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La politica edilizia dei papi “carolingi”
Lo spazio cittadino tra continuità e rifunzionalizzazione da Adriano I (772-795) a Leone IV (847-855)
p. 55-76
Résumés
Il confronto tra i dati forniti dal Liber Pontificalis sull’attività edilizia dei pontefici di VIII – IX secolo e quanto evidenziato dalle analisi archeologiche che hanno interessato la città negli ultimi decenni, consente di chiarire la reale consistenza di alcuni degli interventi papali menzionati nel Liber Pontificalis. Su questa base è possibile mettere in luce le logiche politiche, ideologiche e propagandistiche che motivarono l’eccezionalità degli interventi di restauro effettuati dai papi di questo periodo. A tal fine si analizzano in dettaglio due casi per molti aspetti esemplari: il pontificato di Adriano I e quello di Sergio II.
A comparison between information provided by the Liber Pontificalis on the building activity of 8th-9th c. popes and the results of archaeological research carried out in Rome in the last decades shows the true extent of some of the construction and restauration works mentioned in the Liber. It is thus possible to clarify the political, ideological and propagandistic reasons behind the exceptional amount of building works carried out by these popes. In order to achieve this result, we analyze two exemplary cases: the pontificates of Adrian I and Sergius II.
Entrées d’index
Keywords : Rome, Liber Pontificalis, Early Middle Age
Parole chiave : Roma, Liber Pontificalis, Altomedioevo
Texte intégral
Premessa
1Tra la metà del secolo VIII e quella del IX, a seguito degli importanti mutamenti politico-istituzionali (passaggio dal controllo bizantino al “protettorato” carolingio), i pontefici si trovarono per quasi un secolo ad avere un controllo pressoché assoluto della città di Roma.1
2La conquista di una nuova autonomia politica all’interno dell’Urbe, e più in generale del Patrimonium Sancti Petri, mise i pontefici nelle condizioni di intraprendere un’intensa attività di riorganizzazione e risemantizzazione dello spazio cittadino. L’acquisizione di queste nuove prerogative da parte del papato non avvenne in un contesto politico-sociale neutro. Se infatti l’episcopato veniva riconosciuto come il vertice della società cittadina, quest’ultima era stata interessata dalla metà del secolo VIII da un rinnovato dinamismo. La rinascita di un’élite urbana, di origine militare e che significativamente utilizzò il titolo dell’antico senato, aveva infatti favorito e supportato il papato nel processo di autonomizzazione di Roma dall’autorità bizantina.2 Sebbene questa nuova aristocrazia avesse legato la sua ascesa allo svolgimento di funzioni pubbliche al tempo del governo greco, con l’assunzione da parte del papato del controllo amministrativo della città essa si trovò in qualche modo soggetta al governo papale. I membri dell’élite urbana laica infatti dovettero stringere una relazione più stretta con il papato e con gli ambienti lateranensi per guadagnare o mantenere il proprio status sociale.3 Ciò comportò l’insorgere di due fenomeni: da un lato, l’ingresso numeroso di membri dell’élite urbana nelle file del clero e nell’amministrazione ecclesiastica; dall’altro, il desiderio da parte di questa stessa élite di esercitare un qualche controllo sul papato. Malgrado non siano mancati momenti di tensione tra le diverse parti coinvolte, il processo di osmosi (clericalizzazione dell’élite laica e laicizzazione di quella ecclesiastica) ebbe tra i suoi esiti principali il passaggio di alcuni eminenti personaggi dell’amministrazione civile romana in quella ecclesiastica (come nel caso celebre del Teodoro consul et dux, divenuto primicerius notariorum della chiesa romana) e, soprattutto, l’ascesa al soglio petrino di una serie di pontefici di origine aristocratica. Appartengono alla nobilitas urbana, per il secolo VIII, i due fratelli Stefano II e Paolo I, ma, soprattutto Adriano I. Mentre per il IX, sono nobili Valentino e, soprattutto, Stefano IV, Sergio II e Adriano II, tutti appartenente alla medesima schiatta. È importante segnalare infatti che per il periodo in questione, anche di fronte a scontri aperti tra le diverse componenti sociali, nessuna delle parti in gioco sembra aver mai sviluppato progetti di governo della città di Roma alternativo a quello papale.4 Se è vero che l’aristocrazia cittadina ha rivendicato in alcuni casi il proprio ruolo nella gestione della città e la propria compartecipazione al potere detenuto dai pontefici, lo è anche il fatto che essa non ha mai messo in discussione la leadership del vescovo cittadino. A tal proposito, proprio la capacità di intervento edilizio dei pontefici sullo spazio urbano cittadino è un indicatore di un loro esercizio di un potere sovrano di controllo del territorio. Per raggiungere lo scopo prefisso dunque, abbiamo optato per un’analisi dell’idea che i pontefici hanno della città di Roma procedendo allo studio degli interventi di restauro da essi realizzati e riportati nel Liber Pontificalis romano, cercando, ove possibile, di confrontarli con i dati provenienti dall’archeologia.
3Nella raccolta e studio di questi interventi si è proceduto per una scansione cronologica organizzata per pontificati. Questa articolazione della ricerca ci è sembrata corrispondere meglio al modo in cui gli autori del Liber rappresentarono le vicende. Se infatti le singole biografie del periodo raccolgono gli interventi edilizi e la munificenza papale cronologicamente, secondo una scansione per indizioni, come ha messo bene in luce ormai quarant’anni fa Herman Geertman, e progredendo per ordine d’importanza dei destinatari degli interventi, dal più significativo a quello di minore rilevanza, essi sono comunque circoscritti e scansionati per pontificato.5
4Non potendo in questa sede analizzare nello specifico tutti i pontefici compresi nell’arco cronologico prescelto, ci limiteremo ad analizzare nello specifico due casi per molti aspetti esemplari, il pontificato di Adriano I (772-795) e quello di Sergio II (844-847), offrendo comunque una sintesi degli interventi condotti in città dai pontificati intermedi e successivi. Il primo, per molti aspetti, rappresenta un momento di consolidamento della capacità di azione dei pontefici nello spazio cittadino, per via della posizione di forza sia extra urbem (dovuta innanzitutto alla tenuta dell’alleanza franco-papale), sia all’interno della città, con la perfetta sintonia tra le diverse componenti sociali urbane sotto la guida del papa.6 Il secondo, invece, segna in qualche modo un nuovo momento di crisi dell’autorità papale all’interno della città di Roma, dovuta anche ad una debolezza personale del pontefice, con una diminuzione dei suoi margini di azione.7
Brevi considerazioni preliminari sulle fonti
5Per l’epoca in questione, il riferimento principale per la conoscenza dell’attività edilizia dei pontefici è rappresentato dal Liber Pontificalis. Va sotto questo titolo, sin dall’edizione curata sul finire del secolo XIX da Louis Duchesne, la serie di biografie dei vescovi di Roma la cui redazione è stata intrapresa all’inizio del secolo VI, nel contesto turbolento dello scisma tra papa Simmaco e Lorenzo (498-514), e che è stata poi proseguita, non senza interruzioni e sovrapposizione di fasi redazionali, sino al secolo IX, trattando nel complesso i pontificati compresi tra Pietro e, con qualche defezione, Stefano V (885-891).8 La sua composizione nel primo trentennio del secolo VI era motivata da ragioni contingenti, con chiari intenti pubblicistici e probabilmente senza una dimensione di ufficialità.9 Sin da subito però quest’opera si era accreditata come uno degli strumenti principali con cui la Chiesa romana, intesa nella sua complessa articolazione tra vertice episcopale e clero urbano, comunicava se stessa e la propria storia ad un pubblico che andava dal clero locale, a quello italico e, più in generale, di lingua latina.
6La predilezione per l’uso di questo scritto è dovuta principalmente alla sua versatilità ed adattabilità. Le singole biografie, inserite all’interno di una serie episcopale, sono caratterizzate da una struttura pressoché similare composta da informazioni di natura biografica, e relative all’attività normativa ed evergetica dei singoli pontefici, alle ordinazioni ecclesiastiche da essi effettuate e alla durata della vacanza della sede. L’impianto delle singole notizie è pressoché fisso nel tempo ed è in sostanza la caratteristica peculiare del Liber, che lo differenzia nettamente da testi similari. A variare, a seconda dei periodi e delle esigenze, è il peso delle singole rubriche. Senza che questo leda nel complesso l’unità e l’omogeneità formale delle diverse biografie. Sebbene gli autori delle singole biografie non siano personalmente identificabili, la redazione delle biografie può essere localizzata all’interno degli ambienti lateranensi (archivio/cancelleria e vestiario, cioè l’economato dell’episcopio).10
7Le vite dei pontefici contenute in questo testo registrano, spesso con dovizia di particolari, la loro attività evergetica. Gli studi recenti però hanno sottolineato come questa rappresentazione in alcuni casi sia stata influenzata da una dimensione ideologica, dettata dalla situazione contingente che il papato e la Chiesa di Roma si trovavano ad affrontare, sia in un’ottica interna, nel difficile rapporto con le aristocrazie cittadine, sia all’esterno di essa, in particolare con Bisanzio e i Longobardi prima, e i Franchi poi.11
8Lo sviluppo anche a Roma, in questi ultimi decenni, di una archeologia stratigrafica rivolta anche alle fasi postantiche, così come il progresso nella conoscenza delle tecniche edilizie medievali, consentono oggi di affrontare il tema proposto sulla base di sistemi di fonti differenziati; inoltre, il confronto tra le informazioni forniteci dal Liber e i dati provenienti dalla ricerca archeologica apre nuove possibilità di lettura di questa importante fase.12 L’interazione tra questi dati di natura diversa può infatti chiarire la reale consistenza degli interventi papali (comprendere cioè cosa la fonte storica intenda realmente quando usa espressioni relative al restauro e alle nuove edificazioni), e soprattutto mettere in luce le logiche socio-politiche che motivarono l’eccezionalità degli interventi di restauro effettuati dai pontefici. Sottolineare cioè, da un lato, l’immagine ideologica e propagandistica che di questa attività ci fornisce il Liber e, dall’altro, far emergere soprattutto l’idea della città che i pontefici ebbero in questa fase. Tenendo comunque presente che entrambe le operazioni, cioè l’agire sullo spazio pubblico cittadino attraverso alcune campagne edilizie mirate, così come la loro narrazione, sono processi affatto neutri. Entrambi infatti contribuiscono a delineare l’autorità, realmente esercitata o rivendicata, dei pontefici sull’Urbe. Va anche sottolineato che il dato archeologico può offrirci solo in rarissimi casi un’attribuzione certa a un qualche pontefice, mentre è capace di presentarci gli interventi collocandoli nell’ambito di un arco cronologico più ampio. Le tecniche costruttive infatti, che in assenza di dati stratigrafici sono il principale elemento per datare un intervento, offrono, per questa fase, una periodizzazione che va dalla metà dell’VIII secolo alla metà del IX.13
Una nuova era per Roma: il pontificato di Adriano I
9Adriano I è un pontefice che il testo romano ci presenta come figlio della nobilitas cittadina, culturalmente istruito presso la casa del potente zio Teodoto, e che aveva poi percorso la carriera all’interno del clero cittadino come diacono prima di essere eletto vescovo.14
10Nelle brevi notizie che aprono la biografia, che hanno il compito di sottolineare il valore del neo eletto e offrire una lettura dell’intero pontificato,15 egli viene descritto con una serie di attributi che sottolineano chiaramente la sua forza (sottolineata dal viriliter che introduce la rappresentazione) e la sua sollecitudine verso la Chiesa e la respublica. Una dimensione integrata, quindi, tra compiti ecclesiastici e funzioni civili. Questa rappresentazione formulare introduce poi una serie notevole di interventi relativi alla munificenza papale, sia a carattere edilizio sia come donativi per le chiese.
11Nel suo lungo pontificato, infatti, il Liber gli attribuisce un’impressionante serie di interventi di carattere edilizio, volti sia a ristabilire la funzionalità di edifici e strutture in degrado, sia a crearne di nuovi. Il testo infatti ricorda la costruzione o il restauro di 57 chiese, 6 monasteri e 8 edifici assistenziali.16 Soprattutto, lo scritto in questione sottolinea come l’intervento papale non sia esclusivamente rivolto verso edifici a carattere religioso, ma anche nei confronti di quegli elementi che contribuiscono a definire la struttura urbana di Roma.17 Il Liber infatti annota 3 interventi su mura e torri, 4 dedicati agli acquedotti e 3 ai portici e alla viabilità.18
12La prima campagna specificatamente destinata alle mura cittadine, se si esclude la chiusura delle porte e la creazione di nuove “segrete” come risposta alla minaccia longobarda, è databile tra il 774 e il 776.19 Essa si inserisce in una fase politica di relativa calma, e non sembra essere stata motivata da impellenti necessità difensive. In questo caso, il biografo ci informa che le mura e le torri della città di Roma erano dirute e in rovina sin dalle fondamenta, elemento questo che può risultare di una qualche credibilità se consideriamo la fase politicamente turbolenta che aveva preceduto questi interventi e, come vedremo a breve, motivato la loro portata.20 L’opera di restauro effettuata dal pontefice, dunque, deve essere stata di notevole impatto, sia economico (il costo complessivo indicato è di 100 libbre d’oro), sia dal punto di vista dell’impiego di maestranze.21 Con espressioni simili, sebbene non identiche, il biografo riporta anche un altro intervento del pontefice sulle mura cittadine e sulle torri, databile tra il 790 e il 791.22
13Entrambe le notizie ruotano intorno ai concetti di rinnovare e restaurare, come reazione ad uno stato di lunga e completa defunzionalizzazione delle strutture. Ciò che stupisce delle campagne del pontefice è il fatto che esse siano rivolte sia agli aspetti funzionali delle mura, che vengono restaurate, sia alla loro dimensione simbolica, come mostra l’utilizzo del termine decoravit. L’analisi archeologica delle mura permette di identificare effettivamente una serie di interventi che, per tecniche costruttive, sono coerenti con il periodo adrianeo (fig. 1), ma che non ci permettono di trovare un riscontro per l’opera di ornamento/decorazione. Dal punto di vista estetico, infatti, le fasi attribuibili a questo periodo, grazie specialmente agli studi di R. Coates Stephens, non mostrano alcun elemento che possa far pensare ad un’attenzione delle maestranze per questo aspetto.23 L’opera è infatti caratterizzata dalle tipiche tecniche costruttive “carolingie”, caratterizzate dall’uso di blocchi irregolari di reimpiego e dall’opera laterizia con i caratteristici corsi ondulati (fig. 2). È probabile, però, che l’azione di restauro e ornamento sia riferibile non alle sole mura, ma all’intera città, come sembrerebbe indicare la fonte con l’espressione totam urbem in circuitu restaurans renovavit ac decoravit. In questo caso, secondo una modalità espressiva presente in altre fonti coeve – pensiamo in particolar modo al Liber Pontificalis della chiesa ravennate, testo databile tra l’830 e l’84024 –, è l’intervento di restauro dell’intera cinta muraria a rinnovare ed ornare la città. Nella biografia del vescovo Giovanni I (477-494), infatti, la fonte ravennate indica che l’imperatore Valentiniano aveva adornato (decoravit) le strade della città di grandi mura.25 La notizia fornitaci dal Liber romano sarebbe dunque doppiamente importante ai fini del nostro discorso. Essa, da un lato, fa emergere chiaramente l’assunzione da parte del pontefice di prerogative pubbliche nella gestione dello spazio cittadino, dall’altro, sottolinea quanto l’intervento di restauro sul circuito murario fosse un’operazione indispensabile per la rifunzionalizzazione dell’intera città.
Fig. 1. Tratti di mura e acquedotti restaurati nel corso dell’alto medioevo (da Meneghini – Santangeli Valenzani 2004).

Fig. 2. Torre delle Mura Aureliane presso Porta Metronia; sono visibili i rifacimenti altomedievali in blocchi di reimpiego e in laterizio (da Meneghini – Santangeli Valenzani 2004).

14Malgrado ciò, l’interazione del dato archeologico con quelli presenti nel Liber mostra comunque l’ampiezza degli interventi pontifici su questo tipo di struttura. Inoltre è interessante notare che i due interventi sulle mura documentati sono dilazionati durante l’intero arco del pontificato e non sono strettamente motivati da ragioni di carattere difensivo militare, ma, con buona probabilità, dal desiderio di restituire la piena funzionalità a quelle strutture che caratterizzano un centro urbano come civitas. A ciò, occorre aggiungere anche il valore simbolico e ideologico di un intervento papale sulle mura, con il pontefice che intervenendo sulle strutture realizzate in passato dagli imperatori, si poneva evidentemente sullo stesso piano di questi.26
15Questa impressione è confortata dal fatto che il pontefice intervenne anche sugli acquedotti che rifornivano la città. Sono infatti queste due strutture, tra le altre, a rappresentare una città nella sua piena efficienza. Il Liber attribuisce ad Adriano il restauro e, in alcuni casi, la completa riedificazione degli acquedotti Sabbatino, Claudio, Iovio e Vergine.27 Anche in questo caso, gli interventi sono motivati dallo stato di completo degrado della struttura. Se due di essi, il Sabbatino e il Claudio, sono funzionali a rifornire di acqua le due principali basiliche papali, S. Pietro e il Laterano, con le loro strutture assistenziali e di rappresentanza, l’acquedotto Vergine invece assume una più chiara connotazione urbana. Esso era infatti destinato proprio a rifornire la cittadinanza in una delle sue zone maggiormente popolate, quella della via Lata. Anche in questo caso il dato archeologico, malgrado sia meno facilmente leggibile, sembra confermare la notizia offerta dal Liber. Sono infatti ancora visibili interventi databili al secolo VIII, realizzati in laterizio ondulato, per l’acqua Claudia.28 In questo caso, l’intervento avrebbe interessato l’intera struttura all’interno del tessuto urbano, mentre nelle sue propaggini extramurarie, verso via del Mandrione, sarebbe consistito nella costruzione di imponenti contrafforti per sostenere l’alzato delle arcate. Questa dimensione “pubblica” dell’acqua Claudia e dell’intervento papale è sottolineata dal biografo del Liber che, ideologicamente, attribuisce all’intervento papale la capacità di riportare “all’antica” funzionalità l’acquedotto, e far così affluire, nuovamente, un copioso, habundanter, flusso d’acqua verso la città.29 I recenti scavi sotto la Rinascente, nella zona dell’antico Campo Marzio, nell’ampio tratto delle arcate attribuibili all’Aqua Virgo, hanno inoltre messo in luce una fase d’intervento databile al pontificato di papa Adriano,30 confermando così, anche in questo, la coerenza della narrazione del Liber con il dato archeologico.
16A corollario, va anche sottolineato che in queste notizie il Liber pone particolare accento sulla compartecipazione ai lavori sia dei Romani, sia, in alcuni casi, degli abitanti della Tuscia e della Campania. Questo a nostro avviso sottolinea ancora una volta il valore simbolico di questi interventi, che vedono il papa come principale protagonista, ma cui partecipa una buona parte della popolazione cittadina, così come pure quelle comunità, a nord e sud di Roma, ex longobarde le une ed ex bizantine le altre, che erano ormai sottoposte al suo controllo.31
17Gli interventi del pontefice non riguardarono però solo gli edifici dotati di un valore “civico”, ma interessarono la quasi totalità delle strutture religiose della città e del suburbio, sia quelle adibite al culto, sia quelle con una spiccata valenza assistenziale. Il biografo in due casi e in maniera generale, sottolinea sia l’interesse del pontefice pro ornatu et restauratione delle chiese di Dio, sia il fatto che le sue azioni di restauro e piena rifunzionalizzazione fossero rivolte a tutte le strutture ecclesiastiche (chiese, monasteri e diaconie) sia all’interno delle mura cittadine, sia al loro esterno.32
18Anche in questi casi, il biografo pone l’accento sullo stato di abbandono di molte delle strutture, offrendo un quadro a tratti catastrofico della situazione in cui versavano molte delle chiese cittadine. È questo il caso, ad esempio, dei SS. Adriano e Lorenzo, dove la cripta era stata occupata da abitazioni civili,33 o della basilica di S. Paolo, nel cui atrio pascolavano buoi e cavalli.34 In quest’ultimo caso, i recenti scavi archeologici presso la basilica paolina hanno individuato una serie di interventi coerenti per tecniche edilizie al periodo adrianeo, e come sembra dimostrare anche il ritrovamento di un frammento di tegola recante il monogramma proprio di Adriano I.35 Si tratta di restauri sul portico, e di alcune strutture in posizione laterale ad esso, tra cui spicca una piccola torre campanaria, probabilmente attribuibile agli stessi lavori.
19In generale, tutti gli interventi vengono presentati dal biografo come recupero della funzionalità anche delle strutture ecclesiastiche, rinnovate e restaurate poiché vetuste e degradate. In questi casi il pontefice procede con il rifacimento dei tetti e, in molti occasioni, con una parziale o integrale ricostruzione degli edifici.36 Il dato archeologico, però, in alcuni esempi non sembra confermare la descrizione enfatica data dal Liber, come, ad esempio, per il titulus Pudentiis per il quale l’azione del pontefice che la rimise a nuovo perché era finita in rovina37, non sembra trovare alcuna conferma nei più recenti studi sulla chiesa, che spingono di più a pensare a una campagna di manutenzione e di decorazione.38
20In sintesi, dunque, il programma di interventi adrianei sembra aver avuto lo scopo di recuperare integralmente le strutture civiche e religiose della città, sia nella sua dimensione urbana che extraurbana: una massiccia ed ampia campagna di restauri, volta al recupero dell’antico e della città nella sua totalità. Se il dato archeologico conferma in molti casi la mole dell’opera di restauro di Adriano, bisogna però notare che alcuni elementi, quali ad esempio il costante riferimento alla situazione di degrado che aveva motivato alcune ricostruzioni dalle fondamenta, non sembrano invece trovare sempre riscontro. In alcuni casi, infatti, la descrizione offerta dal redattore del Liber in merito agli interventi adrianei può essere facilmente ridimensionata nella sua effettiva portata e ricondotta alla dimensione ideologica che sottende la stesura di tutta la biografia del pontefice, dove, con toni encomiastici, si vuole porre l’accento soprattutto sul nuovo splendore in cui rifulgeva la città dopo l’intervento di Adriano, contrapponendolo allo stato di degrado e di abbandono che la caratterizzava prima del suo pontificato e del suo imponente programma di ripristino degli edifici di culto e civili dell’Urbe.39 Non possiamo, per ovvi motivi, analizzare con la stessa analiticità i pontificati successivi, salvo per indicare una variazione macroscopica rispetto all’ampiezza degli interventi, che non raggiungono mai la portata di quelli di Adriano, e che, soprattutto, sono rivolti in modo quasi esclusivo verso edifici di natura ecclesiastica.
Continuità e discontinuità: sull’attività edilizia dei pontificati della prima metà del secolo IX
21Si è accennato in precedenza che il redattore della biografia del successore di Adriano I, Leone III, avrebbe attribuito a quest’ultimo alcune delle opere edilizie realizzate dal primo, probabilmente in virtù del fatto che Leone aveva ricoperto l’importante ruolo di vestiarius durante il suo pontificato.40
22Sebbene anche la biografia di Leone, una delle più lunghe del Liber, sia in gran parte occupata da interventi di natura edilizia e donazioni agli edifici di culto, ad una valutazione complessiva dell’opera del pontefice sulla base delle notizie fornite dal suo anonimo biografo, si percepisce nettamente una differenza rispetto alla politica del suo predecessore. Gli interventi di Leone, infatti, sono esclusivamente rivolti ad edifici di culto e/o a strutture di natura assistenziale ad essi annesse.41 Fanno eccezione, come tipologia di strutture ma non come luogo di destinazione, l’edificazione dei Triclinia, vere e proprie sale di rappresentanza, presso il Laterano e S. Pietro.42
23L’idea che Leone ha dello spazio cittadino urbano, o meglio, quella che si evince dalla biografia a lui dedicata dal Liber, sembra dunque essere in discontinuità con quella del suo predecessore.43 Rispetto ad Adriano, infatti, la politica edilizia di Leone è esclusivamente orientata verso il ristabilimento in piena funzionalità degli edifici relativi al culto, mentre nulla lascia trasparire un suo interessamento per una dimensione civica dello spazio urbano. Mancano infatti in Leone tutti quegli interventi a mura e acquedotti che avevano invece caratterizzato l’attività di Adriano. Questa è, quanto meno, l’immagine che del pontefice vuole offrirci il suo biografo. Nello stesso Liber infatti, nella più tarda biografia di Leone IV (847-855), è presente un chiaro riferimento all’opera di edificazione di una civitas presso S. Pietro da parte di Leone III.44 Un’opera che il pontefice aveva intrapreso nella parte finale del suo pontificato ma che aveva suscitato la rabbia dei suoi oppositori che, alla sua morte, avevano divelto le fondamenta delle nuove mura. L’aggiunta di quest’opera edilizia al complesso dell’attività leonina non ne cambia comunque la fisionomia generale, anzi, contribuisce a definirla maggiormente non solo come indirizzata verso i luoghi di culto, ma alimentata da una volontà di agire sullo spazio cittadino separandone fisicamente una porzione (seppur extraurbana) attraverso l’edificazione di una nuova cinta muraria. Un’operazione, come ha sottolineato con acume F. Marazzi, per nulla neutra, volta a sottolineare l’autorità esercitata da un individuo o un’istituzione sullo spazio cittadino.45 Non bisogna poi ignorare i costi che l’avvio di un’opera di tal natura completamente ex novo poteva avere, con un impatto negativo sull’economia cittadina, gravata presumibilmente da nuove imposte. Fa da cornice a tutto ciò, infine, un’ideologia del papato di matrice imperiale, esercitata dal pontefice nello spazio cittadino attraverso il finanziamento di opere di grande impatto, tra cui il già citato Triclinium lateranense, e, appunto, una nuova cinta muraria intorno alla basilica vaticana.
24Una lunga lista di interventi e donativi è presente anche nella biografia del suo successore, non immediato, Pasquale (814-827).46 Anche in questo caso, l’azione di costruzione e restauro del pontefice, desumibile dalla narrazione del Liber, è in gran parte diretta ad edifici di culto (S. Prassede, S. Maria in Domnica, S. Cecilia e S. Maria Maggiore).47 A queste si aggiunge poi l’intervento di ricostruzione effettuato dal pontefice dell’insediamento degli Angli nelle vicinanze di S. Pietro. Si tratta dell’incendio di Borgo dell’817, l’unico evento “storico” inserito nella biografia del Liber, durante il quale Pasquale, esercitando le sue prerogative pastorali, interviene in soccorso dei bisognosi privati di ogni bene, occupandosi delle loro necessità e «fornì tutto in abbondanza, oro e argento, vestiti per i loro corpi e il resto del sostentamento necessario».48 Egli inoltre, donò molti alberi perché essi potessero avere il legname necessario a restaurare domicilia sicut ante in eodem loco fuerant (le case nello stesso posto in cui erano prima).49 L’opera diretta del pontefice si rivolse invece esclusivamente al portico di S. Pietro, anch’esso devastato dall’incendio, anch’esso restaurato in meglio.50
25Bisogna attendere il pontificato di Gregorio IV (827-844) per ritrovare in una biografia del Liber riferimenti ad alcuni interventi papali non orientati esclusivamente verso la rimessa in funzione di edifici di culto (sebbene la maggioranza dei cantieri di restauro segnalati dal biografo siano ancora legati a luoghi a carattere religioso).51 Il pontefice, infatti, interviene nuovamente sul sistema idrico cittadino, rimettendo in funzione l’acquedotto Sabbatino, considerans Romanorum penuriam, affinché potessero essere riattivati i mulini per la molitura.52 Il tratto interessato è ancora quello che dal Gianicolo va a S. Pietro e sul quale era intervenuto già Adriano I, più di mezzo secolo prima.
Restaurare e riedificare a Roma nel secolo IX, una chiave di lettura: la doppia biografia di Sergio II (844-847)
26È lo stesso Liber ad offrirci una chiave di lettura sia del valore che i contemporanei attribuivano agli interventi edilizi sulla città, sia come essi potevano essere rappresentati positivamente o negativamente dai biografi papali a seconda della volontà del biografo di enfatizzare positivamente o negativamente alcuni aspetti dell’attività dei pontefici.
27Un caso esemplare è rappresentato da una versione particolare della biografia di Sergio II, papa dall’844 all’847. Nella recensione della biografia di questo pontefice contenuta in un deperdito manoscritto farnesiano, molto probabilmente scritta a Roma alla morte del papa da un membro del clero che aveva mal sopportato la politica del pontefice e, soprattutto, lo strapotere del fratello di questi, Benedetto,53 emerge con estrema chiarezza il valore simbolico e ideologico dell’attività di restauro effettuata dai pontefici.
28Sergio II infatti, nel suo breve pontificato, intervenne sia su alcune chiese cittadine, restaurate perché molto vecchie o in completa rovina (le espressioni sono similari a quelle utilizzate per Adriano),54 intervenendo anche su un acquedotto. Si tratta dell’Aqua Iovia, che aveva ricevuto l’attenzione di Adriano mezzo secolo prima e che ora versava nuovamente in uno stato di completo abbandono.55 Era infatti stata demolita in alcuni suoi tratti e in completa rovina. Il pontefice, come il suo predecessore, restaurò e riportò alla piena ed antica funzionalità la struttura, che aveva così potuto nuovamente soddisfare i bisogni di “tutta la città”.56 La notizia ricorre in questa sola redazione che, come accennato, fu scritta da un chierico romano e rivolta probabilmente ad un pubblico locale. L’ultimo intervento attribuito al pontefice, invece, è la ricostruzione della chiesa di S. Martino, che venne traslata e ricostruita in modo migliore.57
29A questo punto la nostra redazione si dilunga in una digressione che ci informa del fatto che, essendo il pontefice molto malato, la sua autorità era stata usurpata, negli ultimi anni, dal fratello, Benedetto.58 Questo personaggio «brutus et stolidus» si era impossessato infatti della curam ecclesiasticam et publicam prerogativa del pontefice.59 Secondo la fonte essa veniva esercitata principalmente attraverso la costruzione di «muris parietum et edificiis diversis», per la realizzazione dei quali vessava la popolazione cittadina.60 È in funzione di questa sua attività pubblica che egli richiese all’imperatore, Lotario, di ottenere primatum et dominium Romae.61 Autorità che il biografo non esita a definire enfaticamente come monarchica.
30Questa notizia ci dimostra chiaramente quale fosse il rapporto diretto tra la capacità di intervento di un qualche soggetto sullo spazio cittadino, e come fosse questa, agli occhi degli imperatori, ma anche dei contemporanei, a legittimare le sue pretese di predominio politico e sociale sull’Urbe. Essa ci dimostra, altresì, come gli stessi elementi, cioè la capacità di intervento pubblico sugli edifici, possa essere usata dagli autori del Liber in maniera positiva o negativa, sottolineandone ancora una volta il valore ideologico. È questo il caso della ricostruzione della chiesa di San Martino ai Monti, sulla quale intervengono sia Sergio che il suo fratello usurpatore.62 Dopo aver introdotto il tentativo di conquista di una posizione di preminenza all’interno della città da parte del fratello del pontefice, il biografo introduce alcuni interventi edilizi realizzati da quest’ultimo, in qualche modo seguendo lo stilema tradizionale delle biografie del Liber.
In particolare, l’intervento di maggiore rilevanza è, appunto, quello dedicato a S. Martino, dove Benedetto «all’inizio della sua ascesa aveva distrutto la già citata chiesa di San Martino che era un’opera di mirabile antichità, così poteva usare il pretesto della sua demolizione e ricostruzione per depredare più facilmente le chiese e il popolo».63
31Basta un confronto, anche solo veloce, tra le due notizie per rendersi conto di quanto l’opinione del narratore sulle vicende trattate influisca sulla rappresentazione dell’attività edilizia dei due personaggi. Nel momento in cui l’intervento viene attribuito al pontefice legittimamente in carica esso è descritto secondo le consuete formule encomiastiche,64 mentre, quando lo stesso è riferito al fratello usurpatore, esso è descritto come inconsulta distruzione di splendide opere antiche.65 È infine degno di nota che, all’interno di queste rappresentazioni antitetiche, anche la connotazione di antichità assuma un valore relativo: negativo, nel momento in cui serve a giustificare l’intervento di ricostruzione di un’autorità riconosciuta e legittimata (quella papale); positiva quando è funzionale a stigmatizzare l’intervento di rifacimento di un’autorità non considerata legittima (il restauro in questa occasione deturpa e distrugge la bellezza di un’opera antica).
Conclusioni
32L’analisi degli interventi di restauro effettuati dai pontefici dimostra chiaramente la persistenza di un concetto unitario e globale della città. Questo è particolarmente evidente con Adriano I, che ha chiaro in mente quali siano le strutture essenziali della vita urbana (mura, acquedotti, viabilità), e su queste decide di intervenire con una serie di campagne di recupero importanti, per investimenti economici e attenzione alla loro piena rifunzionalizzazione. Il confronto con il dato monumentale ha permesso in alcuni casi di confermare l’ampiezza degli interventi pontifici, con un puntuale riscontro tra le informazioni fornite dal Liber Pontificalis e i risultati delle indagini archeologiche.
33Differente è invece l’idea di città che sembrano avere i suoi successori. Pur in presenza di un notevole impegno nell’attività edilizia infatti, pontefici quali Leone III e Pasquale I orientano la propria attività prevalentemente verso strutture marcatamente papali ed ecclesiastiche (volte a sottolineare il ruolo di preminenza sulla città – reale o supposto tale – raggiunto dal papato in questo torno d’anni), o legate al desiderio di perpetuare la propria memoria personale nello spazio cittadino. Questo è particolarmente evidente nell’opera di realizzazione e monumentalizzazione del Triclinio lateranense da parte di Leone III, di chiara matrice imperiale. I pontefici però non agiscono in un vuoto politico e sociale, ma sembrano dover di volta in volta ricontrattare con le altre componenti della società romana, in particolar modo l’aristocrazia cittadina, i loro margini d’azione.
34Queste dinamiche sono facilmente comprensibili se si considera che lo spazio cittadino romano non è neutro, non lo può essere per la sua storia e la memoria lunga dei luoghi. Uno spazio costruito nei secoli come somma e sintesi di memorie differenti, cui compartecipano in maniera differente tutte le componenti sociali che agiscono al suo interno. Adriano I può intervenire sulle strutture “pubbliche” della città, all’interno di una sostanziale concordia sociale, mentre Leone III non può agire con la stessa Libertà e legittimazione in un momento di forte conflittualità. Bisogna però sottolineare che, mentre Adriano I rivolgeva i propri interventi verso strutture preesistenti, la cui memoria era condivisa dalle diverse componenti sociali, Leone III cerca di imporre una nuova visione della città attraverso l’edificazione di una nuova cinta muraria, che lo poneva allo stesso livello degli imperatori dell’antichità, ma esautorava dalla memoria dei luoghi le altre componenti sociali. Non sorprende che l’esito della sua campagna edilizia sia stato funesto. Come accennato, alla sua morte l’opposizione alla sua politica si concretizzò nell’abbattimento delle nuove strutture sin dalle fondamenta. Questo conferma ancora una volta la dimensione fortemente ideologica di questi interventi, come dimostra in maniera lampante la narrazione offerta nella vita di Sergio II. Qui infatti emerge chiaramente la centralità della capacità di intervento sulle strutture urbane quale elemento di legittimazione di un’autorità sullo spazio cittadino (con oscillazioni interessanti sullo stesso concetto di antichità).
35Le ripercussioni di queste dinamiche socio-politiche sui pontificati immediatamente successivi (Gregorio IV e Leone IV) trovano riscontro nelle differenti modalità di azione messe in opera da questi pontefici all’interno e all’esterno dello spazio cittadino, anche alla luce dei mutati equilibri politici causati dalle incursioni saracene. Nel momento in cui essi desiderano porsi apertamente in continuità con l’azione degli imperatori del passato, rivendicando la capacità di plasmare autonomamente uno spazio urbano, essi lo fanno in contesti nuovi o lontani dalla città (Gregoriopoli a Ostia e Leopoli/Cencelle). Nello spazio cittadino, caso esemplare quello della civitas Leonina, i pontefici intervengono sottolineando la compartecipazione di tutte le componenti sociali sia cittadine (aristocrazia e clero), sia esterne alla città (partecipazione attiva all’iniziativa da parte di Lotario) all’intervento edilizio del papa (e qui il Liber e le fonti epigrafiche concordano). Il papa appare qui sì come signore della città, ma nella sua declinazione di pastore e guida della comunità urbana.
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Notes de bas de page
1Bertolini 1942; Noble 1982; Gasparri 2016.
2Arnaldi 1982, p. 5-56; Carpegna Falconieri 2012.
3Marazzi 2001, p. 43-61.
4Noble 1982, p. 99-137.
5Geertman 1975, p. 38-71. Questo, a livello di rappresentazione complessiva è importante, e spiega inoltre perché nel caso di Adriano I e Leone III alcune opere effettuate dal primo ritornano nella biografia del secondo. Ciò avviene non solo perché Leone aveva esercitato l’importante compito di vestiario papale – il responsabile economico degli investimenti pontifici –, ma anche perché, a nostro avviso, i suoi biografi riconoscevano l’alto valore simbolico di quegli interventi, tanto da sottolineare la partecipazione a questi del nuovo pontefice.
6Sul pontificato di Adriano I si veda Hartmann 2006, in particolare p. 37-70.
7Per un inquadramento Bonaccorsi 2000, p. 720-723.
8Sul Liber di questa fase si vedano McKitterick 2020, p. 178-220; Gantner 2014, p. 16-37; Capo 2009, p. 115-240; Bougard 2009, p. 127-152.
9Verardi 2016, p. 309-326.
10McKitterick 2020; Verardi 2016.
11In particolare Capo 2014, p. 23-39.
12Meneghini – Santangeli Valenzani 2004; Spera 2016.
13Meneghini – Santangeli Valenzani 2004, p. 133-142; Esposito – Giorgi – Spera 2011.
14L.P., I, p. 486: Hadrianus, natione Romanus, ex patre Theodoro, de regione via Lata, sedit ann. XXIII mens. X dies XVII. Vir valde praeclarus et nobilissimi generis prosapia ortus atque potentissimis romanis parentibus editus, elegans et nimis decorabilis persona, constans etiam atque fortissimus orthodoxae fidei ac patriae suae et plebis sibi commissae defensor, viriliter cum Dei virtute inimicis sanctae Dei ecclesiae ac reipublicae inpugnatoribus resistens, pauperum etiam omniumque indigentium misericordissimus ac copiosus consolator, ecclesiastice namque traditionis et sanctorum Patrum institutionum observator (Adriano, nazione romano, figlio di Teodoro, della regione via Lata, sedette 23 anni 10 mesi e 17 giorni. Uomo molto distinto, di nobile ascendenza e nato da influenti genitori romani, era elegante e molto decoroso nel comportamento, risoluto e strenuo difensore della fede ortodossa, della sua patria e del gregge che gli era stato affidato, con la forza di Dio che resisteva strenuamente agli assalitori della Santa Chiesa di Dio e dello Stato, misericordioso e generoso consolatore dei poveri e di tutti i bisognosi, che osservava la tradizione della Chiesa e gli insegnamenti dei Santi Padri).
15Su questa tipologia di notizie e sul loro valore, in particolare per i pontificati di Pasquale I e Leone III veda Verardi 2018, in particolare p. 182-185 e Verardi 2017, p. 10-28.
16Che l’attività evergetica del pontefice fosse centrale nella caratterizzazione del suo pontificato lo dimostra a più riprese lo stesso Liber, L.P., I, p. 499: Erat enim saepefatus beatissimus pontifex amator ecclesiarum Dei, magnam indesinenter gerens curam pro ornatu et restauratione procuranda omnium earundem ecclesiarum Dei (Infatti il Pontefice, benedetto, un amante delle chiese di Dio e si preoccupava incessantemente di curare il decoro e il restauro di tutte queste stesse chiese di Dio) e ancora p. 501: Et sicut bonus pastor omnes Dei ecclesias, tam extra muros Romanae urbis quamqumque infra muros, ad Laudem Dei restauravit atque decoravit (E come un buon pastore, restaurò e decorò per la lode di Dio tutte le chiese di Dio, sia fuori che dentro le mura di questa città di Roma).
17Su questo Delogu 2017.
18Adriano non è il primo ad intervenire su strutture di questo tipo, prima di lui infatti il Liber Pontificalis testimonia interventi di Sisinnio, Gregorio II e Gregorio III (L.P., I, rispettivamente p. 388; p. 396 e p. 420), segno che il processo di autonomizzazione dal potere imperiale avviato dal papato nel secolo VIII (e che ebbe un momento di svolta proprio sotto i pontificati di Gregorio II e Gregorio III) trovava un riscontro nella progressiva appropriazione da parte dei pontefici di margini di intervento all’interno dello spazio cittadino, rivolti soprattutto a strutture dall’alto valore ideologico e simbolico come, appunto, le mura.
19Si accetta qui la scansione per indizioni proposta da Geertmann 1975, p. 29 e sg., integrandola con la definizione di “campagne” proposta da Delogu 2017, p. 105.
20L.P., I, p. 501: Verum etiam et muros atque turres huius Romane urbis quae diruti erant et usque ad fundamenta destructi renovavit atque utiliter omnia in circuitu restauravit; ubi et multa stipendia tribuit, tam in mercedes eorum qui ipsum murum fabricaverunt, quamque in ipsorum alimentis, simulque et in calce atque diversis utilitatibus usque ad centum auri libras expendit (Inoltre, rinnovò le mura e le torri di questa città di Roma che erano state demolite e distrutte fino alle fondamenta, e restaurò lungo tutto il perimetro come richiesto; a questo scopo dedicò molte risorse, sia per la paga di coloro che costruivano le mura che per il loro sostentamento, anche per la pietra calcarea e vari requisiti, e spese fino a cento libbre d’oro).
21H. Dey ipotizza che il pontefice abbia investito nell’impresa la totalità dei fondi a disposizione della Chiesa romana per gli interventi di restauro che, nel complesso, consistevano in ¼ delle rendite complessive: Dey 2011, p. 249, n. 35.
22L.P., I,. p. 513: Ipse vero Deo protectus praesul conspiciens muros huius civitatis Romanae per olitana tempora in ruinis positos et per loca plures turres usque ad terram eversas, per suum sollertissimum studium totas civitates tam Tusciae quamque Campaniae congregans, una cum populo Romano eiusque suburbanis necnon et tota ecclesiastica patrimonia omnibus per pedicas dividens cum sumptis dapibusque apostolicis, totam urbem in circuitu restaurans renovavit ac decoravit (Questo presule protetto da Dio osservò che le mura di questa città di Roma erano in rovina da molto tempo e che in alcuni punti molte torri erano crollate al suolo. Con la sua esperta cura raccolse tutte le città della Tuscia e della Campania, insieme al popolo di Roma e ai suoi sobborghi e a tutti i patrimoni ecclesiastici, e li affidò a tutti suddividendoli in tratti (piedi), e con l’impegno e l’amministrazione apostolica li restaurò, li rinnovò e li abbellì per tutta la città). Il passo era stato interpretato come una semplice ripetizione da Duchesne (L.P., I, CCXXXVI), più convincente invece la proposta di Geertman che vi vede un nuovo poderoso intervento di Adriano alla fine del suo pontificato (Geertman 1975, p. 29). In generale sull’opera di restauro delle mura condotta da Adriano si vedano: Dey 2011, p. 241-278; Noble 2000; Bauer 2003; Pani Ermini 1992; Geertman 1975, p. 7-36.
23Coates Stephens 1999; Coates Stephens 1998; Meneghini – Santangeli Valenzani 2004, p. 54-63.
24Deliyannis 2004, p. 1-90.
25L.P.R., § 40, p. 199.
26Di questa opinione anche Dey 2011, p. 247-248.
27L.P., I, rispettivamente p. 503-504; p. 504-505; p. 505.
28Coates Stephens 1999; Coates Stephens 2003; Coates Stephens 2013; Meneghini – Santangeli Valenzani 2004, p. 65-69.
29L.P., I, p. 504-505: Dum vero forma quae Claudia vocatur per annorum spatia demolita esse videbatur, unde et balneus Lateranensis de ipsa aqua lavari solebat et in baptisterio ecclesiae Salvatoris domini nostri Iesu Christi et in plures ecclesias in die sanctum Pasche decurri solebat, prospiciens praecipuus et coangelicus praesul, aggregans multitudinem populi partibus Campaniae per semetipsum ad fabricandum atque restaurandum eandem formam vicibus properavit. Et tantam curam ac sollicitudinem in eiusdem forme fabrica exibuit, qui etiam a noviter eam renovavit atque restauravit. Et confestim qui ex Ead. formam aquae in praefato balneo etiam et intus civitatem sicut ex antiquitus habundanter decurri fecit (Dunque l’acquedotto che è detto dell’acqua Claudia, che forniva l’acqua per lavarsi alle terme del Laterano e che arrivava al battistero della chiesa del Salvatore nostro Signore Gesù Cristo e a molte chiese nel giorno della Santa Pasqua, era stato demolito per un periodo di anni. Così, quando si rese conto di questo, l’illustre e angelico vescovo radunò una folla di persone provenienti dai distretti della Campania e venne personalmente a dare il suo contributo alla costruzione e al ripristino di questo acquedotto. Mise grande cura e preoccupazione nella costruzione di questo acquedotto, in quanto lo rinnovò e lo restaurò di nuovo dalle sue fondamenta. Fece subito in modo che l’acqua di questo acquedotto scorresse abbondantemente, come in passato, nelle terme e nella città).
30Baumgarten 2017.
31H. Dey pensa che i Romani “coscritti” per la ricostruzione delle mura possano essere identificati con il personale attivo presso le domuscultae, ipotizzando anche che il pontefice avesse fatto giungere dalla Tuscia e dalla Campania anche personale specializzato, sebbene lo stesso riconosca che, date le tecniche costruttive dell’epoca, non occorresse necessariamente della manodopera specializzata: Dey 2011, p. 250-252.
32L.P., I, p. 501: Nam et per diversa titula seu alias ecclesias atque cunctas diaconias et monasteria, quantacumque infra murum huius Romanae urbis existunt, divina inspiratione ignitus ipse sanctissimus pontifex ex palleis, id est stauracim seu tyreis, vestes fecit atque offeruit. Et sicut bonus pastor omnes Dei ecclesias, tam extra muros Romanae urbis quamque infra muros, ad laudem Dei restauravit atque decoravit (Ora, per i vari tituli e le altre chiese e per tutte le diaconie e i monasteri, quanti sono all’interno delle mura di questa città di Roma, questo santissimo pontefice, ispirato da Dio, fece ed offri dei veli di seta, cioè di seta incrociata o di Tiro. E come un buon pastore ha restaurato e decorato per la lode di Dio tutte le chiese di Dio, sia fuori che dentro le mura di questa città di Roma).
33L.P., I, p. 511: Idem vero omnium bonorum praecipuus praesul noviter dedicavit atque constituit monasterium sanctorum Adriani atque Laurentii, quod in ruinis marcescens a priscis temporibus tamquam in cripta a secularibus habitabatur; ipse vero egregius antistes noviter eum restaurans, in praedictorum sanctorum, videlicet Adriani et Laurentii, nomen aedificavit, in quo et multa bona donavit […] (Questo vescovo, distinto in tutto ciò che è buono, dedicò nuovamente e consacrò il monastero dei santi Adriano e Lorenzo, che stava marcendo in rovina ed era stato da lungo occupato da laici che vivevano tra le rovine. Questo eccezionale vescovo lo restaurò a nuovo e lo edificò nel nome dei santi predetti, cioè Adriano e Lorenzo; ad esso donò molti beni, oro e argento, campi, persone a carico e varie proprietà, anche beni mobili […]).
34L.P., I, p. 499: Atrium vero ipsius beati Pauli ecclesiae, quod antea nimis desolatum existebat, ubi boves atque caballi ingrediebantur ad pabulandum propter herbam quae ibidem nascebatur, inspiratus a Deo isdem sanctissimus pontifex ex marmoribus pulchris sternere fecit (Ispirato da Dio, questo santo pontefice, fece pavimentare l’atrio di questa chiesa con un bellissimo marmo: prima era molto desolato, e l’erba che vi cresceva attirava buoi e cavalli a pascolare).
35Da ultimo vedi Spera 2019. La presenza di una tegola con il monogramma papale, così come quella di alcuni laterizi messi in opera per i restauri delle mura recanti il nome del pontefice (Steinby 2001, in part. p. 143-144) sono segni di notevole importanza sia da un punto di vista simbolico – il pontefice lascia un segno nella pietra della sua azione – sia da un punto di vista materiale, poiché possono indicare la riattivazione da parte di Adriano I di processi di produzione locale di materiali utili per la ricostruzione, su questo Dey 2011, specialmente p. 255.
36Sugli interventi papali relativi a tetti e travi si veda Delogu 2017, ma anche, più in generale, Barral i Altet 2016.
37L.P., I: in ruinis praeventam noviter restauravit (Restaurò di recente [la chiesa di Santa Pudentiana], che era andata in rovina), p. 508.
38Ibid.; Braconi 2017, p. 221-232.
39Bauer 2003.
40Geertman 1975, p. 66-79. Per un’analisi degli interventi edilizi di Leone III nei confronti degli edifici religiosi si veda Bernacchio 2018.
41Gli interventi di restauro all’interno dello spazio cittadino riguardano: S. Pietro, S. Anastasia, S. Sabina, SS. Felice ed Adaucto, Laterano, S. Susanna, S. Paolo fuori le mura, S. Maria Maggiore, S. Stefano Maggiore, S. Martino; S. Andrea Catabarbara; S. Lucia in Orphea; S. Balbina; SS. Cosma e Damiano, S. Marina, S. Lorenzo in Damaso, S. Valentino sulla via Flaminia, SS. Apostoli, S. Agata, S. Agapito, S. Stefano sulla via Latina, S. Basilide sulla via Merulana, S. Nereo ed Achilleo e S. Lorenzo fuori le mura.
42Curzi 2016.
43Di questo avviso anche Delogu 2017, il quale sottolinea come lo scopo del pontefice sia quello di aumentare il prestigio papale.
44L.P., II, p. 123: Cumque in is diuturnis crebro laboribus desudaret, Deo revelante, uiusmodi protinus consilium sumsit, ut hoc ipsum suo dilecto ac spiritali filio domno Lothario luce clarius indicaret Augusto, quatenus per illius, Domino anuente, adiutorium adque consilium civitatem illam, quam praedecossor eius Leo papa tercius erga ecclesiam praenominati apostoli aedificare ceperat, et multis iam in locis fundamenta posuerat, licet post suum transitum a quibusdam ablata fuissent hominibus, ita ut nec aditus appareret ubi prius incohationem praelatus meruerat murus, quod si vita comes adesset, desideratum opus, Christo solaciante, ad effectum vellet perducere (E mentre si affaticava spesso in queste fatiche quotidiane, per rivelazione di Dio adottò subito un piano di questo tipo per chiarire questa particolare questione al suo amato figlio spirituale, il signore Lotario Augusto, e, in questo modo, con il suo aiuto e consiglio e con la volontà del Signore, [completare] quella città che il suo predecessore Papa Leone aveva iniziato a costruire verso la suddetta chiesa dell’apostolo, e in molti punti aveva gettato le fondamenta, ma dopo la sua morte alcuni uomini le avevano rimosse, cosicché dove questo muro aveva meritato il suo inizio non si vedeva nemmeno un’apertura. Questa era l’opera che desiderava e, se la vita fosse stata la sua compagna, con il conforto di Cristo, avrebbe desiderato portarla a compimento).
45Marazzi 1994.
46Sulla biografia del Liber relativa a Pasquale I si veda Verardi 2017. Più in generale sul suo pontificato e per una lettura storico-urbanistica dei suoi interventi edilizi si veda Goodson 2010; Ballardini 1999; Luchterhandt 2017. L’attività di Pasquale I e il suo rapporto con la città è stato oggetto di una serie di seminari e di un convegno conclusivo da titolo Grata più delle Stelle, organizzato da S. Ammirati, A. Ballardini, G. Bordi, M. Caperna-C. Mancho, R. Michetti, R. Santangeli Valenzani e A.A. Verardi. I seminari sono ora editi in Ammirati – Ballardini – Bordi 2020.
47L.P., II, rispettivamente p. 54; p. 55; p. 56-58; p. 60.
48L.P., II: in auro seu argento vel corporum indumenta, quam reliqua necessaria alimenta, omnia uberibus subministrabat, p. 53-54.
49Ibid.
50Ibid.
51Gregorio interviene a S. Saturnino sulla via Salaria, a S. Marco, presso la diaconia di S. Giorgio, nel complesso Lateranense, a S. Maria in Trastevere, a S. Maria e Cornelio, a S. Paolo fuori le mura, a S. Pietro. Bisogna segnalare che Gregorio è anche il primo pontefice a fondare una nuova città, alla quale aveva dato il suo nome, secondo una modalità fatta propria, successivamente, da alcuni suoi successori (Leone IV e Giovanni VIII). Sulle città di nuova fondazione papale si veda Marazi 1994.
52L.P., II, p. 77: Hic benignissimus et praeclarus pontifex, dum bonus et verus pastor pro sanctae Dei ecclesiae statum maximam undique curam ac vigilantiam gereret, considerans Romanorum penuriam, quo dubi triticum ad edendum molerent nullo modo haberent, divino fretus auxilio, formam quae Sabbatina nuncupatur, quae iam per plurimos annos confracta atque disrupta esse videbatur, dato operis studio, sicut a priscis fuerat aedificata temporibus, ita quoque eam praesagus antistes a noviter aedificare atque constuere visus fuit; ita ut ad ecclesiam beati Petri apostoli atque ad Ianuculum sicut prius ita et nunc indiffluenter decurrat (Questo benigno e distinto pontefice, mentre da buono e vero pastore
53mostrava la massima cura e vigilanza da ogni parte per lo stato della Santa Chiesa di Dio, considerò la necessità dei Romani che, quando volevano macinare il grano per mangiare, non potevano mai farlo: l’acquedotto chiamato Sabbatina era infatti ormai da moltissimi anni rotto e interrotto. Il vescovo lungimirante, confidando nell’aiuto di Dio e impegnandosi nell’opera, lo costruì e lo riedificò come era stato costruito fin dall’antichità, cosicché ora scorre fino a San Pietro Apostolo e al Gianicolo, senza interruzioni, come un tempo).
Si tratta del manoscritto farnesiano E5, appartenente alla classe E, di origine italica, segnalata dal Duchesne (L.P., I, p. CXCIX-CC). Il manoscritto, perduto dal secolo XVIII, era stato utilizzato dal Bianchini per la sua edizione del Liber Pontificalis (PL 127 [Parigi, 1852], cols. 224-8). Sull’edizione del Bianchini e sulle riproduzioni di alcuni fogli del manoscritto contenuti nella sua opera si veda Vircillo Franklin 2017.
54L.P., II, p. 91: Hic sanctissimus praesul formam quae Iovia vocatur, quae per evoluta annorum spacia demolita atque a ruinis plena existebat, prospiciens sicut benignus et pius pastor, a noviter eam restauravit; et tanta aqua abundanter praefulsit, qui pene totam civitatem satiavit (Questo santo presule, rendendosi conto, come un pastore benigno e pio, che l’acquedotto detto Jovio giaceva demolito da anni e giaceva completamente in rovina, lo restaurò di nuovo; e lì sgorgò una grande abbondanza d’acqua che soddisfò quasi tutta la città).
55Ibid.
56Ibid.
57Ibid., p. 93: Ecclesia etenim beatissimi Martini confessoris Christi atque pontificis, quae quondam priscis aedificata temporibus, nimio iam lassata senio, ita ut a fundamentis casura ruinam sui minaretur, idem venerabilis pontifex illius ruinam ante praevidens, eidemque ecclesiae curam adhibens, illic pervigil saepius existens, in alio non longe demutans loco, in meliorem eam quam dudum fuerat erexit statum (La chiesa di San Martino, confessore di Cristo e pontefice, costruita molto tempo fa, era ormai gravata dalla sua antichità, tanto che il crollo delle sue fondamenta minacciava la sua rovina; questo venerabile pontefice, anticipando la sua rovina e applicando la sua cura a quella chiesa, essendo spesso di guardia, la spostò ed eresse in un altro luogo non lontano, un miglioramento rispetto a ciò che era stato in precedenza).
58Ibid., p. 97-98.
59Ibid.
60Ibid.
61Ibid.
62L.P., II, rispettivamente p. 93 e p. 98.
63L.P., II, p. 98: destruxerat namque initio suae exaltationis ecclesiam iamdictam beati Martini, quae fuerat opera mirabili antiquitatis constructa, ut sub pratextu istius deiectionis et reaedificationis liberius valeret depraedationes in ecclesiis et in populis peragere (All’inizio della sua supremazia aveva distrutto la già citata chiesa di San Martino, che era stata costruita in antichità con un’opera meravigliosa, in modo da poter usare il pretesto della sua demolizione e ricostruzione per depredare più facilmente le chiese e il popolo).
64Vedi nota 49.
65Vedi nota 55.
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Reconstruire Rome : la restauration comme politique urbaine, de l'Antiquité à nos jours
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