Il contributo delle fonti epigrafiche alla conoscenza della topografia dell’Urbe: novità, problemi e metodi
p. 55-68
Résumés
Il contributo si articola in due parti: nella prima, viene fatta una panoramica che, senza la pretesa di essere esaustiva, esemplifica i vari modi in cui l’epigrafia, negli ultimi 30 anni, ha contribuito a migliorare le nostre conoscenze sull’esistenza, la localizzazione e le vicende storiche di molti aspetti della topografia di Roma antica; nella seconda, ci si concentra sul problema della localizzazione – su base epigrafica – delle domus e delle attività commerciali, cogliendo lo spunto da due nuovi documenti di recente pubblicazione.
The study is divided into two parts: the first one is a survey of the most significant examples in which, in the last 30 years, epigraphy has contributed to improve our knowledge about the existence, the position, and the history of many aspects of ancient Roman topography; the second part is focused on the problem of the localization – based on inscriptions – of private domus and commercial activities, taking the chance to present two recently published documents.
Entrées d’index
Keywords : Roman topography, Latin epigraphy, domus, fistulae aquariae, Aventine
Parole chiave : topografia di Roma, epigrafia latina, domus, fistulae aquariae, Aventino
Texte intégral
1Che le fonti epigrafiche contribuiscano in modo determinante alla conoscenza della topografia di Roma antica è un’affermazione che non ha più bisogno di essere dimostrata. Se solo si indicizzassero tutte le iscrizioni citate nei 6 volumi del Lexicon topographicum Urbis Romae, editi tra il 1993 e il 2000, questo elenco occuperebbe decine di pagine, e potrebbe essere anche più lungo, se ai testi noti fino alla fine del XX secolo si aggiungessero quelli rinvenuti e pubblicati negli anni 2000. Allo stesso modo, la ricchezza degli indici topografici degli ultimi supplementi al volume VI del Corpus Inscriptionum Latinarum, dedicati alle iscrizioni imperiali, senatorie ed equestri, evidenzia al di là di ogni possibile dubbio la validità di questa affermazione1.
2Lo scopo che ci proponiamo con il nostro contributo, quindi, non è tanto quello di ribadire l’utilità e, anzi, la necessità di un uso consapevole di questa particolare classe di fonti antiche, quanto piuttosto quello di chiederci in che modo, con quali forme e con quali metodi le iscrizioni, nella loro estrema varietà, hanno contribuito in questi ultimi anni a migliorare o comunque ad aggiornare il quadro delle nostre conoscenze topografiche.
3Premettiamo, innanzi tutto, che non è né nelle nostre possibilità, né nella nostra volontà offrire in questa sede un panorama esaustivo di tutte le scoperte epigrafiche che, dopo la pubblicazione degli atti del convegno L’Urbs, nel 1987, sono venute ad arricchire la documentazione su questo argomento. Vorremmo, invece, dedicare la prima parte del nostro contributo a un’analisi ragionata, accompagnata da un congruo numero di esempi, della diversa tipologia di informazioni che le iscrizioni forniscono, e dei diversi modi in cui queste vengono acquisite e analizzate, soffermandoci poi, nella seconda parte, su due particolari aspetti di questo tema, e cioè l’individuazione e la localizzazione delle abitazioni private e lo studio della distribuzione, nel tessuto urbano, delle attività commerciali, artigianali e finanziarie.
[G.L.G., S.O.]
4Per un’analisi complessiva dei contributi recenti utili allo studio topografico della Roma antica si può partire dalla considerazione che informazioni di questo tipo si possono ricavare tanto dal testo delle iscrizioni quanto da elementi che prescindono dal loro contenuto, come il contesto di rinvenimento e le caratteristiche materiali del supporto (tipologia, dimensioni, elementi decorativi, tecnica di esecuzione).
5Nei casi più fortunati entrambe le categorie di informazioni sono presenti, e contribuiscono in modo determinante alla conoscenza dell’esistenza, della localizzazione e, più in generale, della storia di un monumento. Tra le scoperte epigrafiche più eclatanti degli ultimi anni, ad esempio, si possono annoverare i materiali iscritti rinvenuti nello scavo della Meta sudans, che hanno portato alla scoperta di un’area sacra in cui erano presenti un edificio restaurato da Claudio subito prima di essere distrutto dall’incendio neroniano, come apprendiamo dai frammenti dell’architrave iscritto, magistralmente integrati da Silvio Panciera2, e uno spazio destinato al culto imperiale, come è suggerito dalle dediche qui rinvenute3. A sottolineare il ruolo che nell’interpretazione di questo complesso ha l’epigrafia, è indicativo che proprio la mancanza del frammento centrale dell’architrave del tempio, in cui era verosimilmente espresso il nome dell’edificio, lasci ancora aperta la questione della sua precisa identificazione, per la quale si può pensare tanto alle Curiae Veteres quanto al templum diui Augusti4.
6Alla pubblicazione congiunta delle testimonianze archeologiche e di quelle epigrafiche, edite e inedite, dobbiamo anche un notevole passo avanti nella ricostruzione dell’aspetto e delle vicende storiche di monumenti noti da sempre, ma mai compiutamente pubblicati come il Mausoleo di Augusto, il cui corredo epigrafico, pur nella sua estrema frammentarietà, si è rivelato fondamentale per comprendere il ruolo-chiave che questo edificio era destinato a giocare nella propaganda imperiale, non solo augustea5, il Colosseo, le cui intense vicende edilizie, soprattutto in età tardoimperiale, emergono dallo studio di centinaia di frammenti riconducibili ad alcune lunghe iscrizioni monumentali, ciascuna in più esemplari e con il sovrapporsi di diverse fasi di scrittura6, o il Teatro di Marcello, che ha conosciuto una nuova fioritura di studi dedicati alla sua decorazione architettonica anche in considerazione dell’edizione di alcuni frammenti iscritti che impongono una riflessione sulla loro originaria collocazione7.
7Degno di nota, a questo proposito, è il confronto con il corredo epigrafico di un altro monumento imperiale i cui frammenti sono stati pubblicati negli ultimi decenni, e cioè il monumentum Claudianum, forse da identificare con l’ara Pietatis Augustae8, cui vanno attribuiti una serie di frammenti iscritti rinvenuti lungo il percorso dell’antica via Flaminia, tra le attuali via dell’Impresa e vicolo dello Sdrucciolo9. Benché i frammenti siano stati studiati «amplissime et lucidissime» – per usare le parole di Géza Alföldy10 – da Francesca de Caprariis11, infatti, la mancanza di resti archeologici cui agganciarli, dal momento che tutti questi materiali sono stati rinvenuti non in situ ma reimpiegati in una pavimentazione più tarda, lascia ampi margini di incertezza a qualsiasi ricostruzione, a conferma del fatto che le testimonianze epigrafiche esprimono al massimo le loro potenzialità quando i testi si possono studiare o almeno inserire virtualmente nei loro contesti di provenienza.
8Contesti che, naturalmente, non ci vengono restituiti solo da indagini archeologiche più o meno estese e prolungate, ma anche dalla documentazione d’archivio, che in questi ultimi anni si sta utilizzando sempre più sistematicamente, e che spesso va ad integrare le lacune della documentazione archeologica per monumenti – iscritti e non – resi ormai irreperibili dalle complesse vicende edilizie di una città come Roma. Un caso di esemplare collaborazione, su questo fronte, tra archeologi ed epigrafisti è costituito dall’iscrizione relativa ai restauri del Serapeo del Campo Marzio, il cui testo è noto solo da un appunto dell’archivio Gatti recentemente pubblicato12, che è andato a riempire di contenuto, in modo insperato, una vaga notizia pubblicata dal Mancini in Notizie degli Scavi e confluita, più o meno nella stessa forma, anche in una scheda – senza testo! – del supplemento al Corpus Inscriptionum Latinarum curato da Géza Alföldy nel 199613.
9A questo proposito, è chiaro che le iscrizioni di cui si conosce il contesto giocano un ruolo importante non solo nell’individuazione e nella localizzazione dei monumenti, ma anche, più in generale, nella ricostruzione dell’organizzazione e della definizione degli spazi urbani e delle loro suddivisioni.
10La protagonista di questo tipo di studi è indubbiamente, per la sua stessa caratteristica di documento che riunisce in sé indicazioni di natura prettamente topografica e informazioni affidate alla scrittura epigrafica, la Forma Urbis Seueriana14, cui non può mancare almeno un accenno, dal momento che le novità in questo campo non sono certo mancate. Si può dire che non passi anno senza che esca un nuovo studio in cui si propone un nuovo posizionamento o una nuova interpretazione di qualche frammento, anche se più sulla base di considerazioni di ordine storico e archeologico che per il – peraltro preziosissimo – strumento di lavoro costituito dalle riproduzioni in 3D dei frammenti disponibili grazie allo Stanford Digital Forma Urbis Romae Project15. Ma, soprattutto, non sono mancate negli ultimi anni le scoperte non solo di nuovi frammenti16, il più eclatante dei quali è senz’altro quello che ha permesso di integrare ulteriormente la lastra relativa al Circo Flaminio17, ma anche di nuove formae18, che confermano l’esistenza di più mappe catastali in uso a Roma in diversi luoghi e diverse epoche.
11Altrettanto prezioso è il contributo che viene da alcune particolari tipologie di monumenti iscritti alla conoscenza della viabilità e della delimitazione degli spazi pubblici. Lo dimostrano, solo per citare un paio di esempi significativi, gli studi che in questi ultimi anni Gian Luca Gregori ha dedicato alle testimonianze epigrafiche relative alla via Laurentina, in particolare al cippo relativo alla lastricatura di un tratto di 5000 piedi dell’antica sede stradale19 e all’iscrizione, in origine sulla spalletta di un ponte tra il V e il VI miglio, che ne commemorava un restauro all’epoca di Commodo20. Il rinvenimento in situ di un nuovo cippo di delimitazione delle rive del Tevere negli scavi condotti da Fedora Filippi in largo Perosi21, invece, è stato lo spunto per una serie di studi che portano a riflettere, più in generale, sul ruolo e il significato dei termini iscritti, di varia natura (cippi di acquedotti, del pomerio, di delimitazione tra terreni pubblici e privati) nel panorama epigrafico della città e in particolare sul rapporto che in questi si riscontra tra forma e contenuto22.
12Quella che abbiamo visto fin qui, tuttavia, è, in rapida successione, una carrellata di iscrizioni per lo più di dedica o di apparato, cioè una tipologia di testi dai quali era in qualche modo verosimile aspettarsi informazioni relative ai complessi monumentali cui appartenevano. Ancora più significativo è che dati interessanti per la topografia di Roma antica vengano, in realtà, anche da categorie di iscrizioni che è assai meno immediato e intuitivo pensare come fontes ad topographiam urbis Romae pertinentes.
13Un’autentica miniera di informazioni, ad esempio, è costituita dalle iscrizioni sepolcrali, che sono cosparse, qua e là, di riferimenti utili ad una migliore conoscenza della topografia di Roma, anche se non sempre espliciti e non sempre facili da utilizzare.
14Lasciando per il momento da parte le informazioni relative a botteghe e attività artigianali, che saranno approfondite nell’ultima sezione di questo contributo, vorrei citare almeno un esempio, tra i molti che si potrebbero fare, che mi pare abbastanza emblematico. È il caso dell’epitaffio, posto da P. Veracius Firmus ai suoi fratelli Proculus e Marcellus23, in cui si parla di una cohors piperariorum o piperatariorum e di una centuria Firmi che potrebbero fare riferimento all’organizzazione interna degli horrea Piperataria24, articolati in cortili (assimilati a una cohors) attorno ai quali si aprivano più ambienti di piccole dimensioni, proprio come documentano i resti archeologici dei magazzini delle spezie costruiti da Domiziano trasformando la porticus neroniana sul lato nord della via Sacra. Un’informazione che si cela tra le righe di un’iscrizione sepolcrale, dunque, può, se correttamente interpretata, confermare o precisare le testimonianze archeologiche relative a questo monumento, suggerendo la possibilità che alle articolazioni interne dell’edificio corrispondesse, come nel caso di altri horrea25, un’organizzazione collegiale dei lavoratori che qui svolgevano la loro attività. Naturalmente, le acquisizioni possono essere anche in negativo, nel senso che nuove scoperte o nuove letture vanno a volte ad eliminare toponimi rimasti a lungo nella storia degli studi. Una più convincente lettura dell’iscrizione sepolcrale dello scriba Bonifatius26, ad esempio, ha recentemente restituito la menzione degli atria M[ineruae], sgombrando il campo dal toponimo atria Traiani, in passato considerati equivalenti alle biblioteche del Foro di Traiano o identificati con la schola da localizzare nelle esedre dello stesso Foro27.
15Dati topografici interessanti vengono, poi, non da singoli documenti, ma da complessi di documenti epigrafici di varia natura la cui finalità principale non è strettamente legata alla storia della città e dei suoi monumenti ma che, se analizzati nel loro insieme e soprattutto nella loro corretta sequenza cronologica, con un occhio attento a questo genere di dettagli, sono in grado di fornire informazioni molto utili28.
16Esemplare, in questo senso, l’uso che Filippo Coarelli fa dei diplomi militari, il cui numero ha subito un’autentica impennata, negli ultimi anni, grazie ai numerosi esemplari recuperati e pubblicati da Andreas Pangerl e Werner Eck. Questi documenti venivano redatti in duplice copia: una da consegnare all’interessato e una da affiggere in pubblico a Roma come forma di archiviazione e controllo29. Non a caso, lo stesso Werner Eck ha recentemente lanciato la proposta, forse provocatoria, ma metodologicamente ineccepibile, di considerare i diplomi militari come parte integrante dell’epigrafia urbana30, dal momento che l’unica città cui questi testi erano amministrativamente collegati è, appunto, Roma, mentre le copie su bronzo destinate agli interessati, oltre ad essere soggette all’alea del loro frequente recupero sul mercato antiquario, seguono gli inevitabili spostamenti, in ogni angolo dell’impero, delle persone cui erano state consegnate. Nel testo dei diplomi è sempre presente l’indicazione del luogo in cui il documento originale doveva essere esposto, che varia nel corso del tempo, e dal modo in cui viene indicato è stato possibile formulare ipotesi sulla localizzazione di alcuni templi sul Campidoglio e sul loro rapporto con l’archivio per eccellenza della città, cioè il Tabularium31.
17Anche i Fasti non sono, di per sé, testi destinati a fornire innanzi tutto informazioni di tipo topografico. È innegabile, tuttavia, che proprio dai frammenti di alcuni importanti calendari rinvenuti recentemente sulla via Ardeatina e a Priuernum32, vengano notizie prima non disponibili su un mal conosciuto tempio di Iuppiter Victor in Capitolio33 e sul problema, assai dibattuto, dell’esatta ubicazione del tempio di Iuppiter Stator in Palatio34.
18Ancora non del tutto soddisfacenti, invece, mi sembrano i risultati che sono stati ottenuti dagli studi condotti in anni recenti sul complesso della documentazione epigrafica relativa ai prefetti urbani ai fini dell’individuazione della sede della praefectura Vrbis, in particolare in età tardoimperiale. È vero, infatti, che, tra tutte le iscrizioni che menzionano i titolari di questa carica, una percentuale significativa, anche se non particolarmente elevata, di testimonianze proviene dalla zona di San Pietro in Vincoli35, ma è anche vero che, come hanno rivelato le recenti scoperte negli scavi per la metro C in piazza Madonna di Loreto, lo stesso prefetto poteva essere attivo in più parti della città36. L’uso di queste testimonianze epigrafiche a fini topografici, dunque, andrebbe a mio avviso metodologicamente affinato, considerando non, indistintamente, tutti i monumenti posti da prefetti urbani nello svolgimento della loro carica, che, come abbiamo visto, possono non essere necessariamente legati al luogo in cui il prefetto aveva ufficialmente sede, ma solo quei documenti che hanno un legame diretto, esplicito o amministrativo, con tale sede, come, ad esempio, gli editti dei prefetti che dovevano essere lì esposti37.
19Un ultimo accenno, prima di passare agli approfondimenti relativi alle domus e ai luoghi della produzione e del commercio a Roma, vorrei dedicarlo ai contributi che alla conoscenza della topografia di Roma antica vengono da tipi molto particolari di iscrizioni o da progetti epigrafici per così dire “insospettabili”, dai quali, cioè, non ci aspetterebbe che potessero venire informazioni utili a questo scopo.
20Alla prima categoria appartengono le cosiddette iscrizioni di smontaggio, che negli ultimi anni stanno ricevendo un’attenzione di cui non avevano mai goduto in precedenza38. Mi riferisco, in particolare, al famoso graffito Pat(---) Deci39 rinvenuto nel 2000 sul piano di posa di un rocchio di colonna del tempio di Marte Ultore, ma anche ad altre iscrizioni che potrebbero essere interpretate nello stesso modo40. Si tratta, in genere, di indicazioni apposte su parti di monumenti inaccessibili se i monumenti stessi fossero stati ancora integri, che potrebbero contenere i nomi delle persone che avevano il diritto di sfruttare il materiale crollato come cava di elementi lapidei da riutilizzare. Se questa interpretazione è corretta, ne deriva che il settore del monumento in cui si trovano tali indicazioni era abbandonato e non più manutenuto o, meglio, che aveva cambiato destinazione d’uso, e questo ci fornisce un’interessante informazione sul processo di progressivo smantellamento e privatizzazione degli antichi edifici pubblici di Roma, che procedeva di pari passo con il venir meno delle istituzioni che li avevano resi necessari. Processo che sembra avere avuto un andamento “a macchia di leopardo” e aver riguardato sia interi monumenti che singoli settori di essi, che apparentemente continuavano ad essere utilizzati anche mentre una parte della struttura era già crollata o era stata rifunzionalizzata. Pure in questo caso è chiaro che l’epigrafia da sola non consentirebbe di trarre conclusioni di carattere topografico, ma, opportunamente contestualizzata e messa in rapporto con dati archeologici che sono frutto di una sempre maggiore attenzione anche agli strati post-classici o di abbandono di un sito, si rivela una fonte preziosa.
21Infine, un contributo insospettabile, sia pure non sempre in positivo, a una migliore conoscenza della topografia di Roma sta venendo da una revisione complessiva delle iscrizioni falsae di CIL, VI, nell’ambito del progetto nazionale “False testimonianze”, coordinato da Lorenzo Calvelli41. Riabilitare un testo o anche solo un dato di rinvenimento, a torto ritenuto spurio o, al contrario, provare la falsità di un testo fin qui ritenuto autentico, infatti, modifica la base documentaria a nostra disposizione, con conseguenze che, in alcuni casi, impattano anche con studi di carattere topografico. È il caso, ad esempio, dell’iscrizione CIL VI, 10046, finora utilizzata per lo studio delle sedi delle factiones nel Campo Marzio, ma recentemente riconosciuta come un falso da Maria Letizia Caldelli42, che ne ha rivelato la dipendenza da fonti antiquarie cinquecentesche e quindi l’inutilizzabilità come fonte per lo studio della topografia antica.
22La carrellata potrebbe continuare e gli esempi – positivi e negativi – si potrebbero moltiplicare, ma ci è parso più efficace, a questo punto, concentrare l’attenzione su alcuni casi di studio in cui si sono registrati notevoli passi avanti grazie ad un uso sapiente della documentazione epigrafica.
[S.O.]
23I progressi nelle conoscenze della topografia di Roma che si sono registrati in questi ultimi trent’anni trovano la miglior espressione, è il caso di ripeterlo, nei sei volumi del LTUR, editi tra il 1993 e il 2000. In particolare, abbandonante è stato l’apporto dell’epigrafia al tentativo di dare un nome ai proprietari di domus di cui ci siano pervenuti i resti, o solo postulate sulla base dei dati forniti dalle numerose fistulae ed eventualmente dalle iscrizioni onorarie provenienti da ambiti privati. Come si sa, a Roma, sotto il Principato, gli onori pubblici erano riservati agli imperatori e ai loro familiari, per cui senatori e cavalieri dovettero accontentarsi di onori e statue in privato43. Anche quando il luogo di ritrovamento o di conservazione non coincida con la collocazione originaria, resta almeno l’indizio certo di una abitazione in città44.
24La voce Domus del LTUR occupa più di 200 p. ed è articolata in 545 voci attribuite a una quarantina di autori45; C. Bruun ha apportato in seguito aggiunte e correzioni mettendo a frutto informazioni di archivio (in particolare i quaderni Colini) relative al ritrovamento di fistulae46.
25In effetti molte attribuzioni di proprietà devono ritenersi solo congetturali, a causa della vaghezza dei dati di ritrovamento (cui si aggiunge spesso l’incertezza se si tratti di materiali in situ o accumulati per un futuro riutilizzo). Da questo punto di vista un riesame dei dati di archivio può talora consentire autentiche scoperte o per lo meno permettere di recuperare dati che finora s’ignoravano47. Dal ritrovamento di una fistula non si può tuttavia ricavare in maniera troppo automatica la localizzazione di una domus e il nome del suo proprietario, tanto più che i casi di tubi di piombo rinvenuti in giacitura primaria e in contesti archeologici ben riconoscibili e databili sono rari. A parte la questione se la fistula sia stata trovata in situ o meno, non sappiamo naturalmente quanto fossero lunghe le condutture d’acqua e in ogni caso il nome impresso fotografa quello del proprietario della casa in un ben determinato momento. Il rischio è quello di moltiplicare domus e proprietari, quando invece le fistulae registrano soltanto i proprietari di una medesima domus in tempi diversi48. D’altra parte nulla impediva che una stessa persona avesse più proprietà (domus, uillae, horti ecc.) rifornite da condotte idriche e non sempre a una concentrazione di fistulae in un medesimo luogo (come nel caso delle pendici SO del Quirinale) corrisponde necessariamente un affollamento di domus, potendosi la circostanza spiegare anche con un castellum aquae, da cui partivano condotti diretti in varie direzioni.
26Un quartiere di Roma la cui vocazione residenziale è andata precisandosi negli ultimi anni grazie agli scavi della metro C è quello del Celio, dove il ritrovamento di una fistula recante il nome di L. Cornelius Pusio ha aperto il problema di come conciliare questo nuovo dato topografico con la famosa dedica su bronzo e con il ritratto rinvenuti in via IV Novembre49. Si aprono più scenari: esistevano più proprietà del medesimo personaggio? Vi è stato un cambiamento di residenza nel corso della vita? O invece sono stati i bronzi a essere spostati e accumulati nel sito dell’odierno Palazzo Campanari per procedere poi a una loro futura fusione? In definitiva non possiamo più essere certi che la domus di Pusione fosse sul Quirinale e non piuttosto sul Celio50. Il dubbio è legittimo anche a causa del fatto che restano ignote, nel primo caso, le esatte circostanze del ritrovamento.
27Gli interrogativi posti da questo recente ritrovamento devono indurre a una generale cautela: anche nel caso del senatore T. Auidius Quietus due fistulae vengono dal Quirinale, mentre una tabula patronatus a lui destinata proviene dall’Esquilino, ma associata ad altri frammenti di tavole in bronzo pertinenti a iscrizioni diverse51.
28Problemi analoghi possono riguardare anche le basi onorarie dedicate in luoghi privati, in virtù del cui ritrovamento sono state infatti ipotizzate e attribuite varie domus: pure i manufatti marmorei furono infatti, in molti casi, spostati dai luoghi originari e accumulati per essere calcinati. Altri proprietari di domus sono dunque destinati a essere cancellati.
29Soprattutto a partire dal II sec. e fino al IV/V è evidente anche la connotazione aristocratica del colle Aventino, nella regio XII: recenti sopralluoghi combinati ad accurate ricerche d’archivio hanno consentito di allungare la lista già nutrita dei senatori che qui avevano una propria residenza52.
30Se il frammento tuttora conservato nel portico della basilica di San Saba e che si è proposto di attribuire, sia pure ipoteticamente, a una base di statua per il senatore d’età traianea C. Iulius Quadratus Bassus, insignito degli ornamenta triumphalia al termine della seconda guerra dacica53, o quello, purtroppo perduto ma noto da un apografo di Guglielmo Gatti, rinvenuto in occasione della costruzione dell’attuale Palazzo della FAO e menzionante un esponente dei Virii, pontefice del dio Sole54, non fanno che confermare la fortuna dell’Aventino come luogo di residenze aristocratiche soprattutto a partire dall’età traianea, potrebbe gettare una luce parzialmente nuova sulle vicende del colle la spessa lastra, perfettamente conservata e casualmente recuperata durante un sopralluogo in una proprietà privata55, dove si legge (fig. 1):
Cn(aeo) Nerio Cn(aei) f(ilio) / Crispo / patrono / Hispania Citerior.
Fig. 1 – Aventino, dedica a Cn. Nerius Crispus (foto: Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma).

31Il personaggio non è altrimenti noto, ma deve aver avuto rapporti con la provincia di Hispania Citerior, se questa nel suo insieme lo scelse come patrono. Il modello più vicino è quello offerto dalle dediche di alcune comunità spagnole (Carietes, Ercauicenses e altre il cui nome non si è conservato), esposte nella porticus ad nationes, per il patrono L. Aelius Lamia, legato pro praetore dell’Hispania Citerior, dopo il suo ritorno a Roma nel 22 a.C.56.
32Il gentilizio Nerius è piuttosto raro. L’unico personaggio di rilievo che si conosca è un Cn. Nerius che, oltre allo stesso gentilizio, presenta lo stesso prenome del nostro personaggio. Di lui sappiamo che nel 56 a.C. citò in giudizio Sestius (lo stesso tribuno della plebe che Cicerone difese nella celebre orazione del medesimo anno) per una causa de ambitu. Grazie a monete dell’Oriente greco sappiamo anche dell’esistenza di un Cn. Nerius, questore urbano nel 49 a.C. (RRC 441)57. Il cognome Crispus a sua volta non è frequente in ambito senatorio: nella seconda metà del I sec. a.C. si conoscono solo il pretore Q. Marcius Crispus58 e lo storico C. Sallustius Crispus59, pretore nel 46 a.C.
33È possibile che il destinatario della nostra dedica fosse un discendente di questo Cn. Nerius, un figlio o un nipote, che avesse ereditato il cognome dal ramo materno, nell’ambito di una politica di alleanze che in età tardorepubblicana vedeva spesso unirsi in matrimonio esponenti di famiglie della stessa corrente politica oppure militanti su fronti opposti60?
34Il patronato sulle comunità della Hispania Citerior, unico caso finora attestato a Roma61, presuppone che Cn. Nerius Crispus fosse andato in quella provincia come governatore o legato di legione, se la dedica è posteriore alla riforma augustea delle province e all’attribuzione al principe della Hispania Citerior (denominata anche Tarraconensis); in caso contrario si potrebbe pure pensare a un questore62.
35Il nuovo testo, a giudicare almeno dai bei caratteri paleografici, dall’accurata ordinatio ad asse centrale63 e dall’uso del marmo, sembrerebbe in ogni caso inquadrabile all’inizio dell’età augustea, anche in base ai confronti con altre dediche di province poste a Roma in onore di senatori, che poi cessarono a favore del solo principe.
36La tentazione di riferire l’iscrizione al contesto antico dell’Aventino è veramente forte, tanto più se si pensa alla datazione qui proposta, relativa a un periodo in cui fonti letterarie ed evidenze archeologiche indicano come inizio della moda ostentata di abitare il colle Aventino da parte di aristocratici e homines noui, finora poco documentata per via epigrafica.
37Murature di varie epoche, in genere riposizionabili anche grazie alle testimonianze di archivio, materiali in prevalenza marmorei disposti nei giardini delle case come abbellimento dal gusto antiquario o, in casi di maggiore pregio, conservati presso i principali musei di Roma, aiutano a ricostruire il fitto tessuto abitativo antico che senza soluzione di continuità doveva rivestire tutto il colle Aventino.
38Sempre come frutto delle indagini archeologiche preventive e di tutela svolte sul campo dalla Soprintendenza statale nel corso dell’ultimo decennio e che hanno fornito un concreto impulso alla conoscenza della topografia antica dell’Aventino aggiungo, limitatamente ai documenti epigrafici, perché di recente recupero il frustulo iscritto fortuitamente rinvenuto in un terreno privato presso il cosiddetto mausoleo di Cilone e attribuito a nuovi fasti dei magistri Fontani, forse di II sec.64, e il mosaico iscritto da piazza Albania, con la lista di alcuni personaggi che a proprie spese pavimentarono quel che sembra configurarsi, almeno nella sua fase di età traianea, come un sacello o la sede di un collegio65.
39Nel convegno L’Urbs del 1985, interventi specifici sulla topografia dell’artigianato e del commercio da una parte e della vita finanziaria dall’altra, erano stati affidati rispettivamente a J.-P. Morel e a J. Andreau66. Anche su queste tematiche non sono mancate le novità epigrafiche in questi anni, che hanno da un lato confermato quanto già si sapeva (come nel caso del commercio di prodotti di lusso lungo la via Sacra)67, dall’altro hanno offerto nuovi elementi, sia pure talora di interpretazione non univoca (vd. infra).
40Nuove sintesi sulla distribuzione delle attività produttive e commerciali dentro Roma sono state tracciate di recente da F. Coarelli, che ha richiamato l’attenzione sulla possibilità che i naualia e i portus, talora menzionati nei testi, vadano interpretati come depositi di laterizi, verosimilmente numerosi a Roma68, e da G. Di Giacomo, che ha saputo valorizzare indizi e documenti epigrafici di varia provenienza (compreso il cd. instrumentum domesticum)69. Mi limito a citare il caso dei colini in bronzo, rinvenuti nei pressi di Vindobona e Durostorum, ma prodotti a Roma, in circo Flaminio, da M. Vlpius Eufrates e L. Cassius Ambrosius70.
41Vorrei qui aggiungere un caso, edito di recente, che apporta un contributo non secondario sulle attività finanziarie dell’Urbe. Si tratta della fronte di una base onoraria, rinvenuta a Gaeta in reimpiego e relativa a un liberto imperiale che aveva svolto una parte considerevole delle sue funzioni a Roma, padre di un duoviro della colonia di Formiae, avo di due cavalieri romani, e che era stato insignito dall’ordo decurionum sia del bisellio, sia degli ornamenta decurionatus71.
42In questa sede importa, tra i vari incarichi menzionati, quello di nummularius in aede Herculis Oliuari, per le sue evidenti implicazioni di carattere topografico. Prima che venisse pubblicata questa iscrizione, l’unica menzione di Hercules Oliuarius ricorreva sul plinto mutilo di una statua, opera di Scopa minore, rinvenuto nei pressi del tempio circolare del Foro Boario72. Oliuarius era stato interpretato come epiteto popolare attribuito a Hercules Inuictus o Victor, in quanto «son temple était inter oliuarios», dunque in relazioni ai commercianti di olio73. La nuova iscrizione pone ora il problema della relazione topografica di questa aedes con l’attività di nummularius svolta (dentro o fuori al tempio?) in questo caso da un liberto imperiale74 e del rapporto di questa con le funzioni proprie di un nummularius.
43Commercianti e artigiani erano soliti indicare la loro attività con riferimento a un tempio, ma in genere non troviamo la preposizione in, bensì ab75. Per quanto riguarda in particolare argentarii e nummularii, conoscevamo finora, in riferimento a luoghi sacri, solo un nummularius a Mercurio Sobrio (d’incerta localizzazione), cui si aggiungono un argentarius e un nummularius ab sex areis (evidentemente soci in affari), nonché un paio di argentarii post aedem Castoris76. La presenza di banchieri nel foro Boario, dove esercitava il nostro liberto imperiale, è assicurata anche dalla dedica di argentarii e negotiantes boarii a Settimio Severo e agli altri membri della famiglia imperiale77. La novità, nel nostro caso, è rappresentata dalla attestazione di un nummularius presso un luogo di commercio, circostanza che permette di correggere l’affermazione che «en ces lieux commerciaux on ne rencontre jamais de nummularii, même aux IIe et IIIe siècle ap. J.-C., à une époque où ces derniers étaient devenus, eux aussi, des banquiers de dépôt» 78. In ogni caso non conosco a Roma altri casi di attività svolte in aede79, espressione che secondo Nicolas Purcell alluderebbe al luogo preciso nel quale il liberto riscuoteva le scripturae80.
44L’epigrafia, dunque, per quanto riguarda la topografia di Roma, può aiutare sì ad affrontare e magari a risolvere vecchie diatribe, ma più spesso pone nuovi interrogativi cui finora non si era affatto pensato. [G.L.G.]
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Con buona pace delle poche pagine dedicate all’argomento da Rankov 2018.
2 Ai primi due frammenti, rinvenuti nel 1989 e ora pubblicati in CIL VI, 40417, si aggiunga quello scoperto in seguito e edito da Panciera 1994-1995 = AE 1997, 128. Vd. anche EDR092881.
3 La base rivestita di bronzo di una statua di Tiberio (CIL VI, 40334 = EDR092834) e una lunga base parallelepipeda rivestita di lastre marmoree iscritte con i nomi dei membri della famiglia giulio-claudia (CIL VI, 40307 = EDR092818).
4 Una sintesi delle diverse posizioni si trova in Panella 2012; sull’argomento è tornato recentemente Coarelli 2016, che propende per l’identificazione dell’edificio con il sacrarium diui Augusti.
5 Come ampiamente illustrato da Panciera 1994, i cui risultati sono confluiti in CIL VI, 40356-40410.
6 Per cui mi sia permesso di rinviare, in particolare, a Orlandi 2004, p. 57-159.
7 Per cui si veda il recente volume di Ciancio Rossetto – Pisani Sartorio 2017, in particolare p. 153-163, 177-179 e 185-191.
8 Su cui vd. la sintesi di La Rocca 1999.
9 Ai frammenti editi in CIL VI, 40420-40430 e 41055 si aggiunga quello pubblicato da Kosmopoulos 2015 (= EDR162801), non confluito né nell’AE 2015, né in Epigraphica Romana (http://www.epigraphica-romana.fr/notice/projet).
10 In CIL VI, 8, 2, p. 4416.
11 de Caprariis 1993.
12 Per cui vd. Ten – Giovagnoli 2017 (= EDR125295 e EDR165233). Cf. anche il contributo di A. Ten in questo stesso volume.
13 CIL VI, 40599, su cui vd. anche Orlandi 2017a, p. 49.
14 Su cui vd. contributo di F. de Caprariis in questo stesso volume.
15 http://formaurbis.stanford.edu/index.html. Vd. comunque Koller – Levoy 2006.
16 Come quelli pubblicati nel volume di Meneghini – Santangeli Valenzani 2006, p. 13-39 (tra cui, in particolare, AE 2006, 186 = EDR112118) e da Meneghini 2014.
17 Pubblicato da Filippi – Liverani 2014-2015 (= EDR105753).
18 Per cui si veda la sintesi di Meneghini 2016 (tra cui si segnalano i frammenti iscritti AE 2002, 230 = EDR136327 e AE 2011, 134 = EDR142612).
19 AE 2006, 185 = EDR003049.
20 AE 2008, 240 = EDR033307.
21 AE 2015, 116 = EDR158758.
22 Vd., ad esempio, Gregori 2019.
23 AE 1994, 297 = EDR001438.
24 Su cui vd. Piranomonte 1996.
25 Vd. ad esempio le osservazioni di Virlouvet 2006 sull’organizzazione interna, articolata intorno a tre corti, degli horrea Galbana.
26 CIL VI, 9446 = 33808 = ICUR I, 1549 = EDR123742 = EDB31375
27 Vd. in proposito le osservazioni di P. Liverani in Di Stefano Manzella 1997, p. 230.
28 Vd., ad esempio, lo studio dei possibili luoghi di esposizione dei laterculi militum in De Martini 2012 o l’analisi dei dati topografici presenti nel senatus consultum de Cn. Pisone patre condotta da Coarelli 2003.
29 Cf. anche, come ulteriore esempio di questa modalità di archiviazione, l’uso di esporre i nomi dei uiatores quaestorii sulla parete del Tempio di Saturno, come prescritto dalla lex Cornelia de XX quaestoribus (CIL I2, 587 = EDR168022).
30 Eck 2008.
31 Ipotesi e indicazioni bibliografiche precedenti sono raccolte e discusse da Coarelli 2019, p. 47-66.
32 Pubblicati, rispettivamente, da Vella 2010-2011 (il cui testo è confluito in AE 2010, 223 = EDR121793) e da Zevi 2016 (per cui vd. EDR158013 e EDR160392).
33 Sulla cui localizzazione è tornato recentemente Coarelli 2014, p. 158-164.
34 Su questo particolare aspetto dei Fasti di Priuernum vd. Zevi 2014, con discussione della bibliografia precedente.
35 Come sottolineano Amoroso 2007 e Marchese 2007.
36 Orlandi 2010, p. 125-126.
37 Vd. a questo proposito le considerazioni sviluppate da Orlandi 2013, p. 51 nota 21 e le conclusioni simili cui, indipendentemente, è giunto Coarelli 2019, p. 384-386.
38 Si vedano, in proposito, le sintesi di Palombi – Spera 2015, p. 47-48, Santangeli Valenzani 2015 e Orlandi 2017b, p. 217-218.
39 Letto Pat(rici) Deci dai primi editori, seguiti dalla maggior parte degli studiosi (AE 1996, 244 = EDR003101). Cf. la lettura Pat(rimonium) Deci, o Pat(ronatus) Deci proposta da Spera 2015, p. 253, la cui ipotesi di interpretazione come iscrizione “di montaggio” appare, tuttavia, meno convincente.
40 Raccolte recentemente da Orlandi 2017b, p. 217-218.
41 Su cui vd. la presentazione di Calvelli 2018.
42 In corso di pubblicazione da parte di Caldelli c.s.
43 Chioffi 1998-1999.
44 Panciera 2006, p. 1177-1178.
45 LTUR, II, 1995, p. 22-217; V, 1999, p. 242-256; cf. Chioffi 1999.
46 Bruun 2003.
47 Per le domus del Quirinale vd. ora la messa a punto di Coarelli 2014, p. 245-326, che ricorda come in linea di massima i nomi dei proprietari fossero impressi sulle fistulae solo all’inizio della conduttura (in corrispondenza del castellum aquae) e per i 50 piedi successivi e poi alla fine del percorso (almeno stando a Frontino); per cui una fistula trovata in situ in un luogo non prossimo a un castellum è indizio della presenza di una domus.
48 Pericolo su cui richiama l’attenzione Coarelli 2014, p. 263.
49 Morretta – Orlandi – Palazzo 2021 (= EDR170664), con vari esempi che devono indurre alla prudenza nell’interpretazione in chiave topografica delle informazioni offerte sia dalle fistulae sia dalle basi onorarie.
50 Eck 1995a.
51 Eck 1995b.
52 Per un quadro generale delle ricerche in corso sull’Aventino vd. Capodiferro – Mignone – Quaranta 2017.
53 Gregori 2007 = EDR114092.
54 Gregori – Rustico 2019 = EDR171931.
55 Gregori – Rustico 2019b = EDR173513.
56 CIL VI, 41034-41041 = EDR072155, 077960-077966. Nella medesima cornice urbanistica gli Arelatenses onorarono un decennio prima Ap. Claudius Pulcher (CIL VI, 41046 = EDR093330) e nel 14 a.C. i Damasceni e i Seleucienses M. Licinius Crassus Frugi (CIL VI, 41052 = EDR111916). Vanno invece immaginate in un contesto privato, analogo al nostro, le dediche di statue di otto comunità bitiniche al proconsole Rufus loro patrono (CIL VI, 41054 = EDR0933337) e dei Sextani Arelatenses a L. Cassius Longinus (CIL VI, 41045 = EDR073154). Fuori Roma segnalo il caso di CIL X, 6319 = EDR156797, da Terracina: [L(ucio)] Liuio [L(ucii) f(ilio) Ocellae] / [q(uaestori)], aed[ili pl(ebis), praet(ori)] / Hisp[alenses] o Hisp[ania Citerior], su cui Coppola 1989, p. 52, nr. 28; Eck 1996, p. 147-154.
57 Münzer 1936; cf. Broughton 1952, p. 259 (per il questore). Elvers 2000 distingue il questore del 49 a.C. dall’omonimo Nerius del 56 a.C.
58 Sulla carriera di Q. Marcius Crispus vd. ora le precisazioni di Ryan 1997 (Broughton 1952 collocava la sua pretura attorno al 46 a.C.).
59 Broughton 1952, p. 295-296.
60 Cf. Gregori 2016, con altra bibl.
61 Non sappiamo quali rapporti avesse legato al conuentus Carthaginensis Q. Caecilius Q. f. Oinogenus, presupposti da un plinto di statua con dedica (CIL VI, 41083-41084 = EDR093358-093359). Ad Augusto la provincia di Spagna Ulteriore da lui pacificata dedicò nel suo foro un oggetto d’oro del peso di 100 libbre (CIL VI, 31267 cf. p. 3778, 4340 = EDR100525). Cf. per lo stesso Augusto anche la monumentale dedica: Imp(eratori) Caesari [diui f(ilio) Augusto pontifici maximo?] / tribunic(ia) po[t(estate) ---] prouin[cia ---] (CIL VI, 31266 cf. p. 3778, 4340 = EDR121543).
62 Ozcáriz 2009.
63 Come nota Panciera 2006, p. 43, è solo dalla seconda metà del I sec. a.C. che si riscontra un uso sempre più frequente dell’impaginazione ad asse centrale, anticipando l’esplosione e la predominanza assoluta del I sec. d.C.
64 Alcuni altri esemplari si conoscevano da questa stessa zona ma solo grazie alla testimonianza di Pirro Ligorio, per cui la loro attendibilità è stata messa in discussione; Gregori – Narducci – Rustico 2018 = EDR169918, 169919.
65 Rustico – Narducci – Gregori 2018 = EDR167107.
66 Morel 1987; Andreau 1987. Sui mestieri della finanza (nummularii, argentarii etc.) vd. ora il contributo di Soricelli 2016 e N. Tran in questo volume.
67 Un nuovo aurifex in AE 1991, 106 = EDR000843; un bublarius in AE 1991, 287 = EDR000851; si aggiunge ora una dedica di seconda metà II sec. a.C. di gemmarii e lanii (Di Giuseppe 2017 = EDR170517); cf. anche Papi 2002 e di recente Di Giacomo 2010; Di Giacomo 2016a.
68 Coarelli 2016, p. 121; cf. Gianfrotta 2009, p. 153-154; Chioffi 2012; Zaccaria 2014, p. 19.
69 Di Giacomo 2016b; cf. Coarelli 2016.
70 Di Giacomo 2016b, p. 172-173.
71 Arnaldi – Cassieri – Gregori 2013; AE 2013, 216 = EDR135392; cf. Gregori – Incelli 2018, p. 43-44 nr. OD 7.
72 CIL, VI, 33936 = EDR071652: [Hercules Inuictus cognominatus uolg]o Oliuarius. Opus Scopae minoris. Cf. Coarelli 1988, p. 92-103, 180-204; Coarelli 1996.
73 Morel 1987, p. 144, seguendo Palmer 1976-1977, p. 143, 150-151.
74 Oltre al nostro come caso sicuro conosco solo quello di P. Aelius Aug. lib. Liberalis, che fu tra l’altro praepositus mensae / nummul(ariae) f(isci) f(rumentarii) Ost(iensis): CIL XIV, 2045 = EDR140073, su cui ora Gregori – Incelli 2018, p. 34-35, n. OD 1.
75 Conosciamo tra gli altri tre eborarii ab Hercule Primigenio (CIL VI, 7655 cf. p. 3432, 3852 = EDR171205; AE 1968, 37 = EDR074738; AE 1990, 76 = EDR081608), un uestiarius ab aede Cereris (CIL VI, 9969 cf. p. 3896 = EDR171204), un lanius ab luco Lubentinae (CIL VI, 33870 cf. p. 3896 = 37775a = CIL I2, 1411 cf. p. 840, 980 = EDR071756)...
76 Vd. rispettivamente CIL VI, 9714 cf. p. 3895 = EDR170334; CIL VI, 9178 cf. p. 3895; CIL VI, 363 cf. p. 3005, 3471 = 10024 = 30748 = EDR134985; CIL VI, 9177 cf. p. 3895 = EDR171206.
77 Andreau 1987, p. 166.
78 Andreau 1987, p. 167.
79 Cf. tuttavia il caso di AE 1940, 65 (Ostia) = EDR073447: D(is) [M(anibus)]. / Q(uinto) Turra[nio ---] / VIuir(o) Aug(ustali) id[em ---] / in templo fori [---] …, dove solitamente si integra [corporato] in templo fori [uinari].
80 L’opinione è stata espressa nel corso della conferenza dal titolo The tithe of Hercules: Roman merchants, finance and the community (BSR, 15 febbraio 2017), che si può ascoltare al link https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=iAk0ZlYDuCI.
Auteurs
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Gian Luca Gregori
Sapienza Università di Roma - giancluca.gregori@uniroma1.it
-
Silvia Orlandi
Sapienza Università di Roma – silvia.orlandi@uniroma1.it
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