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Progettare il moderno, evocare l’Antico

Leone X, Raffaello e la nascita del Tridente romano

p. 311-344

Résumés

In questo saggio si analizza lo sviluppo del Tridente romano, costituito dalle attuali via di Ripetta, via del Corso e via del Babuino, che rappresenta una delle realizzazioni urbanistiche più importanti del XVI secolo, e una delle più rilevanti nella trasformazione urbana della città. Grazie a una rigorosa pianificazione economica e legislativa, Leone X continua l’opera di trasformazione di Roma, avviata sin dalla metà del ‘400 dai suoi predecessori, nel segno però di una riscoperta dell’Antico funzionale ad una città moderna. Tra i principali attori di questa operazione vi sono, oltre a Leone X, i Magistri Viarum, i proprietari dei terreni inedificati, tra cui istituzioni religiose come l’ospedale di San Giacomo o gli Agostiniani, e alcuni proprietari privati come i Chigi o gli Orsini. Infine va sottolineato il ruolo fondamentale di Antonio da Sangallo e Raffaello. Quest’ultimo, proprio in quegli anni, con il supporto e la promozione di Leone X, è coinvolto nella ricostruzione della Pianta dell’Antica Roma, il cui proemio, la Lettera a Leone X esprime il suo atteggiamento nei confronti della conservazione dei monumenti antichi e del loro ruolo nella città rinascimentale.

This essay analyses the development of the Roman Tridente, consisting of the current via di Ripetta, via del Corso and via del Babuino, which represents one of the most important urban achievements of the sixteenth century, and one of the most important in the urban transformation of the city. Thanks to a rigorous economic and legislative planning, Leo X continues the work of transformation of Rome, started since the mid-15th century by his predecessors, in the sign, however, of a rediscovery of the Ancient monuments of Rome, but with a new function for a modern city. Among the main actors of this operation there are, in addition to Leo X, the Magistri Viarum, the owners of the land, including religious institutions such as the Ospedale of San Giacomo or the Agostiniani, and some private owners such as the Chigi or the Orsini. Finally, the fundamental role of Antonio da Sangallo and Raffaello should be emphasized. In those years, the latter was involved, with the support and promotion of Leo X, in the reconstruction of the Map of Ancient Rome, whose preface, the Letter to Leo X, expresses his attitude towards the conservation of ancient monuments and their role in the Renaissance city.

Entrées d’index

Keywords : Leo X, Raphael, Tridente, via Ripetta, via Lata, history of urbanism, magistri viarum

Parole chiave : Leone X, Raffaello, Tridente, via Ripetta, via Lata, storia dell’urbanistica, magistri viarum


Texte intégral

1In De Antiquitates Urbis, pubblicato a Venezia nel 1527, lo studioso e antiquario per sua stessa definizione, Andrea Fulvio, a proposito dei dintorni del mausoleo di Augusto a Roma, scrive:

hoggi sia tutto ripieno di case p. insino alla ripa del Tevere: ove secondo il costume antico, sono disegnate le strade e l’isole delle case, con fune à drittura e squadra e massimamente quella che hora è disegnata cominciando dal tempio del popolo, e penetrando insino a quello che hoggi è il mezo et centro della città.1

2Nel suo testo Fulvio descrive il Tridente romano2 (fig. 1), una delle più grandi opere urbanistiche del XVI secolo, costituito da tre strade principali convergenti su piazza del Popolo, vale a dire la preesistente via Lata, via Leonina, poi Ripetta, e via Clementia, poi del Babuino. Nel giro di pochi anni, a partire dal 1513, quando viene eletto Leone X Medici, quella che era un’area occupata da vigne e orti, tra i quali spiccavano rovine romane come ciò che rimaneva del mausoleo di Augusto, e non molto dissimile da altre aree inabitate all’interno delle mura aureliane3, viene completamente trasformata attraverso l’apertura di nuove strade e la costruzione di case, palazzi e giardini. Ma il Tridente non è solo un segno su una pianta, è un formidabile intreccio di politica, urbanistica, interessi economici e speculativi, cultura antiquaria e religione.

Fig. 1. Particolare della pianta di Roma di Giambattista Nolli (1748) con l’area del Tridente, e con indicate le principali emergenze e la viabilità.

3Il Tridente è un’impresa eccezionale per l’epoca sia per la dimensione dell’area oggetto dell’intervento, sia per l’enorme sforzo economico intrapreso, gestito secondo un piano rigoroso, nel quale vengono coinvolti tutta una serie di personaggi che vedono da una parte i proprietari delle aree (fig. 2), tra cui grandi istituzioni religiose come il convento di S. Agostino e l’Ospedale di San Giacomo degli Incurabili, ma anche privati come le famiglie Orsini e Chigi, e dall’altra le istituzioni pubbliche come i Magistri Viarum, senza dimenticare la figura di papa Leone X, che attraverso la promulgazione di Bolle e Motu propri appare direttamente coinvolto nell’impresa, e infine coloro che intervengono nel disegno del progetto, attribuito a Raffaello e Antonio da Sangallo.

Fig. 2. I principali proprietari nell’area del Tridente all’inizio del XVI secolo.

Progettare il moderno. Il Tridente, un progetto pontificio per la sistemazione del Campo Marzio settentrionale

Gli antefatti

4Il progetto del Tridente deve però essere collocato in una visione più ampia della politica urbanistica portata avanti dai papi almeno dalla seconda metà del XV secolo.4 Dopo il ritorno da Avignone e la scelta di risiedere presso il palazzo del Vaticano, la preoccupazione principale dei pontefici è quella di rimettere “in funzione” la città, dal punto di vista della sicurezza, della salubrità e della circolazione. Roma doveva ritornare ad essere una città, e ciò sarebbe stato possibile solo prendendo delle misure mirate e moderne, atte a farla divenire la capitale della Cristianità. Un primo approccio urbanistico di questo tipo si ha con Niccolò V (1447-1455) Parentucelli e con il piano attribuito a Leon Battista Alberti per la risistemazione della zona di Borgo e Vaticano5, operazione che tende a impostare la città secondo due diversi poli, la Civitas Leoniana da una parte e l’Urbs dall’altra. Sicuramente però il papa che darà il via alla svolta urbanistica in cui il concetto della Roma cristiana si sovrappone a quello della Roma degli imperatori, e che verrà perseguito con una certa continuità almeno per tutto il Cinquecento, è Sisto IV (1471-1484) della Rovere, che attraverso una serie di interventi volti a rifunzionalizzare la città in vista del Giubileo del 1475, vuole sottolineare il suo ruolo di pontefice non solo come massimo rappresentante della religione cristiana, ma come un vero e proprio capo di Stato. Durante il suo pontificato ciò che permaneva della città medievale viene sistematicamente eliminato, grazie a demolizioni, allargamenti e rettificazioni di strade, tutte operazioni rese possibili da una solida e precisa legislazione, che sarà la base di quelle promulgate dai suoi successori, a partire dalla celebre Bolla del 30 giugno 1480 Etsi de cunctarum civitatum.6 La costruzione di ponte Sisto, resa necessaria per regolare il flusso di pellegrini tra la città storica e Trastevere, è uno degli esempi più importanti di questa politica urbanistica: si tratta del primo ponte costruito da un papa in epoca moderna e soprattutto che rivoluziona e sposta il baricentro cittadino, confermando una nuova centralità dell’area intorno a Campo de’ Fiori.7 Inoltre, a memoria dei suoi interventi urbanistici, Sisto IV, Restaurator urbis, farà apporre delle targhe in pietra, riprendendo una tradizione dell’antica Roma, e ponendosi quindi come un vero e proprio pontifex cristiano.8 L’opera di Sisto IV sarà ripresa, con una base ideologica ancora più forte dal nipote, il cardinale Giuliano della Rovere, salito al soglio pontificio nel 1503 con il nome di Giulio II (1503-1513). Nel lasso di tempo intercorso tra questi due pontificati della Rovere, l’attività urbanistica a Roma non si era di certo interrotta. Se durante il regno di Innocenzo VIII Cibo (1484-1492), l’attenzione del papa è soprattutto rivolta a continuare e consolidare l’opera di Sisto IV, di cui riprende la legislazione in materia edilizia e urbanistica, oltre ad avviare una vasta opera di rettificazione e pavimentazione delle strade9, con Alessandro VI (1492-1503), si ha la nascita di una delle prime strade “moderne” di Roma, ovvero il rettifilo della via Alessandrina in Borgo, che diventerà un modello per le future realizzazioni cinquecentesche, prima fra tutte via Giulia.10 La via Alessandrina, realizzata in soli 9 mesi in occasione del Giubileo del 1500, segna un punto di svolta importante, sia nelle modalità della sua realizzazione, sia nel rapporto con il tessuto edilizio preesistente. L’intervento di Giulio II se da una parte continua l’opera dei suoi predecessori, dall’altra vuole imprimere un carattere decisamente monumentale alla città, con l’intenzione di tradurre anche dal punto di vista urbanistico la sua politica di accentramento del potere. Ciò determina il rafforzamento della centralità della città Leonina, ma soprattutto dell’area meridionale dell’ansa del Tevere11 che attraverso la prevista costruzione del ponte Trionfale o Giulio, e soprattutto di via Giulia, sarebbe diventato il vero centro cittadino, dove si sarebbero concentrate tutta una serie di funzioni determinanti per il governo dello Stato della Chiesa. Come è noto, via Giulia12 rappresenta l’opera urbanistica più importante del pontificato di Giulio II, un rettifilo al centro del quale si doveva collocare una piazza, che riprendeva la forma e le funzioni dei fori delle antiche città romane, e sulla quale era prevista la costruzione del palazzo dei Tribunali, in diretta connessione con il quartiere dei Banchi, dove si era stabilita la ricca comunità fiorentina, e il palazzo della Cancelleria vecchia, dando luogo a un nuovo Campidoglio nel segno del Papa.13 Inoltre, collegando il nuovo ponte Giulio con ponte Sisto, via Giulia avrebbe anche reso più facile il collegamento con Trastevere, dove Giulio II fa sistemare via della Lungara14, che riprende l’andamento di un percorso più antico, e luogo dell’otium privato15, e che, secondo le intenzioni papali, doveva ricollegarsi al porto di Ripa Grande e alla via Portuense.16 Il progetto di Giulio II non verrà mai portato a termine, per una serie di cause, in primis politiche e economiche, e i suoi successori, in particolare Leone X e Paolo III, si concentreranno sul tratto finale del rettifilo, quello in collegamento con ponte S. Angelo e dove erano localizzati la maggior parte dei fondaci fiorentini, ma soprattutto il loro interesse sarà rivolto verso altre parti della città, una fra tutte il Campo Marzio settentrionale.

La necessità di un progetto: le ragioni pratiche alla base del “restauro” urbano

5Sin dalla seconda metà del XV secolo, i papi sono coscienti dell’importanza di creare un collegamento efficace tra la porta Flaminia e l’adiacente chiesa di Santa Maria del Popolo con il Vaticano. Durante il pontificato di Sisto IV, a cui si deve il restauro della chiesa di Santa Maria del Popolo, viene sistemata la via Sistina, percorso di origine medievale, che partendo da Ponte S. Angelo e costeggiando il Tevere, arrivava sino a Tor di Nona, per poi piegare all’altezza di piazza Nicosia, e giungere davanti alle chiese di Santa Marina (poi S. Girolamo degli Illirici) e San Rocco. Da lì, attraverso sentieri in mezzo alle vigne arrivava a Porta del Popolo.17 Appare chiaro quindi, che la via Sistina se poteva in qualche modo “funzionare” sino all’altezza delle due chiese, era però assolutamente insufficiente nel suo tratto settentrionale, tenendo anche presente che l’area era caratterizzata da un degrado dovuto alla presenza del porto della legna di Ripetta e delle prostitute, tanto che i suoi dintorni, ancora nel 1488, vengono descritti incultam putredine repletam.18

6La situazione comincia a mutare nella seconda metà del XV secolo, quando i papi, in vista di bonificare l’area, concedono una serie di privilegi e permessi a coloro che decidono di installarsi in quei luoghi, tra cui la comunità degli Illirici, che inizia a lottizzare una vigna al fine di costruirvi.19 Nel 1471 Sisto IV affida alla comunità lombarda la piccola chiesa di S. Nicola de Tufis o de Toffo che nel 1513 verrà ricostruita con il nome di S. Ambrogio.20

7L’inizio di una lottizzazione più sistematica dell’area si avrà però solo nei primi anni del secolo successivo quando a partire dal 1509 la Compagnia di Santa Maria del Popolo che gestiva i beni dell’ospedale di San Giacomo, comincia ad affittare dei terreni posti tra il Tevere e l’area del mausoleo di Augusto.21 I lotti vengono ceduti attraverso l’enfiteusi con l’obbligo di costruire entro un determinato periodo di tempo, cosa che permetteva ai proprietari di mantenere la proprietà del terreno e allo stesso tempo di avere degli edifici costruiti su di esso, senza però investire direttamente. Questo tipo di contratto, molto in uso a Roma sin dal Medioevo22, in particolare per le grandi proprietà ecclesiastiche, appare lo strumento principale di cessione di terreni nell’area del Tridente, e viene adottato anche dai privati, proprio per i vantaggi ad esso legati, tra cui quello di valorizzare delle aree altrimenti inedificate. Per quanto riguarda queste prime lottizzazioni, gli edifici costruiti su di esse sono delle piccole case a schiera, con un fronte su strada di circa 3-4 canne (tra i 7 e i 9 metri)23 e destinate ad un ceto medio basso. Dopo un’interruzione di circa un anno, le cessioni dei terreni ricominciano, quasi in concomitanza con l’elezione di Leone X, per protrarsi sino ai primi anni ’20 del secolo. Il papa si mostra da subito particolarmente interessato alle sorti dell’ospedale che nel 1515, attraverso la Bolla Salvatoris Nostris viene innalzato al rango di “archiospedale”24, mentre nel 1516, viene promulgata De Supernae dispositionis arbitrio che gli concede di cedere e dare in enfiteusi perpetua o affitto annuale i propri beni e destinare il ricavato al sostentamento della fabbrica.25

La realizzazione del progetto: il ruolo dei Magistri Viarum, esecutori della volontà papale

8L’andamento della lottizzazione, quasi interamente ricostruibile seguendo i dati documentari, e descritto in un Catasto del 166126 mostra come si procedesse dalle aree confinanti con le strade, verso l’interno. Nel 1521 l’area non solo è già dotata di tre strade trasversali, via delle Colonnelle, via della Frezza e via dei Pontefici, ma raggiunge anche il fronte stradale di via Lata. L’interesse principale del Papa è però focalizzato su via Leonina, tanto che a partire del 1517 vengono promulgati una serie di documenti il cui fine è da una parte accelerare il processo di apertura della strada, dall’altra controllare il suo andamento e decoro. Tra questi, va citato un Motu Proprio, databile al 1517, dove il Papa, rivolgendosi ai chierici di Camera e ai Magistri Viarum, chiede di regolarizzare e portare a compimento via Leonina e la sistemazione di piazza del Popolo; in particolare, Leone X si preoccupa del fatto che la strada, all’altezza dell’ospedale, non apparisse decorosa come era previsto inizialmente.27 Immediatamente posteriore è un secondo Motu Proprio dove il Papa, evidentemente non soddisfatto dell’andamento dei lavori, ordina, sotto pena di scomunica, di continuare i lavori della strada e della piazza, secondo un progetto stabilito precedentemente. Questo documento28 è di particolare interesse perché, oltre ai Magistri Viarum, vengono citati anche Raffaello e Antonio da Sangallo che sembrano essere autori di un progetto che però per qualche ragione non era stato seguito. A parte l’importanza delle informazioni contenute in questi due documenti, tra cui il coinvolgimento dei due architetti nella progettazione del Tridente, questi due Motu Propri indicano che vi erano state, malgrado l’interesse effettivo di Leone X, delle difficoltà nella prosecuzione dell’apertura della via Leonina all’altezza dell’ospedale di San Giacomo, dove la strada doveva attraversare alcuni terreni e vigne tra cui quella di Franciotto Orsini. Nell’aprile del 1508, Rinaldo Orsini, arcivescovo di Firenze e fratello di Clarice, moglie di Lorenzo de’ Medici, acquista da Gregorio del Bufalo una vigna29, le cui prime notizie si hanno nel 1511 quando appare come confine di un lotto dell’ospedale di San Giacomo delimitato dalla cosiddetta Terza via trasversale (via dei Pontefici).30 La vigna, all’interno della quale vi doveva forse essere un palazzo31, e posta a ridosso del mausoleo di Augusto, viene ereditata dal nipote Franciotto che nel 1515 la lottizza e la cede in enfiteusi.32 Quest’ultimo era anche proprietario di un terreno, posto sulle rive del Tevere, confinante con Mario Boccabella e con i beni dell’ospedale di San Giacomo, dai quali era separato, verso est, dal vecchio percorso in mezzo alle vigne. Non si hanno molte notizie circa questa vigna, ma nel 1518, un Anonimo francese, a proposito dell’apertura della via Leonina, scrive: «la Strade de Notre-Dame de Populo depuis l’Église S. Yves jusqu’au dit Populo et fut taille la maison du Cardinal Ursini qui est près du dict Populo pour passer par elle et pour les vignes».33 Per compensare ciò, nell’agosto del 1519 i Magistri Viarum concedono a Franciotto Orsini l’edificazione nel luogo della “strada vecchia del popoloˮ, in cambio di una parte di terreno del suo viridarium che viene perforatum per medio dato che si trovava sul tracciato della via nova que itur ad ecclesiam beate Maria del Populo iuxta tiberim.34 Questo risarcimento può spiegarsi anche con il particolare legame che legava Franciotto al cugino Leone X, con il quale era cresciuto a Firenze presso la corte di Lorenzo il Magnifico. Malgrado ciò, e malgrado le ricche prebende che gli erano state assegnate, nel settembre del 1519, egli vende il terreno al mercante senese Giovanni Patrizi, pur conservando la proprietà di una casa.35 Poco meno di un anno dopo, il 12 giugno 1520, il terreno viene acquistato agli eredi di Agostino Chigi, ovvero la vedova Francesca e i figli Alessandro e Lorenzo.36 Probabilmente la vigna era stata già lottizzata lungo il fronte stradale, in un’area dove i Chigi avevano già delle proprietà37, anche se la morte di Agostino, nell’aprile del 1520, segna una battuta di arresto nell’opera di edificazione; nel 1522 il terreno verrà ceduto alla chiesa di Santa Maria del Popolo.38

La vigna Boccabella: un’iniziativa privata perfettamente concertata

9Immediatamente confinante verso nord con la vigna Orsini, era la vigna di Mario Boccabella, citata per la prima volta nel 1478 quando appare come uno dei confini della vigna del Trullo39, di pertinenza del convento di S. Agostino40 (fig. 3). A partire dai primi di aprile del 1516, la vigna comincia ad essere lottizzata in maniera sistematica, tanto che già il 6 aprile sembra essere stata ceduta, sempre in enfiteusi, per quasi tutta la sua estensione. Il dato interessante di questa prima fase di cessioni, è che si tratta di lotti piuttosto grandi, che vanno dalle 60 alle 230 canne, all’interno dei quali erano state già realizzate delle strade in previsione della lottizzazione tra cui una che può essere riconosciuta come il tratto di via del Vantaggio verso il Tevere.41 Si ha anche notizia di una nuova strada che andava fatta per volontà dei Magistri Viarum, e da identificare con la via Leonina, che viene però espressamente citata per la prima volta solo nel 151842, dato che precedentemente si parla solo di una via publica que est inter dicti petium terreni seu fundj et bona hospitalis Sancti Jacobi de augusta, ovvero il percorso antico a confine tra le vigne Boccabella e di San Giacomo. L’edificazione dei lotti avviene assai velocemente tanto che già nel novembre del 1518 appaiono i primi edifici43 e soprattutto cambia la tipologia degli affittuari, non più artigiani e qualche prostituta ma personaggi di un ceto sociale decisamente più elevato.44 Questa lottizzazione ben rappresenta il modo di operare nell’area del Tridente, dove il proprietario realizza a sue spese delle strade, nell’ambito però di un piano generale. Non è un caso infatti che via del Vantaggio sia parallela alle strade “trasversali” aperte intorno al 1513 nella vigna di San Giacomo.45

Fig. 3. Copia esatta dei nostri Fondi al Trullo, o sia al Popolo, ca. 1700 (ASR, ASA, b. 16).

Evocare l’Antico. Monumenti antichi nel progetto di una Roma moderna

La lottizzazione di una proprietà degli Agostiniani:
la vigna del Trullo e il ruolo di Egidio da Viterbo

10Per raggiungere piazza del Popolo rimaneva solo da “tagliare” la vigna dei frati di Sant’Agostino, conosciuta anche come Vigna del Trullo. Quest’ultima, il cui nome derivava dalla presenza della rovina di un sepolcro di età imperiale46, rappresenta uno dei nodi fondamentali nello sviluppo e la realizzazione della via Leonina, proprio perché posta immediatamente a ridosso della piazza antistante Santa Maria del Popolo e quindi allo sbocco della nuova strada. Di proprietà del convento di Sant’Agostino, la sua lottizzazione inizia il 2 aprile 1519 quando Niccolò Gaddi, chierico di Camera, e fratello di Luigi, banchiere fiorentino legato ai Medici, riceve in enfiteusi dai frati 700 canne di terreno47, corrispondenti ad una porzione della vigna compresa tra via Lata e via Leonina, confinante con piazza del Popolo e all’interno della quale era posta “la Mole del Trullo”. Il 4 aprile Mario Maffei e Angelo Colocci ricevono ognuno 225 canne di terreno48, ma mentre Maffei restituirà il terreno nel gennaio del 152049, Colocci continua ad incrementare le sue proprietà tanto che all’interno della lottizzazione viene aperta una strada chiamata via Colotia.50 Le cessioni in enfiteusi continuano a ritmo serrato, ed entro il 1521 sono lottizzate tutte le aree lungo il fronte della via Leonina, mentre all’interno della vigna, oltre alla citata via Colotia, esistevano via Aureliana, ma soprattutto via Egidia, chiaro riferimento a colui che era stato Priore dell’Ordine degli Agostiniani, ovvero Egidio da Viterbo51, personaggio chiave nell’apertura dell’ultimo tratto di via Leonina verso piazza del Popolo. Anche in questo caso la lottizzazione segue uno schema rigoroso, deducibile dagli atti notarili e dalla successione delle aree cedute. Inoltre dal punto di vista progettuale, appare molto interessante l’utilizzo di isolati di forma triangolare che creano una serie di bivi, e che dimostrano la presenza di un progetto estremamente accurato. Per quanto riguarda piazza dell’Oca, di forma triangolare, essa si restringeva verso via Leonina, dove, sull’altro lato della strada, proprio dove finiva il lotto concesso a Niccolò Gaddi, le armi di Leone X dovevano essere poste su ciò che rimaneva del sepolcro di epoca romana52, posto ad angolo con piazza del Popolo, secondo un modello progettuale simile a quello del Palazzo di Jacopo da Brescia in Borgo.53 In questo modo lo stemma papale era visibile sia da piazza del Popolo, sia da piazza dell’Oca, a celebrare la figura del pontefice e la sua politica urbanistica.

11Il ritardo nella lottizzazione della vigna del Trullo è forse da imputare54 ad una divergenza tra i due conventi agostiniani di Sant’Agostino e di Santa Maria del Popolo, probabilmente dovuto ad un antagonismo fra le due istituzioni, che ha origine con la riforma dell’Osservanza55, iniziata alla fine del XIV secolo, in seno all’ordine Agostiniano, e che aveva dato luogo a due “correnti”, quella degli Osservanti e quella dei Conventuali, che pur sottostando ad uno stesso Priore, erano spesso ostili fra loro.56 Quando nel 1471, Sisto IV decide di dare una posizione di rilievo a Santa Maria del Popolo, e affida l’annesso convento agostiniano alla Congregazione Osservante di Lombardia, avvengono dei mutamenti decisivi sia per il convento sia per la chiesa, che porteranno questa istituzione ad assumere una posizione assolutamente preminente sia sul piano religioso, sia su quello architettonico e urbanistico. Personaggio fondamentale dell’ordine degli Agostiniani all’inizio del XVI secolo è il frate Egidio Antonini da Viterbo, che nel 1507 viene eletto Priore dell’Ordine per volere di Giulio II, suo grande ammiratore e sostenitore, e appartenente al movimento dell’Osservanza. Coltissimo57, professore di teologia, si immerge negli studi classici, ragione per cui è molto apprezzato dagli umanisti e intellettuali suoi contemporanei, tra cui ad esempio il Bembo58, che lo definisce una sorta di “Cicerone cristiano”.59 Noto anche per l’eclettismo dei suoi interessi tra cui l’antico Egitto e la Cabala, Egidio riesce ad evitare la scissione dell’Ordine, e auspica una riforma all’interno di esso, tesa alla volontà di ritrovare l’autentica Regola di S. Agostino. Pur deplorando la decadenza del clero, in particolare quello romano, egli riconosce alla città di Roma un ruolo “mistico”60, che, attraverso i suoi monumenti antichi e moderni, con particolare riferimento al cantiere per il nuovo San Pietro, deve ribadire la sua grandezza passata e presente.61 Con il pontificato di Leone X, il ruolo di Egidio negli ambienti religiosi e culturali rimane predominante, tanto che nel 1517, quando viene nominato cardinale62, continua a mantenere il ruolo di protettore dell’Ordine. Il sentimento di romanitas e di una ritrovata Età dell’Oro che pervade tutto il pontificato mediceo ben si accorda con la visione di Egidio di un Papato sotto il segno dell’auctoritas religiosa rafforzata dal ricordo dei monumenti dell’antica Roma. Legato a Raffaello, a lui è stato attribuito un importante ruolo nella scelta del tema iconografico delle Stanze di Raffaello in Vaticano.63 Nell’affresco della Visione della Croce, la similitudine tra Costantino e Leone X viene esaltata dalla presenza di numerosi monumenti romani, tra i quali anche quelli che ancora esistevano nell’area del Tridente. Se il legame tra Egidio da Viterbo, Leone X e Raffaello è riconosciuto, sicuramente vi era anche un rapporto molto stretto con i Chigi, da sempre legati all’ordine Agostiniano, e la cui cappella funebre, progettata da Raffaello, si trovava, non a caso, in Santa Maria del Popolo.64

La Meta del Trullo e il Mausoleo di Augusto: due ruoli diversi per due monumenti dell’Antico

12Vi è poi un altro argomento che andrebbe preso in considerazione a riguardo della tarda urbanizzazione della Vigna del Trullo, e che è legato a un ambiguo rapporto che esisteva almeno fino al pontificato di Leone X nei confronti del tema della distruzione e della conservazione dei monumenti antichi. Nella Lettera a Leone X65, Raffaello scrive: «poss’io racordarmi che poi ch’io sono in Roma, che anchor non è l’11 anno, sono state ruinate molte cose belle, come la Meta che era nella via Alexandrina».66 Come è noto, per la realizzazione di questa strada venne distrutta la cosiddetta Meta Romuli, che la tradizione aveva identificata con la tomba del fondatore di Roma. Di forma triangolare, la Meta, perfettamente visibile in molte vedute quattrocentesche di Roma, tra quella di Hartmann Schedel del 1492, di proprietà del Capitolo di San Pietro, era sopravvissuta praticamente intatta per tutto il Medioevo perché utilizzata in parte come granaio67 ed era citata in numerose guide medievali della città di Roma, tra cui i Mirabilia, come il sepulchrum Romuli.68 La sua demolizione pone bene in luce un atteggiamento ambivalente nei confronti di ciò che rimaneva dei monumenti antichi: da una parte vengono esaltati, in rapporto ad un discorso ideologico di continuità con la Roma antica, dall’altra vengono utilizzati come cava di materiali da costruzione o di marmo da calcinare, secondo una tradizione romana ben consolidata durante tutto il Medioevo e che persisterà almeno fino alla seconda metà del XVI secolo69, o demoliti. Va tenuto infatti conto che se a partire dall’Alberti, dal Biondo e altri, i monumenti dell’Antico vengono studiati, disegnati, rilevati, questi antiquari e umanisti70 rappresentavano di fatto solo una piccola cerchia, molto esigua rispetto alla popolazione di Roma. Come notato da Roberto Weiss, l’“entusiasmo” nei confronti dell’Antico e delle rovine non poteva di certo andare di pari passo con l’opera di modernizzazione della città intrapresa da papi come Niccolò V, celebre umanista, ma i cui interventi urbanistici rappresentavano una continua minaccia per i ruderi del glorioso passato di Roma.71 Malgrado i tentativi isolati di proteggere le antichità, come nel caso della Bolla di Pio II del 1480 Cum almam nostram urbem, che mirava, per la prima volta, a proteggere i monumenti antichi in quanto testimonianza da tramandare72, la loro distruzione, se giudicati non espressamente utili, proseguì senza ostacoli. A proposito di Sisto IV, nel Diario di Stefano Infessura, egli viene addirittura paragonato a Nerone, che il papa riesce a superare nell’opera di “distruzione” della città.73 Questo atteggiamento sembra permanere almeno sino al pontificato di Giulio II, in particolare in relazione al grande cantiere della nuova fabbrica di San Pietro, dove il pensiero del papa sembra quello non tanto di preservare i monumenti dell’antichità ma di superarli per magnificenza e grandezza attraverso la costruzione di nuovi edifici.74 La Lettera a Leone X segna quindi un punto di svolta fondamentale dato che Raffaello, interprete delle aspirazioni dei docti suoi contemporanei, non è un umanista o un antiquario, ma un architetto, quindi un “tecnico”, anche se grande conoscitore dell’antico.75 La possibilità di mantenere la mole del Trullo, a differenza di quello che era accaduto nel caso della Meta Romuli, sembra seguire perfettamente questa strenua difesa delle “sacre ruine”, e ciò potrebbe essere un ulteriore elemento per giustificare il ritardo nell’apertura dell’ultimo tratto della via Leonina.

13A differenza del mausoleo di Augusto, che ancora all’inizio del XV secolo veniva chiamato Mons Auste, perché in parte ricoperto di terra76 e quindi non del tutto riconoscibile, il Trullo viene rappresentato in numerose vedute di Roma del XV secolo, tra cui quella di Pietro del Massaio del 1469 o quella di Alessandro Strozzi del 1474. Si trattava in origine di un monumento funebre, identificato all’epoca come tomba di Marcello77, ma che recenti studi hanno attribuito a sepoltura di Agrippa78, e al quale corrispondeva simmetricamente, sull’altro lato della via Lata un manufatto simile, ipotizzato come sepolcro di Valerio Messalla.79 Di forma quadrata, con un basamento più largo e una torre nella parte alta, così come rappresentato nella veduta di Roma dello Strozzi, e descritto come “un pezzo de muro con una torretta a capo”80, il monumento, o ciò che restava di esso, diventa parte integrante del progetto del Tridente, secondo il pensiero di Raffaello, per il quale, le rovine sono come delle reliquie, da proteggere e da tramandare, e quindi da inserire nella città moderna.81 Tutto ciò viene approvato dallo stesso Leone X, promotore dell’intervento urbanistico ma anche colui che incarica Raffaello di realizzare la Pianta di Roma Antica, e il cui stemma viene collocato nella parte basamentale del Trullo in angolo con via di Ripetta.82 Il modello potrebbe quindi essere direttamente quello della sistemazione della via Lata in epoca augustea, ovvero due piramidi ai lati di via Lata di cui diventano una sorta di propileo monumentale.83

14Diverso è invece il ruolo del mausoleo di Augusto nell’ambito del progetto del Tridente, nel senso che, a differenza del Trullo, non partecipa direttamente al suo disegno. Sin dal Medioevo, il mausoleo e il suo ruolo in quanto sepolcro di Augusto era ben presente nella memoria popolare. Citato in numerose guide e Mirabilia della città di Roma, viene definito castellum84, dato che a partire dal XI secolo era stato trasformato in fortezza dalla famiglia Colonna, o mons85, a causa della terra posta sopra la sua copertura che la fece in seguito franare86, alterando il suo aspetto originario. Il mausoleo viene poi ricordato nel XIV secolo quando davanti ad esso venne ucciso Cola di Rienzo87, ma ancora all’inizio del secolo successivo non era annoverato tra i monumenti antichi oggetto di studio fra gli antiquari, tanto che Poggio Bracciolini, in De Varietate Fortunae, lo descrive, intorno al 1430, come coperto di vigne, a forma di collina, e in stato di grande degrado.88 Irriconoscibile nel suo antico aspetto, circondato da casupole, fornaci, orti, e vigne, il mausoleo verso la metà del XV secolo è una cava, privo da tempo dei celebrati marmi che lo rivestivano, in larga parte riutilizzati nelle vicine calcare.89 Di proprietà della Camera Apostolica, che lo affitta a diversi privati, tra cui la Confraternita di San Rocco90, viene ricordato da Flavio Biondo nella Roma Instaurata, come abbandonato e circondato da pascoli.91 All’inizio del Cinquecento è in parte di proprietà degli Orsini, e i suoi dintorni continuano ad essere utilizzati come vigne, orti e calcare, anche se la nascita del quartiere degli Illirici alla fine del XV secolo, era stata un’occasione per bonificarli, senza però giungere a una vera sistemazione dell’edificio e a un interesse vero e proprio da parte degli studiosi, che continuavano a giungere a Roma per misurare, disegnare e rilevare i monumenti dell’Antico. In realtà, sarà solo nel luglio del 1519, quando vengono eseguite le fondamenta della nuova chiesa di San Rocco, che vengono alla luce alcune parti del mausoleo, tra cui uno dei due obelischi un tempo posti a fianco dell’entrata.92 A questa data, l’urbanizzazione della via Leonina era stata già avviata, così come il progetto di sistemazione del Campo Marzio settentrionale, mentre ancora il mausoleo di Augusto non era stato liberato dalla terra che lo ricopriva tanto che in un rilievo del Peruzzi dell’area compresa tra di esso e la chiesa di San Rocco nel 1519, viene indicato come “monte del Sig.re Jacomo Ursino”93: appare quindi difficile pensare che il mausoleo in qualche modo abbia potuto influenzare il disegno del Tridente o esserne uno dei nodi principali, almeno prima del 1519, dato che il suo aspetto e il suo utilizzo, erano sostanzialmente rimasti gli stessi del secolo precedente. Ancora nel 1519, il Sanudo, scrive «mi vien compassione de la ruina di sì bella cosa», riferendosi alla sistematica spoliazione del monumento da parte di Giacomo Orsini.94 L’interesse nei confronti del mausoleo, e i tentativi di ricostruire il suo aspetto originario, daterebbero quindi a partire dal 1519, e non è un caso che nell’affresco della Visione della Croce, realizzato da Giulio Romano, su disegno di Raffaello, tra il 1520 e il 1521, esso venga rappresentato, insieme alla Meta del Trullo nella sua originaria forma piramidale, con i due obelischi davanti, inseriti in una topografia che è quella del Campo Marzio di epoca romana.95 Infine va considerata anche la sua posizione nei confronti della via Leonina, dove non sembra partecipare alla sua organizzazione generale, ma al contrario sembra essere quasi una sorta di “intralcio”, e non inserito nel tessuto viario regolare, che caratterizzava il resto del Tridente. Dopo la scoperta degli obelischi, il mausoleo di Augusto ritroverà il suo rango, seppur in maniera indiretta, con il progetto dell’apposizione del suo obelisco al centro di piazza del Popolo.

Il progetto per la sistemazione di piazza del Popolo

15Il progetto Tridente, per le sue dimensioni ma anche per la sua forte carica simbolica espressa dal suo disegno ed esaltata dalla presenza dei monumenti dell’Antico, ben rappresenta l’opera di un moderno imperatore, Pontifex Maximus, nel segno della Cristianità. Non è un caso infatti che dalla porta Flaminia il primo edificio visibile era la chiesa di Santa Maria del Popolo, seguito, secondo il progetto di Raffaello e di Antonio da Sangallo, dall’obelisco del mausoleo di Augusto, che doveva essere collocato al centro della piazza.96 A questo riguardo si vede come fosse pienamente compreso il carattere formidabile di questo elemento, che in qualche modo veniva “rigenerato” e inserito in un progetto urbanistico moderno. L’obelisco doveva essere collocato su una composizione il cui elemento centrale è un elefante, forse ricordo di Annone regalato a Leone X dal re Manuel di Portogallo, e che ancora una volta rimanda all’ambiente culturale dominato dalle suggestioni dell’Hypnerotomachia Poliphili, care a personaggi quali il Colocci ed Egidio da Viterbo97. L’apertura dell’ultimo tratto della via Leonina e il disegno di piazza dell’Oca con la visuale angolare dello stemma Medici, dimostrano come tutto facesse parte di un unico progetto, legato alla sistemazione definitiva di piazza del Popolo che sembra avviarsi nel 1520. Nel 1514 si ha notizia di un orto di proprietà della chiesa di Santa Maria del Popolo che viene dato in enfiteusi perpetua a Aldobrandino Orsini, vescovo di Nicosia, posto accanto alle mura98, al quale però rinuncia nel 1520 pro ampliatione vie de novo facte et pro platea ante dictam ecclesiam jam facta99, secondo le volontà dei Magistri Viarum (fig. 4). La posizione centrale dell’obelisco e la Meta del Trullo, a cui forse doveva affiancarsi sull’altro lato di via Lata in posizione simmetrica un edificio che in qualche modo ricordasse la perduta seconda piramide, erano quindi un riferimento diretto ed esplicito alla città antica, seppur rivista con un’ottica moderna e allo stesso tempo antiquaria.

Fig. 4. Piazza del Popolo alla fine del XVI secolo (ASR, Disegni e mappe, coll. I, f. 81, 280/1).

Il Borghetto dei Pidocchi e l’apertura di via del Babuino

16L’unitarietà di questo progetto è in qualche modo ancora più comprensibile analizzando i dati relativi ad un’altra vigna, posta nel luogo dove verrà aperto il tratto settentrionale di via del Babuino. Quasi contemporaneamente alla lottizzazione della vigna di San Giacomo, sull’altro versante del Tridente, alle falde del Pincio e nei pressi di Santa Maria del Popolo, inizia la lottizzazione della vigna di Giacomo Ceccarini, dove sorgerà un insediamento, che intorno agli anni ’30 del XVI secolo verrà conosciuto con il nome di Borghetto dei Pidocchi100 (fig. 5).

Fig. 5. Particolare della pianta di Roma di Étienne Dupérac (1577) con il Borghetto dei Pidocchi.

17La proprietà, che aveva una dimensione di circa 9 pezze, ovvero poco meno di due ettari e mezzo101, all’inizio del XVI secolo confinava con il convento di Santa Maria del Popolo, con la vigna di Domenico de’ Massimi e con una strada che andava verso Santa Maria del Popolo.102 La prime cessioni iniziano in una fase decisamente precoce, nel marzo del 1513, e tra i primi enfiteoti, oltre a Domenico de’ Massimi103, vi sono anche Angelo Colocci104 e Matteo Bonfini.105 Sino al 1520, Ceccarini continua ad affittare i terreni e contemporaneamente vengono costruite delle “domuncule”, abitate da una popolazione di ceto medio basso, in larga parte vignaioli, mulattieri ed osti, da cui il nome di Borghetto dei Pidocchi, e che poteva permettersi un canone annuo che era tra i più bassi nell’area del Tridente.106 Per quanto riguarda la viabilità, esistevano delle vie vicinali in mezzo alle vigne, tra cui quelle in parte create dallo stesso Giacomo Ceccarini all’interno della sua proprietà. Viene anche citata una viam publicam quod tendit ad ecclesiam Sancta Maria de Populo107, da identificare con il primo tratto della futura via del Babuino. La lottizzazione della vigna Ceccarini, che rispetto alle altre lottizzazioni sembra seguire un iter meno “rigoroso” e un disegno meno organico e più spontaneo, malgrado la presenza di due strade che strutturano il Borghetto dei Pidocchi e che si incrociano più o meno ortogonalmente, contiene però in sé elementi di grande interesse e fondamentali per il completamento del Tridente. Il primo è la precocità delle cessioni dei terreni, che risale al 1513, subito dopo l’elezione di Leone X, il secondo è la presenza della strada pubblica, definita anche via magna S.ta Marie de Populi108 che nel 1526 sembra essere stata lastricata, almeno nel primo tratto, che verosimilmente arrivava all’altezza delle proprietà de’ Massimi109, dato che l’affittuario doveva contribuire al jectitus amactonatus predicte via publica.110 Si tratta di un elemento importante per stabilire la data di apertura di via del Babuino, dato che pur facendo parte del Tridente a tutti gli effetti, non viene mai citata in nessun Motu Proprio né in nessun atto dei Magistri Viarum databili al pontificato di Leone X111, tanto che secondo alcuni autori112 il piano urbanistico di Leone X investiva solo l’apertura di via Leonina e la sistemazione di piazza del Popolo. In realtà, a parte il carattere omogeneo del disegno del Tridente, esisteva una lapide risalente al Giubileo del 1525, al tempo del pontificato di Clemente VII, nella quale era espressamente detto, che oltre alla via Lata, Leone X prima e Clemente VII dopo, con l’opera dei Magistri Viarum avevano diviso quella parte della città in tre sezioni (urbem trifariam) e che le due strade erano state chiamate Leoniana e Clementia113, il che dimostra che le tre strade facessero parte di uno stesso piano urbanistico, tenendo conto che Clemente VII si pone da subito come continuatore dell’opera di Leone X. La strada citata è quindi da identificare con la futura via del Babuino, chiamata Paolina durante il pontificato di Paolo III, a cui si deve l’apertura del tratto della strada114 verso la piazza sotto Trinità dei Monti.115 Rispetto all’altro lato del Tridente, via del Babuino116, e le aree circostanti, manterranno un’edificazione molto più rada, caratterizzata dalla presenza di orti e vigne, che alla fine del Cinquecento diventeranno dei veri e propri giardini, come quello del cardinale Flavio Orsini117, posto nell’isolato dove verrà poi costruita la chiesa di Gesù e Maria.

Piazza Monte d’oro: Sigismondo Chigi e un’enclave chigiana nel segno di Peruzzi e di Antonio da Sangallo

18Sempre da collegare al progetto del Tridente è la lottizzazione dell’area intorno a piazza Monte d’Oro118 su dei terreni che Sigismondo Chigi aveva comperato nel 1523 da Aloisio Gibraleoni, dove già esisteva un palazzo con viridarium costruito alla fine del XV secolo dal cardinale Ascanio Sforza119, e acquistato successivamente da Maddalena de’ Medici Cibo, sorella di Leone X. Suo figlio, il cardinale Innocenzo, nel 1521 rivende al Gibraleoni la proprietà costituita da un palatium cum omnibus et singulis membris suis ac casamentis, salis, cameris, tinellis, cantina, stabulis, pullarijs, riclaustris, Jardinis, Viridarijs120, confinante per tre lati con strade, tra cui la via Leonina. Anche in questo caso, il nuovo proprietario inizia da subito a lottizzare l’area e a cederla, in particolare nei fronti verso il Tevere, con lotti di una certa ampiezza come quello di 100 canne che il bresciano Antonio Baschenis affitta nel 1523 per costruirvi un palazzo.121 Nell’ottobre dello stesso anno gli eredi Gibraleoni vendono la proprietà a Sigismondo Chigi122; il 1° dicembre quest’ultimo inizia da parte sua a cedere dei terreni123, partendo questa volta dai lati di una platea fienda. Non sappiamo se la lottizzazione intorno a piazza Monte d’Oro fosse già stata impostata da Aloisio Gibraleoni, ma nel disegno GDSU 602Ar124 (fig. 6) è rappresentata l’area in oggetto con al centro la piazza e delle strade, quest’ultime in parte già esistenti. Il disegno, attribuito ad Anonimo, reca però delle annotazioni del Peruzzi, che all’epoca oltre a far parte della confraternita di San Rocco125 lavorava per Sigismondo per il quale aveva anche sistemato il preesistente palazzo, annesso al viridiarium, ovvero una domum in Campo Martio splendide ornatam […] quam idem Baldassar, restituebat elegantius anno MDXXIV.126 Il disegno estremamente rigoroso e geometrico ma anche aulico della piazza, è da collegare, oltre alla volontà di Sigismondo Chigi di realizzare un quartiere più signorile, dove gli enfiteuti erano il Peruzzi, Antonio da Sangallo, Giulio Romano, Lorenzetto, artisti legati ai Chigi e a Raffaello. Anche in questo caso l’edificazione avviene in maniera veloce e già nel 1525 vi sono le prime vendite di case o “melioramenti”127, che vengono costruiti seguendo fedelmente il piano stabilito nel disegno GDSU 602Ar, tanto che in una pianta successiva, databile alla metà del XVI secolo (fig. 7), quando il convento di Trinità dei Monti è proprietario di diverse case128, la situazione immobiliare, a parte il frazionamento di alcuni lotti, rimane sostanzialmente la stessa. Dopo la morte di Sigismondo avvenuta nel 1526, e la disastrosa inondazione del Tevere dell’ottobre del 1530, i suoi eredi concedono l’affrancamento del canone annuo sul terreno in cambio di un corrispettivo in denaro, per poter risarcire il loro palazzo129, che verrà poi affittato al cardinale Gallo, oratore di Francia130 e successivamente venduto prima del 1544 ad Orazio Farnese, nipote di Paolo III. Non è un caso forse che l’apertura della via Trinitatis nel 1547131, che doveva collegare piazza Nicosia con piazza di Spagna, avvenga proprio in questo periodo, e che all’incrocio con la via Leonina sia collocata la residenza di un membro eminente della famiglia Farnese, per “segnare” anche fisicamente l’opera di Paolo III.

Fig. 6. L’area della lottizzazione di piazza Monte d’Oro nel disegno GDSU 602Ar.

Fig. 7. L’area di Monte d’Oro intorno alla metà del XVI secolo (PEFR, Fonds Anciens, Liasse 238 A)

I principali attori dell’operazione del Tridente

19Questa operazione di grande qualità architettonica, ma allo stesso tempo sostenuta da una rigorosa pianificazione economica, resa possibile dallo strumento dell’enfiteusi e da numerosi decreti papali132, è profondamente legata alla volontà di Leone X di realizzare un intervento assolutamente moderno per l’epoca. Tra i principali attori, come si è visto, vi sono, dal punto di vista attuativo i Magistri Viarum, Bartolomeo della Valle e Raimondo Capodiferro133 e i chierici di Camera Niccolò Gaddi e Cristoforo Barozzi. Inoltre va sottolineata la presenza di una serie di personaggi, strettamente legati alla corte pontificia, sia nella veste di proprietari sia in quella di affittuari o meglio investitori. Tra questi vi sono banchieri e uomini d’affari come i Gaddi o i due fratelli Sigismondo e Agostino Chigi, ma anche intellettuali e curiali, come Angelo Colocci, Mario Maffei, Alosio Gibraleoni e Mario Boccabella, senza dimenticare Franciotto Orsini o i Cibo, legati al papa da vincoli famigliari. A costoro si aggiunge un nutrito gruppo di artisti e architetti tra i quali il Peruzzi, Giulio Romano, Sangallo, Lorenzetto, Sebastiano del Piombo e altri ancora.134 Al contrario, le grandi famiglie romane, a parte gli Orsini, i Massimi e gli Stati, sembrano non essere interessate o forse vengono volontariamente estromesse da questa operazione immobiliare135, i cui principali attori sono, non a caso, famiglie di origine toscana o comunque non romana.

20Tra questi, un personaggio che appare molto attivo nell’urbanizzazione del Tridente, è il celebre umanista Angelo Colocci, originario di Jesi, e che, a partire dal 1494, riprende la tradizione dell’Accademia Romana fondata da Pomponio Leto oltre a rivestire anche la carica di segretario Apostolico sotto Leone X.136 Proprietario di numerose case e terreni, tra cui i celebri Horti Colocciani all’Acqua Vergine, egli sembra interessarsi particolarmente all’area del Tridente, dove appare enfiteuta sia di Giacomo Ceccarini sia degli Agostiniani, così come il vescovo di Aquino, il volterrano Mario Maffei137 enfiteuta anche esso di S. Agostino nel 1519. Maffei e Colocci fanno parte dello stesso ambiente umanista a cui appartengono personaggi come il Bembo, Tommaso “Fedra” Inghirami, il Sadoleto ma anche Andrea Fulvio138, ed ai quali è legato lo stesso Raffaello. È noto infatti che Angelo Colocci collabora con Raffaello alla traduzione di Vitruvio139, mentre Mario Maffei è l’“agente” di Giulio de’ Medici nel cantiere di Villa Madama.140 Si tratta quindi di eruditi, esponenti della cultura di un’epoca che loro stessi definiranno “Età dell’oro”141, ma che non disdegnano di realizzare investimenti immobiliari di una certa portata.142 La presenza di questa particolare tipologia di enfiteuti, nell’area della vigna del Trullo non può essere casuale, tenendo presente che si tratta dell’ultimo atto dell’apertura della via Leonina, e quindi la loro partecipazione assume anche i contorni in certi casi di speculazione. La presenza di Matteo Bonfini nell’altro versante del Tridente, segretario di Raffaele Sansoni Riario, all’epoca Camerlengo di Santa Romana Chiesa, ruolo che lo vede direttamente coinvolto, almeno sino al 1517, nell’operazione urbanistica del Tridente143 e quindi direttamente a conoscenza dei progetti urbanistici papali, non fa che confermare questa ipotesi.

L’influenza di modelli fiorentini e lombardi nella progettazione di tre piazze del Tridente

21Nel progetto del Tridente vi sono anche degli elementi che non appartengono a una tradizione romana, ma piuttosto fiorentina, come l’uso di bidenti e tridenti, dal momento che il primo bidente “moderno” appare a Firenze alla fine del XIV secolo con l’apertura di via Nova144, ma anche derivanti dallo studio della città militare di Francesco di Giorgio Martini o da quello della Città radiale di Antonio da Sangallo. Lo stesso può dirsi per alcuni episodi “minori” come il Borghetto dei Pidocchi, e le piazze dell’Oca, Monte d’Oro e Otto Cantoni.145 Se il Borghetto dei Pidocchi presenta uno schema più “debole” e meno definito da un punto di vista progettuale, forse dovuto anche all’orografia del luogo, le tre piazze hanno invece un disegno perfettamente riconoscibile. Diverse per funzione e per conformazione del tessuto edilizio, hanno però in comune il fatto di seguire dei modelli progettuali che non sono romani ma che si rifanno a delle tradizioni urbanistiche “esterne”. Per piazza Monte d’Oro, il modello è evidentemente quello delle Terrenuove fiorentine o comunque di modi progettuali toscani, caratterizzati da un disegno geometrico molto rigoroso, e al quale non è estraneo l’intervento di Baldassare Peruzzi. Il modello per piazza Otto Cantoni (fig. 8) va anche esso ricercato fuori da Roma, in ambito toscano146, anche se in realtà vi sono molte similitudini con dei centri dell’Italia settentrionale, come ad esempio Borgomanero.147 Questo riferimento non dovrebbe stupire tenendo presente la grande percentuale di abitanti del Tridente provenienti da quelle regioni e soprattutto la vicinanza con la chiesa di S. Ambrogio, che coagula intorno a sè una vera e propria comunità lombarda. La confraternita di S. Ambrogio aveva inoltre comperato alcuni terreni da Giacomo Orsini148, posti accanto al Mausoleo, il cui centro era appunto piazza degli Otto Cantoni. Infine per quanto riguarda piazza dell’Oca, oltre al rapporto visivo con l’edificio di testata verso piazza del Popolo, la forma è molto simile a delle soluzioni messe in atto da Antonio da Sangallo nell’area intorno a piazza Nicosia149, a conferma ancora una volta del suo ruolo nella progettazione del Tridente.

Fig. 8. Particolare della pianta di Roma di Antonio Tempesta (1693) con piazza degli Otto Cantoni.

Raffaello, Leone X e la ricostruzione della Pianta di Roma antica

22Le particolari soluzioni urbanistiche e la precisa definizione del disegno del Tridente dalla grande alla piccola scala, non possono che far pensare ad un progetto urbanistico e architettonico ben definito, da ascrivere a Raffaello e Antonio da Sangallo, anche se completato ben dopo la morte del Sanzio. A questo riguardo è fondamentale la lettura della Lettera a Leone X150, dove Raffaello enumera una serie di temi che in qualche modo possono essere ricondotti al progetto del Tridente, tra i quali il biasimo per la distruzione dei monumenti antichi e il suo interesse per la topografia antica, punto di partenza per quella formidabile operazione di ricostruzione della Pianta di Roma Antica, il cui promotore era stato lo stesso Leone X, e che in qualche modo si ritrova nella regolarità dei lotti e della viabilità all’interno del disegno del Tridente. Tutto ciò si inscrive perfettamente nell’ideologia politica del papa Medici, dove anche l’urbanistica deve aderire a questo concetto di romanitas, e dove i monumenti dell’antica Roma devono essere inseriti in un contesto “moderno” e dove ognuna di queste due istanze serve in qualche modo a rafforzare l’altra. La valorizzazione di monumenti antichi esistenti concorre a identificare l’azione di Leone X con quella degli antichi imperatori romani, e il ruolo di Raffaello sembra essere quello di scegliere quelli più adatti a questa idea di renovatio, così come avviene con la sistemazione dell’obelisco al centro di piazza del Popolo o la conservazione della Meta del Trullo.

Dal Tridente al “tridente rovesciato”: ridisegnare la città per creare una nuova Roma oltre la Roma antica

23Dopo i due pontificati medicei, il lascito del Tridente per l’evoluzione urbanistica di Roma sarà fondamentale, sia dal punto formale, sia nello stabilire le nuove linee di espansione della città verso le parti disabitate e collinari della città. L’opera di Paolo III (1534-1549) Farnese sarà anche quella di completare il Tridente, continuando l’apertura del rettifilo di via del Babuino che doveva arrivare sino a S. Andrea delle Fratte, e quella delle vie trasversali che dovevano collegare via Lata con l’area sotto il Pincio, come ad esempio via della Croce. L’apertura nel 1547 della via Trinitatis, base ideale del triangolo sul quale era impostato il Tridente, che univa piazza Nicosia a piazza di Spagna, e il cui fondale doveva essere la facciata della chiesa di Trinità dei Monti, è un’altra operazione di grande importanza, dal momento che “saldava” ancora di più il Tridente alla città medievale e quattrocentesca151. La continuità con l’opera dei pontificati precedenti è anche evidente nella scelta di affidare molti interventi ad Antonio da Sangallo, coadiuvato da Latino Giovenale Manetti, Commissario alle Antichità durante tutto il pontificato di Paolo III.152
I lavori eseguiti per la via Triumphalis, in occasione dell’arrivo di Carlo V a Roma nel 1536, sono fondamentali per capire come vi sia una continuità tra il pontificato di Leone X e quello di Paolo III, in particolare nella volontà di esaltare i monumenti dell’Antico, presenti lungo un impressionante itinerario archeologico, che se da una parte vuole celebrare l’augusto ospite, dall’altra è una vera e propria autocelebrazione del papa Farnese e del papato.153 Malgrado la distruzione di numerosi edifici, la sistemazione di questo percorso, che viene rettificato, ampliato e pavimentato, rappresenta la premessa per tutta una serie di interventi urbanistici realizzati durante il pontificato di Paolo III, e dove forse per la prima volta un “trionfo moderno” si sovrappone alla città antica.154

24L’uso di bivi e tridenti verrà ripreso sistematicamente nell’ultimo grande intervento urbanistico del Cinquecento, ovvero il piano di Sisto V, come ad esempio la prevista creazione di un tridente “rovesciato”, costituito da tre strade che partivano da piazza San Giovanni in Laterano, e la cui via centrale, passante per il Quirinale, doveva ricollegarsi a via del Babuino e quindi a piazza del Popolo.155 Infine gli obelischi diventano tra gli elementi portanti del piano di Sisto V156, e sarà proprio questo pontefice che ponendo un obelisco157 al centro di piazza del Popolo, darà forma compiuta al grandioso progetto di Raffaello e Antonio da Sangallo.

Bibliographie

Archivi e biblioteche

BAV = Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano.

GDSU = Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Gallerie degli Uffizi, Firenze.

ASC = Archivio Storico Capitolino, Roma:

– A.U.: Archivio Urbano.

ASR = Archivio di Stato di Roma:

– ASA: Agostiniani di Sant’Agostino
– ASMP: Agostiniani di Santa Maria del Popolo
– CNC: Collegio dei Notai Capitolini
– CSA: Confraternita della Santissima Annunziata
– NAC: Notai del Tribunal dell’Auditor Camera
– OSGI: Ospedale di San Giacomo degli Incurabili.

PEFR = Archives des Pieux Établissements de France à Rome, Roma.

Bibliografia primaria

Inscriptiones Italiae et Siciliae 1890 = Inscriptiones Italiae et Siciliae, Berlino, apud Georgium Reimerum, 1890.

Marliani 1544 = Urbis Romae Topographiae B. Marliani, Roma, in aedibus Valerij Dorici, & Aloisij fratris, Academiae Romanae impressorum, 1544.

Opera di Andrea Fulvio 1545 = Opera di Andrea Fulvio delle Antichità della città di Roma, et delli edifitij memorabili di quella, Venezia, con il privilegio del sommo Pontefice Paulo III et del Illustriss. Senato Veneto, 1543.

Bibliografia secondaria

Bentivoglio 1984 = E. Bentivoglio, Raffaello e i Chigi nella chiesa agostiniana di Santa Maria del Popolo, Roma, 1984.

Bentivoglio – Valtieri 1976 = E. Bentivoglio, S. Valtieri, Santa Maria del Popolo a Roma, Roma, 1976.

Bilancia – Polito 1973 = F. Bilancia, S. Polito, via Ripetta, in Controspazio, 1973, V, p. 18-47.

Bortolozzi 2015 = A. Bortolozzi, Santi Ambrogio e Carlo al Corso: una chiesa lombarda per un santo lombardo a Roma, in A. Koller, S. Kubersky-Piedole (a cura di), Identità e rappresentazione. Le chiese nazionali a Roma, 1450-1650, Roma, 2015, p. 407-428.

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Notes de bas de page

1Opera di Andrea Fulvio 1545, libro V, p. 201.

2Sul Tridente romano, Bilancia – Polito 1973; Günther 1985; Zanchettin 2005a. Si veda anche Guidoni – Marino 1982, p. 205-208; Tafuri 1984a; Lepri 2017.

3Per l’aspetto dell’inedificato a Roma tra XV e XVI secolo, Esposito 2004.

4Per l’urbanistica di Roma nel ’400, Giovannoni 1958, p. 347-372; Magnuson 1958; Guidoni 1990; Guidoni 1992.

5Magnuson 1958, p. 55-97; Westfall 1974.

6Vaquero Piñeiro 2000.

7Giovannoni 1958, p. 359.

8Guidoni 1990, p. 125.

9Guidoni 1992, p. 223-228; Günther 1994, p. 546.

10Guidoni – Petrucci 1997.

11Simoncini 2008, p. 21-22.

12Su via Giulia, Salerno – Spezzaferro – Tafuri 1973; Spezzaferro 1981.

13Spezzaferro 1981, p. 91.

14Su via della Lungara, Caperna 2013.

15Spezzaferro 1981, p. 93.

16Salerno – Spezzaferro – Tafuri 1973, p. 67.

17Il percorso e i suoi differenti tratti sono analizzati in Zanchettin 2005a, p. 235-236.

18Cerasoli 1895, p. 306.

19Proia – Romano 1939, p. 15; Tafuri 1984a, p. 82; Zanchettin 2005a, p. 225.

20Bortolozzi 2015, p. 407.

21Gli atti di cessione dei terreni sono in Zanchettin 2005a, p. 272-275.

22Per lo strumento dell’enfiteusi, Hubert 1990; Vaquero Piñeiro 2007, p. 352.

23Una canna architettonica romana equivaleva a circa 2,234218 m.

24Mercati 1921, p. 125.

25Fois 2003, p. 96.

26ASR, OSGI, b. 1504.

27Il Motu Proprio è pubblicato e discusso in Mercati 1921, p. 122-123 e Günther 1985, p. 284-285; cf. anche Verdi 2014, p. 380 e Zanchettin 2005a, p. 246.

28Mercati 1921, p. 124-125; D’Onofrio 1976, p. 200-203; Günther 1985, p. 285.

29ASR, NAC, b. 424.

30ASR, OSGI, b. 1504.

31Ibid.

32ASR, NAC, b. 424.

33Rodocanachi 1912, p. 201.

34ASR, CNC, b. 1911, c. 166rv.

35ASR, NAC, b. 4507, c. 132r-133r. Il terreno venduto a Giovanni Patrizi aveva un’estensione di circa 1100 canne.

36ASR, NAC, b. 4508, c. 464rv. Quest’ultimo passaggio di proprietà sembra però essere l’ufficializzazione di una vendita già fatta, dal momento che Giovanni Patrizi appartiene all’entourage più stretto di Agostino, per il quale agisce spesso come procuratore, cf. BAV, Chig. R.V.e, pt. 2; Bilancia – Polito, p. 46, nota 19.

37Il 23 febbraio 1520, i figli di Agostino Chigi avevano acquistato una casa, nei pressi di San Giacomo in territorio illorum de Ursinis, e confinante davanti con la via Leonina ASR, NAC, b. 4508, c. 172rv.

38Bentivoglio – Valtieri 1976, p. 106. La cessione avviene in cambio di 200 ducati annui che Agostino aveva lasciato in dote per la sua cappella in Santa Maria del Popolo (Cugnoni 1881, p. 198). La porzione di questo terreno verso il Tevere verrà poi inglobata nel porto della legna.

39ASR, ASA, b. 16.

40All’epoca, la vigna apparteneva a Giovanni Giordano de Buccabellis. Sui Boccabella e sui loro possedimenti, Inscriptiones Italiae et Siciliae 1890, p. 398.

41ASC, A.U., sez. 1, 58, c. 29v-30v. Tra le condizioni dell’enfiteusi vi è quella di costruire entro un anno, con un canone di 1 giulio per canna, prezzo che però sembra essere elevato tanto che alcuni dei primi affittuari restituiscono i terreni nel giro di un anno. Nel maggio del 1517 Mario Boccabella si vede così obbligato a ridurre il canone da un giulio ad un carlino e a prorogare i termini per l’edificazione.

42ASC, A.U., sez. 1, 58, c. 79v-80v.

43ASC, A.U., sez. 1, 58, c. 76r-77v.

44Vedi il caso di “Lucrezia Sgarettona” (ASC, A.U., sez. 1, 58, c. 14r-15v). In questa seconda fase appaiono i nomi di personaggi come Luca Pietro Bellapani plumbi collectori e Pietro di Angelo Leno.

45via del Vantaggio verrà completata nel tratto verso via Lata solo nel 1547, quando l’ospedale deciderà di lottizzare i terreni della c.d. “Vignola” (Bilancia – Polito 1973, p. 43).

46Visconti – Vespignani 1877, p. 188-189. Il monumento era stato in parte spogliato all’epoca di Sisto IV per realizzare i torrioni di porta Flaminia.

47ASR, NAC, b. 4506, c. 282r-283v. Niccolò Gaddi, insieme a Cristoforo Barozzi e ai due magistri viarum Capodiferro e della Valle aveva già ricevuto dal papa 225 canne a ringraziamento del loro lavoro, cosi come detto in un Motu Proprio (Günther 1985, p. 284). A carico del Gaddi era anche il pagamento di 150 ducati, ovvero parte dei 300 ducati che il convento doveva pagare ai Magistri Viarum per la selciatura della nuova strada.

48ASR, NAC, b. 4506, c. 292rv, 297r-299v.

49ASR, NAC, b. 4506, c. 298r.

50ASR, CNC, b. 62, c. 407rv.

51O’Malley 1968.

52L’edificio doveva essere costruito su di un lotto di 131 canne che i procuratori del Gaddi avevano dato in enfiteusi a Niccolò de Nigris, scrittore apostolico: et in angulo platee et vie Leonine facere angulum ex lapidibus tiburtinis usque ad primum solarem ad effectum ut possit in dicto angulo apponi et murari arma s.d.n.pp., Günther 1985, p. 285. Per piazza dell'Oca, cf. Lepri 2022, p. 72-79.

53Tafuri 1984a, p. 104-105, nota 112.

54Zanchettin 2005a, p. 223.

55Una controversia riguardo la proprietà della vigna del Trullo esisteva già alla fine del XV secolo, tanto che nel 1486, frate Anselmo di Montefalcone viene chiamato a giudicare su alcune questioni patrimoniali riguardanti i due conventi, tra cui il canone che Sant’Agostino doveva a Santa Maria del Popolo per la vigna, canone che i frati avevano cercato di estinguere cedendo a Santa Maria del Popolo sei case al Pozzo Bianco, soluzione non accettata però dal frati di S. Maria del Popolo (ASR, ASA, b. 16).

56Martin 1982, p. 5-6.

57Tra coloro che influenzeranno di più Egidio da Viterbo, vi è anche Marsilio Ficino: O’Malley 1968, p. 8; Martin 1982, p. 6.

58Tafuri 1984a, p. 62.

59Vismara 1982, p. 11.

60Tafuri 1984a, p. 62.

61O’Reilly 1972, p. 93.

62Vismara 1982, p. 13.

63Ernst – Foà 1993.

64Rowland 1986, p. 685. È stato anche ipotizzato un ruolo di Egidio nella composizione di alcuni elementi della cappella Chigi, in particolare nella scelta delle piramidi poste sopra alle sepolture gemelle di Agostino e Sigismondo Chigi.

65Per la Lettera a Leone X di Raffaello e Baldassarre Castiglione, cf. gli studi di F. Di Teodoro, in particolare Di Teodoro 2020, con tutta la bibliografia precedente.

66Golzio 1936, p. 83; Di Teodoro 2020, p. 44.

67Sulla Meta durante il Medioevo, Lepri 2004, p. 19-20.

68Valentini – Zucchetti 1946, vol. III, p. 45, 86, 431.

69Rodocanachi 1914, p. 29-38.

70Giovannoni 1958, p. 389-390.

71Weiss 1979, p. 113-114.

72Guidoni 1990, p. 121

73Cantatore 2014, p. 321.

74Guidoni 1990, p. 127.

75Di Teodoro 2020, p. 27.

76Lanciani 1902, p. 287.

77Il Marliani però già confutava questa ipotesi (Marliani 1544, p. 98).

78Carandini 2019, p. 411-412.

79Per la localizzazione dei due sepolcri, FUR, tav. 1.

80Günther 1994, p. 548.

81Di Teodoro 2020, p. 26. Per la conservazione della Meta del Trullo per opera di Raffaello, D’Onofrio 1976, p. 204.

82Günther 1994, p. 548.

83Carandini 2012, vol. I, p. 507.

84Valentini – Zucchetti 1946, vol. III, p. 47 e 118.

85Nell’XI secolo viene ricordata la chiesa di Santa Marina de Posterula posta “prope montem Augustum” (Cecchelli 1958, p. 314).

86Rodocanachi 1914, p. 98.

87Riccomini 1996, p. 24.

88Viscogliosi 2005, p. 72.

89Rodocanachi 1914, p. 99.

90Ibid., p. 99-100.

91Riccomini 1996, p. 25.

92Zanchettin 2005b, p. 146-147.

93GDSU 393 Ar (Riccomini 1996, p. 36).

94Tafuri 1984b, p. 229.

95Nesselrath 2020, p. 82.

96D’Onofrio 1976, p. 206-208. Si tratta dei disegni U1048A, U1172A, U1173A, U1232A.

97D’Onofrio 1976, p. 205-212.

98ASR, ASMP, f. 3, documento 13 giugno 1514.

99Id., f. 4.

100Sulla vigna di Giacomo Ceccarini, Di Castro 2006, p. 29-36; Lepri 2018, p. 159-162.

101Una pezza romana corrispondeva a circa 2640,63 mq.

102ASR, CNC, b. 61, c. 41r.

103ASR, CNC, b. 59, c. 348v. Domenico de’ Massimi, già proprietario di una vigna confi­nante, acquista 3 pezze di terreno.

104ASR, CSA, b. 25, fasc. 15. Nel 1513 Ceccarini cede 172 canne al Colocci.

105ASR, CSA, b. 25, fasc. 15.

106Circa 5 bolendini per canna.

107ASR, CNC, b. 62, c. 86rv.

108ASR, CNC, b. 63, c. 349r.

109In corrispondenza dell’attuale via Laurina, che all’epoca si chiamava via Peregrinorum (D’Onofrio 1976, p. 185).

110ASR, CNC, b. 74, c. 210v.

111Bilancia – Polito 1973, p. 40.

112Tafuri 1984a, p. 104; Günther 1985, p. 249-251.

113Mercati 1921, p. 125; D’Onofrio 1976, p. 204; Simoncini 2008, vol. I, p. 92. La lapide recava la seguente scritta: LEO X ET CLEMENS VII MEDICES, FRATR. PATRUEL. PONTT. MAXX., FLAMINIAM INTRA URBEM TRIFARIAM, DIVISAM ADHIBITIS VICOR. MAGISTRIS, DIREXERUNT SECTIONES DE SUO NOMINE, LEONIANAM CLEMENTIASQUE, APPELLARI IUXERUNT, ANNO IUBILEI.

114ASR, OSGI, b. 1502/1. La lottizzazione della Vigna Massimo, che avviene solo nella seconda metà del XVI secolo, era stata un impedimento all’apertura della strada, Lepri 2023, p. 232-233.

115Bilancia – Polito 1973, p. 4.

116In alcuni documenti via del Babuino, ancora alla fine del XVI secolo, viene chiamata Strada dei Greci, a seguito della fondazione del Collegio dei Greci, per volere di Gregorio XIII nel 1577 e la costruzione della chiesa di S. Atanasio (ASR, CSA, Catasto delle Case, b. 92).

117Per il giardino del cardinale Orsini, Lepri 2020.

118Per Piazza Monte d’Oro, Lepri 2022, p. 79-84.

119Frommel 2008, p. 74.

120ASR, NAC, b. 409, c. 673-674.

121ASR, CNC, b. 67, c. 680r-684v. Il palazzo è ancora esistente e posto tra via Ripetta e via dell’Arancio.

122BAV, Chig. RV.e. fasc. III, c. 191; Bilancia – Polito 1973, p. 33.

123Cugnoni 1883, dove sono pubblicati una parte degli atti relativi alla lottizzazione Chigi.

124Bilancia – Polito 1973, p. 29, fig. 19; Zanchettin 2005b, p. 520; Lepri 2022, p. 79-83.

125Zanchettin 2005b, p. 126-128.

126Bentivoglio 1984, p. 86.

127ASR, CNC, b. 72, c. 166v-167r.

128PEFR, Fonds Anciens, Liasse 238 A.

129ASR, CNC, b. 80, c. 249r-250v: Palatius cum turrij in d.to eor terreno seu viridario qd et que pp. Inondatione tiberis in anno presente […] fuerint ac fundamentos debilitati et murus ruinas.

130Bentivoglio 1984, p. 87.

131Lepri 2023, p. 227.

132Tra questi vi è anche la Bolla Inter curas multiplices del 2 novembre 1516, che favoriva l’edificazione in zone inabitate (Verdi 2014, p. 380).

133Per la figura dei due Magistri Viarum, Verdi 2014, p. 380.

134Cavazzini 2018, p. 41-43.

135Verdi 2014, p. 386.

136Su Angelo Colocci, Ubaldini 1969; Fanelli 1979; Fanelli 1982; Rowland 2004.

137Su Mario Maffei, Paschini 1953; Spotti 2004.

138Sull’ambiente intellettuale durante il pontificato di Leone X ed i rapporti tra i diversi personaggi, Rowland 1998.

139Rowland 1994, p. 88.

140Reiss 2001, p. 284-285.

141Tafuri 1984a, p. 78.

142Verdi 2014, p. 384.

143Nel 1517, a seguito della congiura dei cardinali, ordita dal cardinale Petrucci, il cardinale Riario viene in parte estromesso (Zanchettin 2005a, p. 246).

144Guidoni 2002.

145Lepri 2022.

146Vedi ad esempio la piazza centrale di Castelfranco di Sopra (Ricci 2003).

147Guidoni 1970, p. 131.

148Romano 1939, p. 49-51; Vaquero Piñeiro 2007, p. 358-359.

149Frommel 2002, p. 275.

150Di Teodoro 2020.

151Lepri 2023, p. 226-230.

152Guidoni 1981, p. 238.

153Sull’ingresso di Carlo V nel 1536, Lanciani 1903, p. 63-70; Guidoni – Marino 1982, p. 273-277; Fancelli 1985, p. 375-377; Simoncini 2008, p. 99-102.

154Guidoni – Marino 1982, p. 274.

155Simoncini 2008, vol. I, p. 335.

156Guidoni – Marino 1982, p. 628-629; Simoncini 2008, vol. I, p. 325-326.

157Si tratta dell’obelisco ritrovato nel Circo Massimo (Guidoni 1990, p. 143-151).

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