesse, si conservano i resti della Porticus Liviae di età augustea e quelli della domus sotto S. Pietro in Vincoli, le cui prime fasi sono di età repubblicana; in nessuna delle due si riscontrano tracce di incendio, nella prima perché forse ne conosciamo troppo poco, nella seconda perché posta in un punto elevato, e quindi probabilmente risparmiata dal fuoco (fig. 2).15 Entrambi gli edifici rimasero comunque estranei alla ristrutturazione neroniana, conservando sia la loro struttura che il loro allineamento.
Fig. 2. Colle Oppio. Edifici precedenti l’incendio del 64 d.C. (elab. R. Volpe).

7Praticamente nulla sappiamo di cosa si trovasse nell’ampia area del colle Oppio, occupata dalla Domus Aurea prima e dalle Terme di Traiano poi.16 Nel racconto dell’incendio del 64 di Tacito, il fuoco fu fermato una prima volta alle pendici dell’Esquilino (apud imas Esquilias), dove erano stati abbattuti tutti gli edifici per creare uno spazio vuoto. Non è chiaro se le pendici dell’Esquilino coincidano con il Colle Oppio (che costituisce effettivamente la parte più meridionale del colle) e quali edifici fossero stati abbattuti17 e neanche fino a che punto gli horti di Mecenate, che sicuramente erano a cavallo dell’antico aggere, si estendessero ad ovest delle Mura Serviane verso il Colle Oppio.18 La nuova Domus Aurea di Nerone congiungeva infatti – come già progettato con la Domus Transitoria – le proprietà della famiglia imperiale sul Palatino (dove era quasi obbligatoria la residenza imperiale, almeno formalmente) con quelle ottenute tramite successive eredità ed acquisizioni sull’Oppio/Esquilino, dove si trovavano invece ville suburbane con ampi spazi verdi come i grandi horti di Mecenate, che per la loro ricchezza e bellezza erano già stati eletti a residenza principesca di personaggi della famiglia imperiale.19
8È nota la descrizione che Svetonio fa della Domus Aurea, con portici, bagni ed edifici vari, intercalati ad aree verdi con prati e boschi, e al centro un lago artificiale.20 Anche se la parte più propriamente destinata a residenza dell’imperatore doveva trovarsi, come già detto, sul Palatino, la parte più famosa di questo enorme complesso, quella che ancor oggi conserva il nome di Domus Aurea, è sicuramente quella costruita sul Colle Oppio, conservatasi proprio perché rimasta al disotto delle Terme di Traiano, e riscoperta solo dalla fine del Quattrocento.21 Alla costruzione sul Colle Oppio di un padiglione di questa vasta dimora si deve anche una nuova sistemazione urbana della sommità del colle, che si dovrebbe quindi immaginare quasi completamente distrutta dall’incendio. I nuovi edifici, e conseguentemente l’assetto urbanistico e la viabilità immediatamente circostante, assunsero infatti un nuovo orientamento rigorosamente disposto secondo i punti cardinali (fig. 3). Secondo alcuni, questo assetto sarebbe dovuto alle concezioni astrologiche di Nerone, oppure alla volontà di orientare almeno questa parte del palazzo verso sud e il sole, la cui luce dorata illuminando gli spazi, le avrebbe a buon diritto assicurato il nome di Domus Aurea.22 Secondo una recente interpretazione di S. Borghini infatti, il nome della Domus Aurea più che “casa d’oro” andrebbe invece piuttosto metaforicamente tradotto con “casa del Sole”: questo avrebbe infatti avuto «un ruolo da protagonista all’interno della casa … grazie all’esplosione di una luce naturale dorata e intensissima».23 È con il sole del resto che Nerone amava spesso identificarsi: secondo Svetonio era nato ex oriente sole, paene ut radiis prius quam terra contingeretur («nacque poco prima che sorgesse il sole, sì che fu quasi toccato dai suoi raggi prima che dalla terra»).24 Come dio Sole (ispirandosi forse al colosso di Rodi), lo raffigurava anche la grande statua di bronzo posta nel vestibolo della Domus Aurea, all’ingresso verso il Foro, sulla parte più alta della Sacra via. Il Colosso, in piedi, con il braccio destro in avanti e appoggiato, in età tarda, ad un timone, il braccio sinistro piegato per reggere un globo terrestre, aveva sulla testa una corona radiata con sette raggi, lunghi ciascuno 6 metri, la stessa corona radiata che ritroviamo sul capo di Nerone in molti esemplari della sua monetazione.25
Fig. 3. Ricostruzioni della Domus Aurea (elab. Katatexilux, da Viscogliosi 2011)

9Addossato alla pendice meridionale del colle, il palazzo aveva quindi la fronte interamente rivolta a sud, affacciata sulla via che portava alla valle dove era stato creato uno stagnum (nel sito dove poi sorgerà il Colosseo). Due piani si sviluppavano addossandosi ai dislivelli della pendice: quello superiore era costituito da strutture leggere e sistemazioni a giardino sulla sommità della collina; quello inferiore presentava grandi sale coperte a volta e riccamente decorate.26
10L’orientamento sui punti cardinali nasce quindi sul Colle Oppio con la progettazione degli edifici neroniani; se, come ritengo più probabile, sia stato imposto dopo le distruzioni dell’incendio del 64 d.C., o se invece fosse già stato previsto prima, è questione legata all’identificazione e attribuzione delle strutture e a quella della definizione topografica e strutturale della Domus Transitoria, di cui si è già detto. Fatto sta che il nuovo assetto si estendeva sicuramente dalla moderna via Labicana, a sud, almeno fino all’area poi occupata dal serbatoio delle Sette Sale a Nord, che testimonia la sopravvivenza dell’orientamento nord-sud fino all’età traianea.27
La riorganizzazione dei Flavi
11Dopo la morte di Nerone nel 68 d.C., quattro imperatori si alternano sul trono nel corso dell’anno successivo: Galba, Otone, Vitellio, e infine Vespasiano. È proprio quest’ultimo che inaugura, con la dinastia dei Flavi, una nuova politica urbanistica, ponendo una cura particolare nella riorganizzazione edilizia ed amministrativa di Roma, assumendo a questo scopo anche la magistratura della censura insieme con il figlio Tito. Probabilmente a Vespasiano (o a Tito) un’iscrizione riconosce il titolo di restitutor aedium sacrarum, attestando la ricca attività edilizia di epoca flavia.28 Vespasiano realizzò vasti complessi dedicati ad uso pubblico, come ad esempio il Templum Pacis, la monumentale piazza porticata considerata spesso uno dei Fori Imperiali, dove le opere d’arte che Nerone aveva riservato per la sua dimora erano invece esposte al pubblico godimento.29 Non è un caso quindi che alcune monete dell’imperatore Vespasiano indichino addirittura una rinascita: Roma resurgens (fig. 4).30 Questa volontà di rinnovamento, che comportava anche la restituzione al popolo di aree già occupate dalla Domus Aurea, portò alla costruzione dell’Anfiteatro Flavio al posto dello stagnum.31 È possibile che sul Colle Oppio le nuove costruzioni flavie abbiano interessato soprattutto le aree non ancora costruite, mentre il padiglione della Domus Aurea sull’Oppio (di cui però non si conserva il piano superiore: v. oltre) appare interessato da alcuni interventi, con strutture datate ad epoca flavia;32 il complesso deve quindi aver mantenuto un impianto più o meno simile al precedente, garantendo qualche tipo di frequentazione.
Fig. 4. Sesterzio di Vespasiano (71 d.C.) con Roma resurges S.C. sul rovescio (http://numismatics.org/collection/1944.100.41561 – American Numismatic Society/MANTIS Database).

12Un famoso e molto citato passo di Marziale datato all’80 d.C., sotto il regno di Tito, celebra il rinnovamento proprio di questa parte della città.33
Qui dove il Colosso di bronzo guarda più da vicino le stelle
E in mezzo alla strada crescono alte impalcature,
splendevano le sale odiose di un re crudele,
e una sola dimora ormai occupava tutta la città.
Qui dove del gigantesco Anfiteatro
si erge la mole, erano gli stagni di Nerone
Qui dove ammiriamo le terme velocemente costruite
un superbo parco aveva tolto le case ai poveri
Dove il portico di Claudio stende la sua vasta ombra
Era l’ultima parte del palazzo incompiuto
Roma è stata restituita a sé stessa e sotto la tua guida, Cesare
Quello che costituiva la gioia di un signore è diventato gioia del popolo.
13Quello che costituiva la gioia di un signore è diventato gioia del popolo.
14Reddita Roma sibi est, proclama enfaticamente Marziale, ma la restituzione di Roma a sé stessa non implica una restaurazione, un ripristino alla situazione precedente, ormai impensabile. Lo spazio di Roma è restituito ai Romani, con la costruzione o la trasformazione di molte aree della Domus Aurea in spazi a funzione pubblica, e quello che costituiva il lusso di uno solo è diventato invece a godimento del popolo. Marziale ricorda proprio questi grandi lavori, con le nuove terme in costruzione dove prima era il parco di Nerone. Proprio nella parte sudoccidentale del colle Oppio, infatti, il figlio di Vespasiano, Tito, fece costruire un grande impianto termale, probabilmente progettato insieme al vicino e antistante Anfiteatro Flavio, a servizio dei suoi frequentatori.34 Di questo edificio, tradizionalmente ricostruito in base ad un rilievo di Andrea Palladio, sono archeologicamente note solo le strutture rinvenute negli scavi eseguiti negli anni Ottanta del XX secolo.35 Una recente revisione di questi dati ha portato alla conclusione che di tutte le strutture individuate negli scavi archeologici se ne può attribuire una sola al primitivo impianto flavio, posta peraltro a notevole profondità.36 Il complesso, che continua ad essere ricordato come “Terme di Tito” in tutte le fonti letterarie, fino ai Cataloghi Regionari del IV secolo d.C., subì infatti un sostanziale rialzamento e rifacimento nel II secolo d.C., probabilmente a seguito della costruzione del vicino e imponente impianto traianeo.37
15Le Terme di Tito seguono lo stesso orientamento nord-sud della Domus Aurea, che doveva essere quello ormai consolidato in questa parte del colle (fig. 5). Allo stesso modo infatti sono orientati anche gli edifici scoperti recentemente al disotto delle Terme di Traiano, nell’area della galleria di fondazione38 costruita per sostenere un soprastante porticato, nel punto dove si affacciava l’esedra sud-ovest del recinto termale, nota anche come “Grande Biblioteca”.39 Qui la differenza di quota tra il nuovo livello delle Terme e il piano di calpestio degli edifici antecedenti superava i 15 metri e ha quindi consentito la conservazione in alzato di buona parte delle strutture pretraianee. Si tratta di una parte di città finora sconosciuta, un quartiere costruito probabilmente dai Flavi all’indomani della morte di Nerone, sulle aree che dopo il grande incendio del 64 d.C. erano state occupate dalla Domus Aurea, e che dovevano essere ormai di proprietà imperiale, e quindi nella piena disponibilità dell’imperatore (fig. 6).40
Fig. 5. Colle Oppio. Edifici costruiti durante il periodo flavio (elab. R. Volpe).

Fig. 6: Planimetria ricostruttiva degli edifici pretraianei rinvenuti nella galleria sudoccidentale delle Terme di Traiano (da Volpe 2010).

16Risalgono al 1998 i primi scavi eseguiti all’interno della galleria, che sono poi proseguiti fino al 2014. Sul fondo di essa è stata rinvenuta la facciata di un grande edificio in laterizio; di questo è visibile quasi interamente l’apertura principale, un’arcata larga dieci metri e alta quasi quindici, e un’apertura laterale, la cui ampiezza ricostruibile è di circa sei metri. Nello spazio di muratura tra le due arcate si conserva un ampio tratto di intonaco affrescato, con la raffigurazione a volo di uccello di una città, cinta da mura turrite, con gli edifici in prospettiva, ormai nota come “Città Dipinta”.41 L’affresco si trovava quindi ad un’altezza di quasi quindici metri da terra, a lato della grandiosa arcata, che costituiva l’ingresso principale di un grande edificio, probabilmente destinato a una funzione pubblica (forse legata all’amministrazione della città).42 Oltre all’affresco, che costituisce ormai un punto fermo importante negli studi sulla pittura di paesaggio romano, l’edificio conserva anche parte del rivestimento musivo del grande ambiente voltato in cui si entrava dall’ingresso principale; dell’originario schema decorativo, probabilmente a più registri sovrapposti, si conserva in situ soltanto una parte di circa m 3×2 sulla parete Est, con la pregiata raffigurazione di una scena di Vendemmia, in cui cinque figure maschili eseguono la raccolta e la pigiatura dell’uva.43
17Con la prosecuzione degli scavi, a queste scoperte si è aggiunto il rinvenimento, all’incirca a metà della stessa galleria, di un altro edificio, sempre precedente la costruzione delle Terme di Traiano, le cui murature tagliano quasi a metà diagonalmente la grande e alta aula sulla quale si affacciava un ninfeo. Sono state quindi messe in luce le due pareti che costituiscono l’angolo Sud-Est dell’ambiente, lunghe rispettivamente oltre 15 e 10 metri circa, per un’altezza attualmente scoperta di ca. 5/6 m (rispetto ai 10-11 totali ricostruibili),44 interamente ricoperte, anche se in modo lacunoso, da una ricchissima decorazione a mosaico.45 Il mosaico, articolato in altezza su almeno due registri, presenta un prospetto architettonico ricco di nicchie, colonne, cornici e pilastri, arricchiti di elementi vegetali. Su questo sfondo, che raffigura quasi una scena teatrale, si collocano figure mitiche, statue e personaggi reali, in un esempio unico e raffinato di quell’arte musiva che si pensava fosse caratteristica soprattutto del periodo tardoantico e delle province africane, e che trova qui invece uno straordinario modello antecedente.
18L’edificio della Città Dipinta si affacciava su uno spiazzo apparentemente vuoto, come sembrano mostrare sia i rinvenimenti archeologici, che soprattutto l’assenza di essi e quindi le soluzioni costruttive conseguentemente adottate dai costruttori delle Terme di Traiano. Sul lato ovest di questo spazio rettangolare doveva essere l’edificio di cui facevano parte la stanza con il grande mosaico parietale e il ninfeo.46 Sul lato Sud era un complesso di ambienti già delineato nella cartografia storica ottocentesca, mentre le indagini recenti hanno consentito di ricostruire una porzione del quarto lato di questa sorta di spiazzo verso est, mettendo in luce un complesso di almeno 11 ambienti, parzialmente interrati e attualmente sotterranei.47 È evidente l’assialità dello spazio rispetto alla facciata dell’edificio della Città Dipinta: questo, oltre ad avvalorare la funzione pubblica già proposta per l’edificio, farebbe pensare ad una sistemazione urbanistica prevista o organizzata in funzione di esso. Nell’ambito della forchetta cronologica che va dal 64 d.C. (anno del fatale incendio) alla costruzione delle Terme di Traiano agli inizi del secondo secolo, è difficile precisare la datazione dei vari fabbricati (di cui al momento è troppo azzardato ipotizzare una funzione e conseguentemente il regime di proprietà). Rimane quindi dubbio anche se essi siano frutto di una pianificazione unitaria o piuttosto di un successivo adeguarsi a spazi preordinati, come farebbero pensare le vistose differenze tipologiche e planimetriche tra di essi; l’edificio della Città Dipinta, con la sua imponente facciata, doveva tuttavia costituire un fulcro importante intorno a cui si era organizzato il tessuto urbano della zona circostante. Infine, la quota del piano di calpestio di questi edifici ci riporta ad una situazione urbana non nota prima, dimostrando l’esistenza di una valle, posta tra l’altura dove sorgono le Terme e quella dove si trova S. Pietro in Vincoli (probabilmente identificabile con il Fagutal).48
La “rivoluzione” traianea
19La nuova rivoluzione urbanistica – quasi una nuova “catastrofe” – che cambiò definitivamente l’aspetto del colle Oppio fu quella determinata dalla costruzione delle Terme di Traiano, inaugurate il 22 giugno del 109 d.C.,49 un enorme impianto pubblico rivolto alla parte orientale della città. Se, come nell’accezione di Thom, indichiamo infatti con il termine di catastrofe un fatto in seguito al quale si impone un nuovo stato, e non rimane più niente di ciò che vi era prima – prescindendo dal valore negativo che gli viene comunemente dato – la costruzione delle Terme può ben essere identificata con un evento di questo tipo. Come la cenere del Vesuvio aveva sotterrato Pompei e il fango aveva coperto Ercolano, la nuova costruzione traianea seppellì per sempre un intero quartiere, cancellandolo dallo spazio urbano e dalla memoria, spianando edifici, riempiendo valli, e creando un sistema completamente nuovo su una porzione molto ampia della città, della quale si trasformarono decisamente aspetto e funzioni.
20Utilizzando le risorse finanziarie provenienti dalle guerre contro i Daci e soprattutto il genio dell’architetto Apollodoro di Damasco, venne infatti concepito sul colle Oppio un edificio le cui enormi dimensioni di oltre 60.000 mq si estesero probabilmente sull’area già di proprietà imperiale. L’innovativo modello architettonico, poi ripreso nelle forme dalle Terme di Caracalla e da quelle di Diocleziano, prevedeva un corpo edilizio centrale con ambienti dedicati ai bagni e alla cura del corpo, circondato su tre lati da un’ampia area verde, delimitata da portici e destinata ad attività varie di sport, svago e cultura. Oggi questo complesso verrebbe definito “multifunzionale”, e la sua imponente presenza, da quel momento in poi, ha caratterizzato il paesaggio urbano del Colle Oppio. Alle nuove concezioni di Apollodoro si deve infatti non solo la creazione di una nuova tipologia edilizia che trasponeva il modello del ginnasio greco in ambito romano, ma anche la ricerca del massimo sfruttamento delle fonti energetiche naturali. La scelta dell’orientamento del nuovo imponente complesso su un asse girato di circa 35 gradi verso ovest (differente da quello nord-sud che la ricostruzione successiva all’incendio del 64 d.C. aveva dato al quartiere con la Domus Aurea, seguito anche dai successivi edifici costruiti in età flavia) sembra infatti dovuta alla volontà di assicurare agli ambienti caldi il massimo potenziale sia della luce che del calore solare. Oltre al cambio di orientamento, l’ambizioso progetto prevedeva la realizzazione di una quota unitaria come piano di calpestio dell’intero complesso, su una vasta area che presentava invece livelli differenti dovuti alle variazioni della geomorfologia del terreno. Tutto ciò che superava in altezza la quota prescelta doveva quindi essere demolito, mentre tutto ciò che era più basso veniva sepolto o riutilizzato come parte delle fondazioni del grande terrazzamento. L’esempio più evidente di questa pratica è nell’angolo sud-est del complesso termale, in corrispondenza del padiglione esquilino della Domus Aurea, il cui secondo piano fu smantellato, mentre il resto venne a costituire parte del basamento delle Terme. Nei punti vuoti, cioè liberi da costruzioni, furono edificate nuove strutture destinate a sorreggere e contenere il poderoso interro necessario per il raggiungimento del livello previsto per il nuovo complesso. Strutture parallele vennero costruite nel peristilio e altre furono addossate alla facciata della Domus Aurea per sostenere l’angolo sud-est del terrazzamento (fig. 7).50
Fig. 7. Planimetria delle Terme di Traiano sovrapposta agli edifici precedenti; nel cerchio il quartiere rinvenuto nell’angolo sudoccidentale (elab. R. Volpe).

21Nonostante il nuovo orientamento verso sud-ovest del recinto termale, il quartiere circostante continuava tuttavia a mantenere l’impianto nord-sud, e questo aveva costretto ad escogitare e realizzare una eterogenea serie di soluzioni di continuità sui margini del grande complesso, con un denso tessuto edilizio, così come testimoniato anche dai frammenti della Forma Urbis marmorea. I nuovi interventi traianei convolsero quindi quasi integralmente il Colle Oppio, in un’area ben più grande di quella occupata del vero e proprio impianto termale: alla superficie di oltre sei ettari all’interno del recinto delle Terme si deve infatti aggiungere quella dei nuovi edifici di collegamento costruiti sul perimetro (fig. 8). Ne sono un esempio sia la monumentale aula biabsidata ancora parzialmente visibile sul lato nord del complesso51 che il ninfeo sotterraneo scoperto sotto il viale del Monte Oppio, in cui si è riconosciuta parte di una domus attestata sulla Forma Urbis marmorea, situata accanto all’ingresso delle nuove Terme; il ninfeo risulta infatti profondamente ristrutturato proprio in età traianea.52
Fig. 8. Colle Oppio. Edifici costruiti durante il periodo traianeo (elab. R. Volpe).

22Non va poi dimenticata l’area occupata dagli edifici di servizio: per il funzionamento delle terme era infatti essenziale assicurare il regolare rifornimento idrico, e quindi l’approvvigionamento di una enorme quantità di acqua. A questo scopo infatti fu costruito il gigantesco serbatoio noto fin dal medioevo con il nome di Sette Sale, posto a nord-est del complesso, nel punto più elevato del colle.53 La scelta del sito è dovuta sia alla sua quota che alla presenza del terrapieno relativo alle antiche Mura Serviane, che correvano sul margine est del Colle Oppio.54 Questo venne infatti sfruttato non solo per incassarvi la mole della cisterna (e sostenere quindi la pressione dell’acqua in essa contenuta), ma anche perché all’interno di esso doveva passare anche il ramo di acquedotto che garantiva quotidianamente il rifornimento d’acqua al serbatoio, che poteva contenere circa 6000 metri cubi, pari ad oltre sei milioni di litri d’acqua. Si tratta probabilmente dell’aqua Iulia, in grado di arrivare alla quota di 55 m s.l.m., dove è attestato il punto di ingresso dell’acqua..55
23Sempre a servizio delle Terme, va ricordata anche la costruzione di un edificio intermedio tra il complesso termale e le Sette Sale, proprio di fronte a queste ultime, con le quali era strettamente collegato. Costituito da un ampio cortile scoperto e porticato, circondato su tutti i lati da ambienti che vi si affacciavano, è stato di recente identificato come un horreum, destinato probabilmente a contenere i materiali necessari al funzionamento delle terme, come ad esempio la legna che serviva ad alimentare i forni che scaldavano l’acqua dei bagni.56
24L’accuratezza delle soluzioni escogitate per armonizzare le differenze di orientamento tra il vecchio e il nuovo è quindi un’ulteriore prova dell’eccezionalità e precisione del nuovo progetto, la cui quota del piano di calpestio deve essere stata determinata in base al livello più alto presente nell’area compresa dal progetto, quello della parte più a nord e più alta del Colle Oppio, dove si sarebbe trovato anche l’ingresso principale del complesso, rivolto verso i popolosi quartieri dell’Esquilino e della Suburra. Si è già visto come la differenza tra il piano di calpestio antecedente e il nuovo livello da costruire abbia conservato il padiglione della Domus Aurea, anche se privato del piano superiore. Nell’angolo sudoccidentale del complesso termale, come già visto, questo dislivello superava i quindici metri, e ha consentito quindi la conservazione, sotto le Terme di Traiano, di buona parte degli elevati degli edifici precedenti.
25Nonostante il completo e definitivo sconvolgimento di un intero quartiere, al momento dell’inaugurazione, il 22 giugno del 109 d.C., smisurata deve essere stata la meraviglia e l’ammirazione dei Romani che entravano in questi ambienti alti, vasti, riccamente decorati di marmi e mosaici, il cui splendore era accentuato da un attento uso della luce (fig. 9-10). Questi grandi spazi potevano accogliere migliaia di persone, offrendo un servizio che consentiva al popolo di accedere gratuitamente agli stessi comfort di cui godevano i ceti più abbienti grazie alla generosità e alla benevolenza dell’imperatore.
Fig. 9. Veduta ricostruttiva della natatio delle Terme di Traiano (elab. da Volpe 2017).

Fig. 10. Veduta ricostruttiva del frigidarium delle Terme di Traiano (elab. da Volpe 2021).

26L’area del Colle Oppio nell’arco di poco più di quarant’anni aveva dunque subito tre grandi trasformazioni, di cui almeno due (quella neroniana e quella traianea) avevano provocato una totale metamorfosi di questa parte di città rispetto alla situazione precedente, sia nell’aspetto che nelle funzioni. L’ultima infine, quella più imponente e definitiva, ebbe un effetto tombale e di oblio su tutto ciò che l’aveva preceduta, e che solo in tempi moderni ha cominciato ad essere riscoperto, da quando un ragazzo alla fine del Quattrocento era caduto in una buca, scoprendo i primi vani affrescati della Domus Aurea,57 fino agli scavi nell’angolo sudoccidentale del colle, che hanno portato alla luce un intero quartiere dimenticato.
27Per una sorta di impietoso contrappasso tuttavia, quelle sono oggi le strutture più famose con cui più spesso si identifica il Colle Oppio, mentre i resti pur imponenti delle Terme di Traiano all’interno del Parco vengono spesso attraversati, ma purtroppo inconsapevolmente ignorati.58
Bibliographie
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Notes de bas de page
1Sul tema esiste un’ampia bibliografia: cf. ad es. Morgia 2007 (soprattutto il Cap. I, p. 11: catastrofe è una continua discontinuità) e Fernandez Martinez – Monterroso Montero 2018.
2Dai primi studi negli anni Cinquanta (per i quali ottenne anche la prestigiosa medaglia Fields, il massimo riconoscimento internazionale per i matematici), René Thom sviluppò poi la sua teoria, con le motivazioni, i modelli e le concezioni generali, in due opere principali: R. Thom, Stabilité structurelle et morphogenèse. Essai de théorie générale des modèles, 1972 (trad. it. 1980) e R. Thom, Modèles mathématiques de la morphogenèse. Recueil de textes sur la théorie des catastrophes et ses applications, 1974 (trad. it. 1985). Sono stati classificati sette possibili tipi di catastrofi elementari, dove per catastrofe si intende un cambiamento improvviso di un processo strutturalmente stabile. Questa teoria si applica alla genesi e all’evoluzione in campi che vanno dalle scienze fisiche alle scienze umane e sociali. Secondo Thom, il mondo non è caotico, ma è costituito da una serie di strutture razionali la cui successione è oggetto d’indagine della morfologia.
3La descrizione di Tacito costituisce la principale fonte sull’incendio: Tac., Ann., 15,38-44; cf. anche quanto scritto da Svetonio, Nero, 38. Cf. Panella 2011.
4Tac., Ann., 15, 38, 1: Sequitur clades, forte an dolo principis incertum (nam utrumque auctores prodidere), sed omnibus, quae huic urbi per violentiam ignium acciderunt, gravior atque atrocior “In seguito si verificò il più grave e terribile disastro fra tutti quelli che colpirono questa città con la violenza del fuoco, non si sa se accidentale o per dolo del principe, gli storici infatti hanno trasmesso entrambe le versioni”. Se Tacito lascia in dubbio la questione della causa, Svetonio scrive invece apertamente che fu Nerone a dar fuoco alla città: “come se fosse disgustato dalla bruttezza dei vecchi edifici e dalle strade strette e tutte curve” (Suet., Nero, 38).
5Si ricorda che insieme al Cispio il colle Oppio (definito mons dalle fonti antiche) costituiva la più meridionale delle due alture che compongono l’Esquilino. A sua volta era composto dai rilievi di Oppio, Carinae e Fagutal.
6Le principali fonti antiche sulla Domus Aurea sono Suet., Nero 31; Tac., Ann., 15, 42; Mart., Epigr., 2. La bibliografia sulla Domus Aurea è praticamente sterminata. Per una visione generale cf. Segala – Sciortino 1999; più recentemente Viscogliosi 2011, Carandini et al. 2011, D’Alessio 2019.
7Come ricorda Svetonio (Suet., Tib., 15), e come attesta anche il ritrovamento di una fistula plumbea con il suo nome, Tiberio di ritorno dall’esilio di Rodi, vi pose la sua residenza nel 2 d.C. Anche la domus del principe Tito prima di diventare imperatore, citata da Plinio a proposito del Laocoonte (Plin., N.H., XXXVI, 37), dovrebbe essere situata negli horti di Mecenate, e forse coincidere con la dimora di Tiberio, seguendo la proposta di identificazione del sito di rinvenimento del gruppo del Laocoonte stesso (cf. Volpe – Parisi 2009).
8Cf. Suet., Nero, 38, 2; Tac., Ann., 15, 39, 1; Oros., 7, 7, 6. La torre, di cui sono state proposte varie localizzazioni, ma di cui non ci sono resti identificabili, doveva trovarsi nell’area degli Horti di Mecenate, in uno dei punti più alti del colle Oppio, ma evidentemente al di fuori dell’area colpita dall’incendio. In altre fonti sono tuttavia riportate altre localizzazioni di questo fatto: cf. Perrin 1996, che propone di riconoscere il sito della Torre – che sarebbe stata quindi distrutta nel 64 proprio da Nerone – nelle strutture precedenti la Domus Aurea nell’area del cortile pentagonale. L’ipotesi appare tuttavia poco convincente: questa parte della Domus Aurea si trova infatti a mezza pendice, e non sulla sommità del colle, come sarebbe logico; inoltre il fatto che non sia più nominata nelle fonti non può essere portato come prova che dopo il 64 d.C. la torre non esistesse più. È possibile, anche se non dimostrabile, che la torre si trovasse nell’area poi occupata dal complesso delle Terme di Traiano e delle Sette Sale e che sia stata quindi ricoperta dalle Terme stesse (v. oltre), e per questo motivo non se ne conoscano resti.
9Suet., Nero, 31, 1: «Tuttavia in nessuna altra cosa sperperò più denaro che nel costruire una casa che andava dal Palatino all’Esquilino, che prima chiamò Transitoria, poi, una volta ricostruita dopo i danni dell’incendio, Aurea.» L’interpretazione dell’aggettivo transitoriam è tuttora molto dibattuta, a causa dell’ambiguità del termine e il modo generico con cui Svetonio parla di una casa che va dal Palatino all’Esquilino e Tacito di una residenza che congiungeva il Palatino con gli horti di Mecenate (Tac. Ann. 15, 39, 1); cf. Beste 2011 e da ultimo Borghini 2019 e D’Alessio 2019 che riassumono i termini della questione. Cf. Perrin 2014.
10Va rimarcato come nella tradizione degli studi tutte le fonti che parlano della Domus Aurea vengono quasi sempre riferite al solo padiglione sull’Esquilino, mentre avrebbero potuto riguardare invece un’altra parte della gigantesca dimora neroniana.
11La proposta più analitica delle strutture si deve a Lawrence Ball (2003), che ha distinto diverse fasi di costruzione, già precedenti al 64 d.C. Decisamente controcorrente, infatti, Meyboom – Moormann 2013 analizzando gli apparati decorativi del padiglione esquilino giungono alla conclusione che tutta la costruzione sia posteriore al 64 d.C., e che, al contrario dell’opinione comune, la parte orientale sarebbe antecedente a quella occidentale, e non viceversa. La stessa sequenza cronologica è ribadita in Moorman 2020. Cf. anche Carandini 2011.
12Cf. nota 4. Mi fa piacere ricordare qui a questo proposito il testo di Pino Pucci, intitolato non a caso Nerone superstar (Pucci 2011), come sempre calzante, pungente e soprattutto mai banale.
13Tac., Ann. 15, 43.
14Per il quartiere precedente le Terme di Traiano cf. oltre.
15Troppo pochi sono forse i resti della Porticus Liviae riportati alla luce per poter riscontrare su di essi eventuali tracce di incendio. Le fonti principali sulla Porticus Liviae sono Suet., Aug., 29, 4 e Cass. Dio., 54, 23, 1-6. Cf. Panella 1987 e 1999. Nessuna traccia riferibile all’incendio del 64 d.C. è stata notata neanche nella pluristratificata domus indagata sotto la Basilica di S. Pietro in Vincoli (Colini – Matthiae 1966, p. 13-20).
16Cf. il passo di Marziale citato a nota 17, che ricorda umili case requisite per creare il parco della Domus Aurea.
17Forse un accenno agli edifici precedenti è in un altro passo di Svetonio: «alcuni magazzini presso la Domus Aurea, dei quali desiderava moltissimo l’area, vennero demolirti con macchine da guerra, perché fatte con muri di pietra, e incendiati» (quaedam horrea circa domum Aurea, quorum spatium maxime desiderabat, ut bellicis machinis labefacta atque inflammata sint, quod saxeo muro constructa erant: Suet. Nero. 38). Marziale, Epigr. 2 parla di “povere case” abbattute per far posto alla Domus Aurea (abstulerat miseris tecta superbus ager. cf. oltre).
18Cf. Perrin 2014 p. 565, che ritiene che la potente struttura che funge da limite occidentale del padiglione esquilino della Domus Aurea si possa identificare con il muro di recinzione e quindi con il limite occidentale degli horti di Mecenate nella sua parte più meridionale.
19Per la residenza di Tiberio e probabilmente poi di Tito negli horti di Mecenate cf. nota 8.
20Suet., Nero, 31, 1. Cf. Tac., Ann, 15, 42.
21Gli ambienti sotterranei furono casualmente riscoperti alla fine del Quattrocento: da allora vari artisti si facevano calare con delle corde in questi ambienti seminterrati della Domus Aurea (definiti «grotte»), per trarre ispirazione per la loro pittura, dando così origine al fenomeno delle «grottesche», e lasciando spesso la loro firma tracciata col carboncino sulle pareti: cf. Dacos 1969. Da ultimo cf. Raffaello 2020.
22Cf. Voisin 1987, secondo il quale l’orientamento verso sud della fronte del palazzo, dove si poteva seguire il corso del Sole per tutta la giornata, è dovuto a calcoli astronomici molto precisi, probabilmente derivanti anche dall’Egitto, dove il culto del Sole era radicato da millenni. L’orientamento sui punti cardinali compare per la prima volta sul colle Oppio proprio negli edifici neroniani. Secondo D’Alessio 2019, p. 53: «svolta assolutistica e culto solare (l’imperatore risplende a Roma come il Sole, in Seneca, Apocolocyntosis, 4, 1, 25-32) trovano la loro trasposizione materiale nell’architettura della domus Transitoria e della domus Aurea».
23Cf. Borghini 2020, che sottolinea il ruolo della luce come protagonista dell’architettura della Domus Aurea, che contrasta in maniera stridente con l’aspetto oggi sotterraneo e buio delle sale, per questo definite “grotte” nel Rinascimento.
24Suet., Nero, 6, 1. Cf. Voisin 1987, p. 537.
25Nerone con la corona radiata appare già sul verso di dupondi del 63 e 64 d.C. (ad es. RIC I, 109, 111, 116, 123, 124, 184-187, 202, 204, 205, 284-87, 289, 293), e poi del 65,66 e 67 d.C. (RIC I, 344, 347, 350, 351, 363). Secondo alcuni l’uso della corona radiata, che compare per la prima volta in un asse coniato 14 d.C. da Tiberio per la deificazione di Augusto (RIC I, 83), indica il valore doppio della moneta su cui è apposto, ma anche sotto Nerone, si hanno assi e dupondi sia con la corona laureata che radiata. In un aureo del 64-65 d.C. (RIC 46) Nerone è raffigurato nel rovescio togato e radiato, con un globo con la Vittoria in mano.
26Per il piano superiore del padiglione dell’Oppio cf. Fabbrini 1982. Scavi recenti hanno individuato sull’angolo nordorientale del Palatino una struttura cilindrica a torre, in cui si è voluto riconoscere il basamento e il macchinario che faceva funzionare la sala rotante ricordata da Svetonio: Villedieu 2011 e da ultimo Villedieu 2021.
27Il grande serbatoio delle Terme di Traiano, la cui datazione agli inizi del II secolo è certa, conserva infatti l’orientamento nord-sud, così come l’antistante horreum. Cf. oltre e nota 39.
28La base con l’iscrizione (CIL VI 934 = ILS 252), mutila nella parte superiore, è purtroppo perduta e nota solo dalla bibliografia. L’originaria attribuzione nella pubblicazione del CIL VI è a Vespasiano, con datazione al 78 d.C. Sulla base di un riesame della titolatura è stata successivamente attribuita a Tito, datando l’iscrizione all’81 d.C.: cf. CIL VI p. 4307. Sulla datazione a Vespasiano si mantiene invece Scheid 2016, p. 95. Entrambe le due attribuzioni sono comunque coerenti e non contrastano con il ragionamento proposto.
29Plin., N.H., 34, 104.
30La legenda, mai attestata prima nella monetazione imperiale, compare sia su aureo (RIC II, 51, n. 310 del 69-70 d.C., zecca Illyricum) che su sesterzi, con la variante Roma resurges S.C. (RIC II, 65 n. 607 del 70 d.C., zecca di Roma; RIC II, 69, n. 445, del 71 d.C., zecche di Roma/Lugdunum/Tarraco; RIC II, 101, n. 735, del 72-73 d.C., zecca di Lugdunum); cf. Stevenson 2010. Anche volendo pensare che Roma indichi tutto l’impero, lo Stato e la Città sono considerati sempre inscindibili e praticamente coincidenti.
31Sulla politica urbanistica di Vespasiano cf. Castagnoli 1981, Darwall-Smith 1996 e Levick 2005, p. 125-130. Da ultimo una rassegna degli interventi flavi sull’Esquilino in Chillet 2020.
32Cf. ad es. Ball 1994 e Ball 2003. Cf. da ultimo Nepi 2023, che attribuisce ad età flavia anche il ninfeo di Polifemo.
33Mart., Epigr., 2: Hic ubi sidereus propius uidet astra colossus / et crescunt media pegmata celsa uia, / inuidiosa feri radiabant atria regis / unaque iam tota stabat in urbe domus; / hic ubi conspicui uenerabilis Amphitheatri / erigitur moles, stagna Neronis erant ; / hic ubi miramur uelocia munera thermas, / abstulerat miseris tecta superbus ager ; / Claudia diffusas ubi porticus explicat umbras, / ultima pars aulae deficientis erat. / Reddita Roma sibi est et sunt te preside, Caesar, / deliciae populi, quae fuerant domini. Traduzione italiana di chi scrive.
34Le principali fonti sulle Terme di Tito sono Suet., Tit., 7; Cass., Dio., 66, 25, 1; Mart., Epigr., 2, 7-8 (citato sopra nel testo).
35A partire dall’attribuzione alle Terme di Tito, avanzata da R. Lanciani e tradizionalmente accettata, della pianta disegnata da Palladio (che in realtà attribuisce la sua pianta alle “Terme di Vespasiano”), questa viene indicata come prototipo delle grandi terme imperiali. Tuttavia l’analisi dei resti archeologicamente indagati delle Terme ha dimostrato che, pur riconoscendo alcune strutture nel disegno di Palladio, questo è molto ricostruttivo, e soprattutto non differenzia le varie fasi edilizie. Cf. Caruso 1989, Caruso 1990 e da ultimo Calvigioni 2020.
36Le strutture conservate sembrano infatti quasi tutte posteriori all’originaria costruzione di età flavia (cf. Calvigioni c.s.).
37Bolli laterizi del 123 sono stati trovati in opera in alcune delle murature della ricostruzione del complesso, che presenta altre successive fasi di ampliamenti e restauri: cf. Calvigioni 2020.
38Coperta da una volta a sesto molto ribassato e priva di rivestimenti, la galleria costituiva una vera e propria camera di fondazione non accessibile, con l’unica finalità di sostenere e raggiungere il livello previsto dal nuovo impianto. La galleria viene spesso, ma erroneamente, definita criptoportico a causa della presenza di lucernari, dovuti tuttavia ai lavori tardo settecenteschi per l’installazione della Salnitrara Camerale, la fabbrica di polvere da sparo, di cui nella galleria si conservano ancora strutture e pavimentazioni.
39Sulla struttura e le modalità di costruzione dell’esedra cf. Volpe – Rossi 2012 e Volpe – Rossi 2014.
40Sulla datazione di questi edifici cf. tuttavia la differente opinione espressa nel recente lavoro di Eugenio La Rocca, che analizzando il grande mosaico parietale scoperto in uno degli edifici (v. oltre) giunge a datarlo in età neroniana sulla base di confronti iconografici, e ad attribuire quindi l’intero quartiere ad una fase della Domus Aurea (La Rocca 2020).
41Per una disamina dell’affresco cf. La Rocca 2000 e La Rocca 2008.
42Non va dimenticato che un altro simile affresco, sempre con raffigurazione di città, di cui sono stati rinvenuti dei frammenti, si trovava in maniera simmetrica sull’altro lato dell’arcata di ingresso. L’architettura del grande edificio, con la planimetria simile quasi a un impianto basilicale, e la particolare facciata non sembra aver finora trovato confronti analoghi per dimensioni e tipologia. A tutt’oggi riesce difficile trovare paragoni adeguati per questa ricostruzione architettonica, anche se l’ipotesi già a suo tempo avanzata di un edificio destinato a funzioni pubblico-amministrative continua a sembrare la più probabile: cf. Caruso – Volpe 2000 e Volpe 2010.
43Cf. Volpe 2010, p. 285 sq. Cf. Caruso et al. 2014. Per le caratteristiche della composizione musiva cf. Billi 2016.
44È stato calcolato che il piano di calpestio originario di questo ambiente si dovrebbe trovare a circa 4 metri al disotto dell’attuale punto dove è finora giunto lo scavo archeologico: cf. Volpe 2010.
45Per la descrizione del mosaico parietale cf. Caruso et al. 2014, p. 195-200, La Rocca 2020 e da ultimo Termini c.s. Per le caratteristiche tecniche cf. Billi 2016: 251-253. L’opera musiva si conserva in maniera non completa: oltre ad essere stata privata del limite superiore, presenta un fondo molto lacunoso per la perdita quasi totale delle tessere di pasta vitrea blu con le quali era stato realizzato, a testimonianza di un intervento di “riciclo” operato nell’ambito della costruzione traianea: cf. Volpe et al. 2020. Per l’articolazione topografica cf. Volpe 2010.
46Questi due edifici si dovevano porre ai lati di una strada che, provenendo dalla vallata del Foro, proseguiva poi davanti alla Porticus Liviae fino alla Porta Esquilina (prima di essere cancellata dalla successiva costruzione delle Terme di Traiano).
47Per la descrizione dei vari complessi cf. Volpe 2010.
48Cf. il testo di A. Arnoldus in Volpe 2000, ripreso in Arnoldus Huyzendveld 2016. Si preferisce in questa sede soprassedere alle complesse ipotesi di identificazione delle varie alture che compongono il colle Oppio, che dipendono da differenti interpretazioni delle fonti antiche. La presenza della valle, con andamento probabilmente nord-sud, costituisce comunque un testimone oggettivo e sicuro dell’esistenza di due alture distinte ai lati di essa.
49L’atto di nascita delle Terme di Traiano è conservato nei Fasti Ostiensi, un’iscrizione marmorea frammentaria, con il calendario di avvenimenti relativi al periodo che va dal 49 a.C. al 175 d.C., rinvenuta ad Ostia Antica agli inizi del XX secolo: cf. Volpe 2010, p. 284 n. 2. La conferma della datazione ad età traianea dell’intero impianto viene anche dai numerosi bolli laterizi ritrovati in varie riprese nelle murature dell’edificio. Da respingere sembra perciò la teoria, appoggiata a testimonianze tarde, che il complesso sarebbe stato iniziato da Domiziano. Da ultimo per una descrizione dei resti conservati delle Terme di Traiano cf. Volpe 2017.
50Sulle modalità di costruzione delle Terme di Traiano con il riuso degli edifici precedenti cf. Volpe – Rossi 2012, Volpe – Rossi 2014 e da ultimo Volpe et al. 2020.
51Probabilmente pertinente ad un impianto termale autonomo rispetto al grande complesso; cf. De Fine Licht 2004.
52La domus disegnata in un frammento della Forma Urbis marmorea di età severiana (frr. 10 l, m), proprio a fianco dell’ingresso delle Terme di Traiano, mostra una pianta con un peristilio interno ed una serie di tre ambienti sul lato Sud, che ricalca quasi perfettamente quella del cosiddetto Ninfeo, rinvenuto nel 1936 nel corso della sistemazione del Parco di Traiano sul Colle Oppio (descritto da Bizzarri Vivarelli 1976). L’edificio, che doveva costituire il piano semisotterraneo della domus, si trova a circa 6-8 metri sotto l’attuale piano stradale, ed è accessibile da una scala a chiocciola posta dentro un piccolo padiglione su Viale del Monte Oppio. Il riconoscimento della coincidenza con la Forma Urbis si deve a Rodríguez Almeida.
53Per una descrizione generale dell’impianto e del suo funzionamento cf. De Fine Licht 1990, e da ultimo Santucci 2016, con bibliografia precedente. Il monumento, visibile anche nella cartografia storica, si conserva quasi integralmente sui margini del Parco del Colle Oppio, con accesso in via delle Terme di Traiano 5b.
54Resti del tracciato murario sono identificabili nell’odierna via Carlo Alberto, presso l’Auditorium di Mecenate in largo Leopardi, e nell’androne del fabbricato al civico 35 di via Mecenate, dove sono state recentemente musealizzate. Le mura seguivano poi il versante della collina prima di attraversare la valle della Labicana e dirigersi verso il Celio. Cf. Volpe – Parisi 2009.
55Cf. Volpe – Parisi 2009, in particolare p. 100-102.
56Il complesso era già stato identificato e documentato da De Fine Licht 1990. Per l’interpretazione come horreum e i confronti (soprattutto con i più piccoli horrea Epagathiana di Ostia) cf. Volpe – Geri 2012.
57Aldilà dello studio della decorazione pittorica, oggetto da subito di riproduzioni e studi, secondo D’Alessio 2020 (p. 25 e nota 18) «è solo nel XIX e XX secolo che la Domus Aurea di Colle Oppio fa il suo ingresso nei moderni studi di antichistica e riacquista la propria identità»; si comincia allora infatti a studiare il monumento nella sua planimetria e forma architettonica.
58Si veda ad esempio il tag “Domus Aurea” che compare spesso su Internet sulle immagini che raffigurano invece le strutture dell’esedra sudoccidentale delle Terme di Traiano. La stessa recente progettazione e realizzazione del “giardino romano”, posto a protezione sull’area di parco sovrapposta alla Domus Aurea, ripropone l’orientamento nord-sud della Domus, che sarebbe stato in teoria cancellato da quello delle Terme di Traiano, che in questa sistemazione invece scompaiono definitivamente.
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Reconstruire Rome : la restauration comme politique urbaine, de l'Antiquité à nos jours
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