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Vrbs e pianta marmorea, trenta anni dopo
p. 105-118
Résumés
Un bilancio delle ricerche sulla pianta marmorea nell’ultimo trentennio mostra una tendenza alla revisione critica, in particolare per zone – come il Campo Marzio, dove i Saepta costituiscono esempio emblematico – per le quali la pianta marmorea è stata uno degli strumenti principali di conoscenza topografica. Lo stato ambiguo della Forma Vrbis come fonte documentaria non deve impedire altre potenzialità di ricerca e conoscenza: tra queste è di grande interesse la superficie della città rappresentata, che, in particolare sui lati settentrionale e meridionale, corrisponde alla crescita della città vespasianea e richiama ad un precedente della pianta severiana sulla stessa parete dell’Aula del templum Pacis.
A review of the research on the marble plan over the last thirty years shows a tendency towards critical revision, particularly for areas - such as the campus Martius, where the Saepta are an emblematic example - for which the marble plan has been one of the main tools of topographical knowledge. The ambiguous status of the Forma Vrbis as a documentary source should not prevent other potentials for research and knowledge: among these, the area of the city shown is of great interest, which, particularly on the northern and southern sides, corresponds to the growth of the Vespasian city and recalls a precedent of the Severan plan on the same wall of the Aula del templum Pacis.
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Keywords : Forma Vrbis marmorea, campus Martius, Saepta, urban growth
Parole chiave : Forma Vrbis marmorea, campus Martius, Saepta, crescita urbana
Note de l’auteur
La combinazione tra limiti di spazio e profusione di studi ha imposto scelte drastiche nelle citazioni bibliografiche: si è tentato il più possibile di menzionare i lavori fondamentali insieme agli studi più recenti e aggiornati. Per i singoli monumenti in aggiunta o in assenza di bibliografia specifica si richiama alle singole voci del LTUR.
Texte intégral
Rien n’est plus propre à consoler de l’état de dépérissement où est aujourd’hui ce monument, que son peu de valeur réelle & son inutilité bien prouvée à l’égard de la vérification des mesures anciennes, quand même il seroit entièrement conservé…
Ch.-M. De La Condamine 1757, p. 359
1Il testo in epigrafe riflette bene il contrasto tra aspettative e delusioni che ha sempre accompagnato la storia della pianta severiana, per cui il bilancio negativo è tanto più forte quanto più sono assenti o quanto più si è allentata la stretta di studi sistematici.
2Si tratta anche e soprattutto di un contrasto tra aspettative e delusioni, che ha segnato la storia critica della pianta capitolina a partire dal primo entusiasmo degli antiquari di casa Farnese, abbagliati dalla prospettiva di vedersi spaginata di colpo tutta la Roma antica. Il più celebre disilluso è Giovanni Battista Piranesi (1756): «… da sì manchevole infranto alterato Monum.to altro più non si rilieva, se non che Roma in que’ tempi fosse una Città piantata senza ordine, e da superbi magnifici Edificj piuttosto ingombrata, che adorna». La chiusa forse evoca direttamente il celebre magis occupata quam diuisa liviano e sposta in certo modo la critica alla stessa città antica1.
3La «valeur réelle» (o piuttosto la esatta natura del documento2) è curiosamente ancora un tema attuale, ma è indubbio come ogni edizione critica della Forma Vrbis, a partire da quella di Heinrich Jordan fino all’aggiornamento di Rodríguez Almeida abbia coinciso con un avanzamento di conoscenze notevolissimo, sia sulla pianta severiana che sulla topografia della città.
4È stata soprattutto l’editio princeps del 1960 a segnare gli studi: nel doppio binario di questo Convegno, un ricordo critico dell’opera di Ferdinando Castagnoli e un bilancio delle conoscenze de L’Urbs a 30 anni di distanza, è indubbio che la Pianta marmorea di Roma antica del 1960 abbia giocato un ruolo di primo piano. Il testo – ancora insuperabile per concisione e numero di informazioni su ogni frammento inciso – ha stimolato importanti ricomposizioni ed ha a lungo coinciso con l’autorevolezza della pianta severiana come documento cartografico3.
5I progressi degli ultimi decenni hanno restituito quartieri altrimenti anonimi e ampliato le maglie della città imperiale, ma l’edizione del 1960 aveva piuttosto messo in evidenza la città repubblicana, in particolare le zone chiave della pianura aventina e, soprattutto, del Campo Marzio, dove si era ricomposto il tessuto monumentale e stimolato un gran numero di studi importanti4.
6In maniera diversa queste due aree – oggetto della doppia intuizione di Guglielmo Gatti negli anni ’30 del Novecento – e per le quali la pianta marmorea è stata ed è ancora strumento principe di conoscenza, sono davvero state al cuore del binomio spazio urbano e storia. Si può dire che l’onda lunga di questi lavori sia ancora viva negli anni ‘80 del Novecento e anche per diversi importanti contributi de L’Urbs la pianta severiana è il quadro topografico di riferimento5.
7A trenta anni di distanza è tuttavia difficile non scorgere nei binari tra spazio urbano e storia un certo disassamento. Il Campo Marzio è ancora esempio efficace6, non tanto perché anche qui la «révolution coarellienne» mostra segni di ripensamento critico (ma soprattutto qui la discussione scientifica su alcuni punti cardine è sempre stata vivace: si pensi al caso delle porticus Minuciae7), quanto perché il panorama scientifico appare oggi compartimentalizzato da lavori sia sul paesaggio urbano che sulla storia delle istituzioni, con studi che sembrano, con poche eccezioni, ignorarsi a vicenda8.
8È interessante ancora notare come oggi siano i Saepta, uno dei punti fermi della ricostruzione della pianura antica9, l’epicentro della decostruzione. Com’è noto, gli studi di Guglielmo Gatti prima e le importanti integrazioni di Lucos Cozza poi avevano dato una dimensione spaziale per valutare modalità e scala della partecipazione alla vita civica. È utile ricordare che in termini tangibili i Saepta corrispondono alla parte centrale della parete dell’Aula del templum Pacis, e specificamente alla lastra 35 della griglia (IV-5 della numerazione Stanford), dove è rappresentato il settore meridionale del complesso (fig. 1), mentre alla lastra attigua apparteneva il frammento noto solo dal disegno di un pezzo perduto e dalla menzione di Frontino (Aq., 22, 3) sul termine delle arcate dell’aqua Virgo secundum frontem septorum10.
Fig. 1 – La griglia delle lastre del Campo Marzio: schema topografico di L. Cozza e G. Gatti (Carettoni et al. 1960) sovrapposto alla fotogrammetria della parete (2018; progetto Sovrintendenza Capitolina – Ancient World Mapping Center) © Sovrintendenza Capitolina. Elaborazione L. Petacco.

9Da qui Lucos Cozza aveva elaborato uno schema per Lily Ross Taylor che è stato a lungo la base per valutare i meccanismi di voto (fig. 2a)11 e che è oggi in discussione. Una ricostruzione alternativa, che rivede in modo restrittivo numero dei votanti e simultaneità del voto, è stata proposta sempre sulla base della documentazione della pianta marmorea (fig. 2b) ed è considerata, a ragione, completamente ingiustificata da Filippo Coarelli12.
Fig. 2 – Schema ricostruttivo dei Saepta: a) da Taylor 1966; b) da Mouritsen 2001; c) da Carettoni et al. 1960.

10Senza entrare in questioni storico-religiose (l’orientamento N-S è obbligato comunque dal tribunal che i Saepta fossero o meno un templum)13 o procedurali (spazio per persona per metro quadrato e spazio di unità di voto)14, dal punto di vista della ricostruzione – vale a dire in prospettiva topografica – è dirimente l’interpretazione della struttura in fondo all’edificio (piattaforma? suggestum?) come punto di arrivo dei diversi corridoi di voto.
11Altra questione importante, ma non chiara, è la presenza e l’eventuale posizione di un ulteriore tribunal esterno ai Saepta per le contiones immediatamente prima del voto legislativo e nei processi15: davanti all’entrata, quindi proiettato verso nord – verso il campus propriamente detto – o da collocare altrove in un Campo Marzio repubblicano privo di riferimenti sicuri. La questione dell’ara Martis è stata infatti di recente riaperta16 e molto dipende dalla posizione dell’ara anche per la definizione degli spazi della uilla Publica.
12Tutto dipende chiaramente dalla sostanziale stabilità nella localizzazione dei recinti di voto repubblicani. È estremamente probabile che l’assunto iniziale di ogni ragionamento rimanga valido, cioè che conservatorismo e vincoli religiosi abbiano conservato posizione e forse anche dimensioni originarie. Così testimoniano usi ancora in corso nel III secolo d.C., come il vessillo del Gianicolo (D. C., 37, 28, 3), che erano chiaramente ormai privi di significato ma non potevano essere privi di corrispondenza visiva17.
13Per i dettagli bisogna ammettere però che è stata forse eccessiva la fiducia nella pianta severiana come fotografia degli spazi di voto repubblicani dopo le leggi tabellari: su continuità di superficie e partizione interna degli spazi rimangono dubbi e incertezze. In particolare è davvero difficile dire cosa fosse la struttura visibile nelle incisioni della forma entro il quadriportico dei Saepta18 e se possa rappresentare un elemento originario. Dei diversi usi dei Saepta a partire dall’età augustea proprio quello assembleare ha un bilancio negativo: il tribunal per il ritorno di Tiberio nel 9 d.C.19 è chiaramente preparato per l’occasione, il che è indizio che una struttura fissa non c’era.
14È invece possibile che la struttura del quadriportico sia ancora quella del monumento augusteo. In questo senso orienterebbe anche una generale mancata attenzione all’aggiornamento dei monumenti dell’area centrale nella pianta severiana: sono presenti numerosi anacronismi proprio in quest’area e nelle lastre limitrofe (dove, più che altrove, un confronto tra resti archeologici e rappresentazione della Forma Vrbis è possibile)20. È concepibile che i Saepta della fase augustea diano qualche garanzia in più nel presumere che si sia cercato di mantenere «the fiction that the Republic still existed» 21. È anche vero però che tutto andrebbe visto nella prospettiva monarchica ed ellenizzante del progetto cesariano e andrebbe valutato quanto la controtendenza conservatrice augustea (sempre che ci sia stata)22 abbia influito sull’intervento di Agrippa, che Cassio Dione dichiara limitato alla decorazione23.
15Le tappe della costruzione dei Saepta furono diverse e i tempi chiaramente lunghi: la lettera programmatica (la res gloriosissima24) è del 54 ma il coinvolgimento di Lepido dovrebbe implicare la fase operativa al periodo 46-44 a.C.25 e connotarsi dunque come opera pienamente “cesariana”. Ci si domanda anzi se non possa essere relativa a questo impegno, piuttosto che al tempio di Felicitas26, la menzione ciceroniana nella chiusa della lettera datata al 4527: ecce tibi orat Lepidus ut ueniam, opinor, augures uelle habere ad templum effandum (Cic., Att., 13, 42).
16Questo dei Saepta è esempio tra tutti emblematico delle questioni di studio della pianta marmorea: come da un lato possa essere considerata una sorta di affidabile blueprint, una pianta di fase, e dall’altro sia invece oggetto di decostruzione strutturale oltre che esegetica28. In questi due estremi è davvero difficile trovare una modalità rispettosa della filologia del documento, che consenta anche di ricavarne il maggior numero possibile di informazioni.
17Oltre ai singoli casi, uno sguardo complessivo a trenta anni di distanza mostra inoltre una riconsiderazione globale del valore della pianta marmorea, non tanto come documento cartografico di fase, ma come documento cartografico tout court. Nella tendenza alla decostruzione e alla revisione critica è forse possibile scorgere anche l’effetto della pianta di via Anicia. Ne L’Urbs non è ancora entrata in circolo (la prima pubblicazione è parzialmente coincidente29) ma l’impatto di questo documento, che proprio attraverso la parziale sovrapposizione sottolinea le differenze di quantità e qualità di informazioni delle due piante, ha in certo modo contribuito al ripensamento dell’affidabilità della pianta severiana come documento cartografico30.
18Senza arrivare allo scetticismo del savant voyageur citato in epigrafe, è legittimo dunque domandarsi in quale misura la Forma Vrbis può contribuire alla conoscenza della Roma imperiale31 e non solamente per la percentuale della parte conservata rispetto a quanto perduto. La presenza di anacronismi e in qualche caso di aggiornamenti stratificati sommariamente32 rendono improprio, prima ancora che riduttivo, considerare la pianta severiana solo un documento cartografico. Richard Talbert ha di recente messo in rilievo la comune stratificazione di informazioni presenti nella Tabula Peutingeriana e nella Forma Vrbis, come tratto distintivo di una grande tradizione cartografica33. Il fenomeno del mancato interesse per gli aggiornamenti è certamente ben più evidente nella grande carta viennese (dove Costantinopoli convive, ad es., con l’area vesuviana precedente il 79) e la Tabula Peutingeriana si presta certamente meglio all’idea di una lettura paleografica.
19Ma se anche la pianta marmorea è il risultato dell’unione, della stratificazione e dell’aggiornamento di più rilevamenti – alcuni dei quali sembrano persino precedenti l’età imperiale34 – è possibile trovare uno dei suoi momenti fondanti – la fase principale – nell’età vespasianea. È interessante che un’ipotesi analoga sia stata avanzata per i Cataloghi Regionari: un altro “palinsesto” in cui si è proposto di scorgere – in alcune liste di monumenti – la presenza di una “fase” pre-domizianea35.
20La questione è, naturalmente, dove finisce la Forma Vrbis36. Una revisione dei limiti dello spazio sulla parete del templum Pacis, dove le lastre erano applicate, dimostra che l’anacronismo più notevole è nella struttura della cornice (fig. 3).
Fig. 3 – Ingombro della pianta in relazione alla città (G. Gatti in Carettoni et al. 1960).

21Per il limite settentrionale, la parte bassa della Forma, la questione è complicata dal fatto che occorre stralciare dal gruppo 41 l’identificazione con il Mausoleo di Adriano37, che non è in ogni caso compreso nel campo visivo o al più è rappresentato solo per un piccolo settore. Ma soprattutto la parte alta della parete, il limite meridionale, mostra chiaramente che dove finisce la Forma Vrbis non è dove finisce la città severiana e – se per questo – neppure la città medio-imperiale.
22Se è innegabile che la pianta marmorea comprende in certo modo l’essenziale della superficie urbana, la Forma è schiacciata a nord e a sud e pare legata ad uno schema visivo di approccio all’Vrbs connesso più al cerimoniale imperiale augusteo (e chiaramente vespasianeo) che a possibili limiti giuridici e sacrali (pomeriali, daziarii ecc.)38.
23A nord – quindi sul lato inferiore – rimane molto da capire, ma occorre tenere presente che il monumento più basso, più visibile e immediatamente percepibile per l’osservatore doveva essere il Mausoleo di Augusto (fig. 3).
24A sud la città è invece tagliata. La pianta marmorea finisce più o meno in corrispondenza della linea delle mura repubblicane. In questo settore lo sviluppo urbano ha chiaramente avuto tempi e modi diversi rispetto ad altre aree: lo dimostra lo stesso nome della I Regio augustea – eccezionalmente una porta urbana – ed è innegabile che la Porta Capena abbia avuto valore liminare ancora nel II secolo39. Questo fenomeno è certamente dovuto al nucleo di edifici e di funzioni nell’area immediatamente extraurbana dell’Appia, con le sue note radici nelle tradizioni istituzionali della nobilitas repubblicana, ma appare evidente una vocazione extraurbana di un ampio settore del Celio fino allo scorcio del I secolo d.C., anche in zone non direttamente o funzionalmente connesse all’area extra portam Capenam40.
25La fascia di terreno tra le due cinte murarie, sigillata dai grandi lavori severiani, racchiude una storia urbana poco documentata, che pure sarebbe essenziale per chiudere – per così dire – la linea della cintura verde di horti nel collegamento con l’antistante Esquilino, definito con efficacia la seconda collina del potere41; specialmente per il dossier complicatissimo delle testimonianze dall’area del Laterano42.
26Il grande intervento urbanistico severiano è, dunque, noto più dalle testimonianze archeologiche che dalla pianta marmorea (fig. 4). La concentrazione dei lavori è proprio nella fascia di terreno di cui si è detto, nell’area meridionale della città, dove nel corso del II secolo si è spostato il baricentro del potere (domus Vectiliana, nucleo originario del Sessorio, Laterano) e dove lo stesso passaggio del potere ha una dimensione topografica43. Nel settore meridionale si svolgono i lavori che azzerano e distruggono interi quartieri – per l’impianto delle Terme, per l’imponente edilizia militare44 – e che sono verosimilmente testimonianza di una politica di confische o espropriazioni coerente nel tempo: tutto questo manca nella Forma Vrbis, se non per una stretta striscia dove registriamo la stragrande maggioranza delle informazioni aggiornate: dal Settizodio al celebre gruppo 42 a-def con Seueri et A[n]tonini Au[g]g. / nn.
Fig. 4 – La fascia urbana del settore meridionale non compresa nel perimetro della pianta marmorea (da Grande – Scagnetti 2005; elaborazione G. Grande e L. Petacco).

27Di questi il frammento perduto 677 [domus C]ilonis rappresenta al meglio la natura aggiornata – diremmo catastale – delle informazioni contenute nella fascia superiore della parete45. La breve striscia aggiornata della pianta marmorea rappresenta in minima parte la città severiana, ma restituisce nondimeno il nocciolo di uno stravolgimento urbanistico spregiudicato e privo di precedenti, che rende forse più comprensibile una certa tendenza contemporanea a ripiegarsi sul passato46 .
28Le ragioni di questo margine troppo corto, per cui solo un settore minimo della «bold, new Rome»47 entra nel quadro, confermano l’ipotesi più volte sollevata della presenza di una precedente forma nel templum Pacis originario, un precedente fondato con estrema probabilità sull’epocale censura di Vespasiano e Tito48. A questa più antica forma la ricostruzione severiana dovette adattarsi riprendendone la sagoma e restituendo in controluce una storia più antica.
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Notes de bas de page
1 Per una ricostruzione del rapporto tormentato di Piranesi con la Forma Vrbis: Baumgartner – Dostert – Heiser 2010, p. 200-208 (M. Baumgartner). La citazione liviana è naturalmente 5,55: Ea est causa quod ueteres cloacae, primo per publicum ductae, nunc priuata passim subeant tecta, formaque urbis sit occupatae magis quam diuisae similis. Si veda anche Bevilacqua 2015, p. 151 per Piranesi e i classici.
2 Della funzione della pianta marmorea non dovrebbe forse essere più necessario parlare. Si può solo ricordare come sia stata a volte contestata l’espressione “ornamentale” o “decorativo” usata da Ferdinando Castagnoli (ad es., Castagnoli 1961, p. 120). L’impressione che implicasse una diminutio del documento non tiene conto del carattere dell’uomo e della sua misurata economia nelle parole. Il solo fatto che il paragone fosse con la Galleria delle carte geografiche del Vaticano dice come in quel decorativo fossero intesi tutti i concetti argomentati più volte e da molte parti: ostentazione, propaganda, celebrazione di potenza, valore simbolico eccetera (anche ad es., Nicolet 1991, p. 16: «[…] la volonté politique d’un Prince qui peut faire réaliser un exemplaire particulièrement spectaculaire d’un document de ce type, à des fins d’ornamentation, d’ostentation, de propagande: de la carte d’Agrippa aux globes de Marly, en passant par les galeries des cartes peintes du Vatican». Ancora, è applicabile anche alla pianta marmorea l’osservazione di Nicholas Purcell a proposito della Tabula Peutingeriana (2013, p. 130: « (the Tabula) as a physical object must be one of the least convenient maps to use ever conceived, its lesson of comprehensive power depended on awareness that all the information it so overwhelmingly displayed existed in more retrievable and practical forms too. Here, then, is a potent and persuasive display of a much larger practicality which made the rhetoric possible». Sulla questione, l’importante messa a punto di Palombi 2016. Si vedano anche, con diverse sfumature, Migliorati 2017a e Tucci 2017, p. 126-154.
3 Jordan 1867; Id. 1874; Carettoni et al. 1960; Rodríguez Almeida 1980. È impossibile dare conto di tutto il dossier prodotto dagli studi sulla Forma Vrbis: per un bilancio critico degli studi più recenti: Davoine 2007 e 2011; de Caprariis 2016b, p. 81-83, con bibliografia recente.
4 Punto di partenza, come è noto le due ricomposizioni relative al Circo Flaminio ed alla porticus Minucia (Gatti 1960, p. 10-11; Cozza 1968, p. 9-20). Per una messa a punto aggiornata sul Campo Marzio si rimanda a Borlenghi 2011.
5 Si pensi per il Campo Marzio ai contributi di Catherine Virlouvet, Sylvie Agache, Elisabeth Deniaux, Ségolène Demougin; Robert Étienne per la pianura aventina.
6 Per la pianura aventina e la questione Naualia mi permetto di rimandare a de Caprariis 2019.
7 Dove sono in gioco, come è noto, spazi e funzioni di importanza primaria per comprendere il tessuto sociale della città. Nonostante l’identificazione della porticus rappresentata nella Forma Vrbis con la frumentaria (con quel che ne consegue) sia ribadita ancora in Coarelli 2019, p. 255-267, l’importante messa a punto della questione in Guaglianone 2019, con analisi combinata di resti archeologici e documenti d’archivio, rivendica definitivamente l’opinione contraria espressa – tra gli altri – da Cozza 1968, p. 9-22, Rickman 1983, p. 105-108 e Zevi 2007.
8 Un esempio è la proposta di slittamento a sud dei Saepta repubblicani, fondato soprattutto sulla suggestione dello spazio definito dai templi di Largo Argentina e Botteghe Oscure (Albers 2009, p. 19-20; Albers 2013, p. 49-51) ma che non tiene conto della relazione spaziale e funzionale restituita dallo scenario del dialogo del III libro del de re rustica (Nicolet 1970, p. 113-137; recente e con ricca bibl.: Corazzi 2010). Dall’altro lato si registra la difficoltà di porre sul terreno alcune ricostruzioni fondate su elementi di topografia privi di sicura collocazione (ad es., amnis Petronia e convocazione dei Comizi in Aricò Anselmo 2012).
9 Per le principali questioni: Marcattili 2005, p. 317-318; Borlenghi 2011, p. 92-104, con bibliografia ulteriore.
10 La linea acqua Vergine-Saepta come linea di demarcazione di un diverso status giuridico del terreno dipende molto da CIL VI, 874 (Id quod intra / cippos ad camp(um) uersus / soli est Caesar August(us) / redemptum a priuato / publicauit) forse sovra interpretato e, soprattutto, molto probabilmente non in situ: Muzzioli 2016, p. 291-297 (con bibl. completa).
11 Taylor 1966, p. 53.
12 Mouritsen 2001, p. 28-30 e 2017, p. 56-57; Coarelli 2005, p. 27. La parte settentrionale dei Saepta rappresentata nel frammento 8a è conservata attraverso il disegno VatLat 3439, f. 22 r, la cui rappresentazione rende possibile solo uno spostamento molto lieve (la linea di trattini relativa ad un porticato a pilastri non indica una partizione del portico come proposto nel grafico in Mouritsen 2001, p. 29, poiché il tratto considerato elemento della S di Saepta è in realtà un elemento architettonico perpendicolare: cf. già le osservazioni di Lucos Cozza in Carettoni et al. 1960, p. 100).
13 Analisi del dossier in Humm 2014, p. 319-321 e 334; Berthelet 2017.
14 E quindi strumento per misurare la democrazia a Roma: per tutti, Patterson 2006, p. 355-356; Jehne 2006, p. 223-224; Mouritsen 2017, p. 55-58.
15 Taylor 1966, p. 56-58. Dubbi in Humm 2014, p. 338, nota 132. Per le contiones soprattutto Pina Polo 1989; Hiebel 2009. Senza pretesa di completezza e in prospettiva topografica: Virlouvet 1995, p. 120-121; David 2000, p. 62-64 (a nord dei Saepta); Mouritsen 2001, p. 30 (cf. fig. 2 b); Morstein-Marx 2004, p. 60-61 (per la localizzazione del processo di Rabirio, ibid., p. 24 nota 90); Coarelli 1997, p. 180; Hiebel 2009, p. 92-93; Ziółkowski 2013, p. 398 (uilla Publica = ad est e a sud dei Saepta). Da segnalare l’ipotesi di Phillips 2015, p. 8, che interpreta la presenza delle scale laterali nel pronao del Pantheon augusteo come possibile tribuna per contiones (non è chiaro se sia considerata una sorta di rostra “originari” del Campo Marzio: l’assenza di una struttura fissa è stata da sempre uno degli argomenti contrari alla presenza di un dibattito precedente il voto; questione in Aricò Anselmo 2012, p. 230-231) e riporterebbe per così dire in situ il voto delle centurie destinatrici in consaeptum (in genere localizzato presso la biblioteca di Apollo Palatino: Castagnoli 1949, p. 307; ora Hollard 2017, p. 157).
16 Filippi 2015b, p. 91-96.
17 Coarelli 1996, p. 26-27, con ipotesi anche di funzione augurale.
18 Se si tratta di una piattaforma (60 m x 8 ca.) o piuttosto di due o più elementi simmetrici rispetto ai porticati.
19 Suet., Tib., 17, 2: Triumphum ipse distulit maesta ciuitate clade Variana; nihilo minus urbem praetextatus et laurea coronatus intrauit positumque in Saeptis tribunal senatu astante conscendit ac medius inter duos consules cum Augusto simul sedit; unde populo consalutato circum templa deductus est. Anche D. C., 56, 1, 1.
20 Per limitarsi ai casi più noti, diversi templi del Campo Marzio sono raffigurati nella fase pre-augustea (Bellona e Apollo, templi A e B di Largo Argentina); altri elementi non aggiornati sono difficilmente databili (ad esempio il complesso di Balbo e, parzialmente, il tessuto di case e strade che lo circonda); difficoltà nella ricostruzione planimetrica rimangono per le terme di Agrippa (questo frammento è stato addirittura attribuito ad una pianta precedente): cf. soprattutto Muzzioli 2014, con bibl. sui singoli casi a cui bisogna aggiungere Vitti 2016, p. 115-134 e forse (de Caprariis 2018) le incongruenze messe in rilievo da Ten 2015 e in questo volume; per la porticus Minucia nei frammenti 35dd e 35ee si veda ora Guaglianone 2019, p. 95.
21 Taylor 1966, p. 58.
22 Sulla connotazione dei progetti cesariani ora Gros 2010, p. 271 (per i Saepta); per le differenze con quanto messo in atto in età augustea, nel Campo Marzio in particolare: Gros 2012, p. 225-246. Discussione (critica) del legame tra Saepta e Cesareo di Alessandria già in Castagnoli 1984, p. 520-526.
23 D. C., 53, 23: τὰ Σέπτα ὠνομασμένα καθιέρωσεν: ὁδὸν μὲν γὰρ οὐδεμίαν ἐπισκευάσειν ὑπέσχετο, ταῦτα δὲ ἐν τῷ Ἀρείῳ πεδίῳ στοαῖς πέριξ ὑπὸ τοῦ Λεπίδου πρὸς τὰς φυλετικὰς ἀρχαιρεσίας συνῳκοδομημένα καὶ πλαξὶ λιθίναις καὶ ζωγραφήμασιν ἐπεκόσμησεν, Ἰούλια αὐτὰ ἀπὸ τοῦ Αὐγούστου προσαγορεύσας («Agrippa dedicò i Saepta; invece di intraprendere il restauro di una via, adornò con tavole di marmo e pitture questo edificio del Campo Marzio, che era stato costruito da Lepido con portici tutto intorno per il voto dei comizi tributi e chiamò l’edificio Saepta Iulia in onore di Augusto»). Cf. Rich 1990, p. 157 ad loc.
24 Cic., Att., 4, 17, 7: efficiemus rem gloriosissimam; nam in campo Martio saepta tributis comitiis marmorea sumus et tecta facturi eaque cingemus excelsa porticu, ut mille passuum conficiatur. simul adiungetur huic operi uilla etiam publica. Per l’affinità anche architettonica dei due grandi progetti cesariani già Castagnoli 1984, p. 250.
25 In parallelo con i lavori nella Curia: D. C. Dio, 44, 5, 2-3: cf. Weigel 1992, p. 34-35; Allely 2004, p. 62-63 (per una datazione tra il 46 e il 40 circa; il terminus ante quem è chiaramente la rovina di Lepido nel 36: Roddaz 1984, p. 256-257); Hinard 2003, p. 346-347 (connessione con il trionfo ex Hispania del 43).
26 Come generalmente si ritiene in base a D. C., 44, 5, 2: Weigel 1992, p. 35. Per la difficoltà di armonizzare la storia del tempio con la cronologia delle opere cesariane nell’area: Liverani 2008, p. 45, con ampia bibliografia precedente.
27 Sull’attività augurale e in particolare l’azione di templum effari ora: Gargola 2017, p. 124-130.
28 Ten 2015; cf. de Caprariis 2018.
29 Castagnoli 1985, p. 205-211; Coarelli 1991.
30 In particolare la scelta della linea singola, che impedisce di interpretare i volumi, era stata già aspramente criticata da Piranesi (1756): «La Pianta in questi Marmi profilata, sembra essere opera di Professore inesperto, fatta senza intelligenza, e con linee le quali non hanno la loro dovuta distinzione architettonica; rendesi perciò poco intelligibile, ed oscura». La stessa frustrazione per la linea unica è condivisa da un altro architetto (di diverso spessore): Luigi Efisio Tocco, che paragona il «barbaro graffito» della Pianta Capitolina alla precisione e regolarità (e doppia linea) della pianta di Perugia: citazione in Tucci 2017, p. 157 e 2018, p. 261-262, sul contesto relativo anche ad un disaccordo scientifico con Canina.
31 Riprendo qui, con ampliamenti, alcuni argomenti trattati in de Caprariis 2016b, p. 83-89, cui rimando per ulteriore bibliografia.
32 Si vedano, ad es., le osservazioni di Migliorati 2017b, p. 36-37 sul tessuto urbano dove si è impostata la porticus Liuiae.
33 Talbert 2005, p. 627-635.
34 Soprattutto l’edilizia templare meriterebbe un’indagine a tappeto.
35 Behrwald 2006, p. 743-764.
36 Che è questione più semplice rispetto a «dove finisce la città?» dell’interrogativo di Silvio Panciera (1998, p. 9), parafrasato già da Jean-Pierre Guilhembet (2006, p. 90), che è testo di riferimento per molti degli argomenti che seguono.
37 de Caprariis 2016, p. 85. Oltre a quanto già argomentato è dirimente l’osservazione di Paolo Liverani, che mi fa presente come mausoleum Hadriani sia del tutto privo di attestazioni antiche (il monumento è conosciuto piuttosto come Antoninorum sepulchrum o sepulchrum Marci Antonini). Tenendo presente che l’iscrizione consente una veduta ortogonale, diritta rispetto all’osservatore ed è anche una tra le più grandi della forma, avevo brevemente ipotizzato che le lettere facessero parte della titolatura imperiale di Settimio Severo o di Caracalla: de Caprariis 2016b, p. 85 e nota 35, dove erroneamente è indicato rovescio grezzo anziché liscio. Mi era sfuggito anche Rodríguez 2001, p. 66-67 a proposito dei frammenti 606, 615, 617, 622 (considerazioni sulle caratteristiche comuni, lieve inclinazione a destra e lieve pendenza verso l’alto). Il frammento perduto 867, pur con qualche difficoltà, potrebbe essere anche questo legato alla titolatura imperiale. La questione, naturalmente, è se l’istinto di Lucos Cozza sia da seguire o meno: in altre parole se la collocazione sul filare più basso della griglia sia o meno soltanto una diretta conseguenza della lettura epigrafica. Non si può escludere la possibilità che il gruppo vada collocato altrove: in questo caso la grandezza delle lettere fa optare per una zona tendenzialmente esterna. Non mancherebbero interessanti possibilità per la prima linea MA (Nau]ma[chia o ]Ma[ecenatis), ma l’inizio parola della seconda linea restringe notevolmente le possibilità: ed è difficile associarla ad altro che al cognomen Hadrianus. L’area del tempio del Campo Marzio va valutata, ma si direbbe da escludere, per la lunghezza delle lettere che occuperebbero uno spazio eccessivo in un’area dove la lastra 35 (ed eventualmente quella contermine) è di grande densità monumentale.
38 In riferimento all’ampliamento pomeriale di Claudio prima, di Vespasiano e Tito poi, e in relazione anche a Plin., Nat., 3, 66-67 (e a una possibile “coda” domizianea): Guilhembet 2006, p. 90-108; ora anche Courrier 2017, p. 133-137, con bibl. ulteriore. L’interesse è oggi appuntato soprattutto sul Campo Marzio (ad es. Coarelli 2008, p. 299-308), ma anche il percorso meridionale, sia claudio che flavio, è tutt’altro che sicuro.
39 Sullo status eccezionale dell’accesso di Porta Capena, Gros 2006, p. 42-44; per la preminenza numerica tra le regioni e il prestigio della via Appia: Patterson 2000, p. 130-133. Sulla testimonianza di Her., 1, 12, 8, si vedano le considerazioni di Le Gall 2001, p. 59-60 e ora Galimberti 2014, p. 128-133.
40 Tra i diversi temi e problemi, la localizzazione ed estensione del campus Martialis è di particolare importanza per la valutazione del non abitato (l’ipotesi di Ferrea 2002, p. 61-73 di posizionamento dei frammenti 200 ab e 674 ac non ha trovato consensi: Coarelli 2012, p. 202-205, con bibliografia ulteriore). Per la cerimonia dell’arbor intrat in relazione alla basilica Hilariana l’argomento di un discrimine urbano è ora depotenziato (Pavolini – Palazzo 2013, p. 474-465; Asor Rosa – Petacco 2019, p. 115-117, con bibliografia ulteriore). Altra questione è la difficile localizzazione del macellum Magnum in quest’area, che è altra tipologia di edificio tradizionalmente periferico (Pavolini 2006, p. 19-22). Per lo status periurbano di alcune aree ancora dentro la cinta aureliana: Goodman 2007, p. 42-46, con bibl. Sul Celio la parte urbana appare limitata, e occupata sia dalla domus evidentemente nobiliare di un futuro imperatore (Coarelli 1997-1998, p. 209-218), sia – se coglie nel segno la lettura di Guilhembet 2011, p. 24-31 – da sordidae aedes a servizio e all’ombra del Palatino.
41 Chillet 2017, p. 111-113. Cf. anche Chillet 2011 sul carattere ambiguo e strategico della villa urbana di Mecenate. Sulla particolarità dell’intero versante sud-orientale, anche in aree più periferiche, ancora attuale l’analisi a ritroso del tempo di Coarelli 1986, p. 41-46).
42 Dove sarebbe notevole davvero considerare la presenza, in posizione strategica e arroccata, di un’enclave di Calpurni Pisoni e Plautii Laterani. In generale Guilhembet – Royo 2008, p. 204-205. Per il Laterano in questo periodo soprattutto Liverani 1998, p. 6-16; per una possibile prospettiva anche archeologica (e bibliografia ulteriore sulla questione): Spinola 2017, p. 77-80. Tra i rinvenimenti di prestigio spicca, come è noto, il Trono Corsini: sull’idea di passato, ma tesa a soddisfare ambizioni politiche attuali, che il manufatto testimonia, Torelli 1991, p. 66-67.
43 Schettino 2017, p. 81-83.
44 Per i castra severiani ora Busch 2018, p. 200-205 (con ampia bibl.); per i nuovi rinvenimenti Morretta – Rea 2018. Una sintesi complessiva e aggiornata sull’edilizia di età severiana a Roma in Palombi 2018.
45 La domus arroccata sulle mura serviane in corrispondenza del piccolo Aventino ha analogie con altre domus del potere più antiche. Per la connessione con le proscrizioni e la politica di incameramento di proprietà che caratterizza il periodo tra Commodo e Settimio Severo, mi permetto di rimandare a de Caprariis 2016b, p. 88-89.
46 Gowing 2016, p. 127-129, a proposito del rapporto di Cassio Dione con la città di Roma.
47 Lusnia 2014, p. 117.
48 Per una forma precedente quella severiana sulla parete dell’Aula del templum Pacis, alla bibl. citata in de Caprariis 2016b, p. 83-85 si aggiunga ora Tucci 2017, p. 130-131.
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Rome, archéologie et histoire urbaine : trente ans après l’Urbs (1987)
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