Considerazioni preliminari: sull’uso del termine e della nozione di polis, sul ruolo della ktisis, sull’importanza del nome di una polis
p. 3-6
Texte intégral
1Per cominciare, una spiegazione sull’uso che farò dei termini «polis » e «città». Userò il termine polis (scritto con l’alfabeto latino) per designare un organismo politico del tipo che i Greci antichi chiamavano πόλις, userò invece il termine ‘città’ per parlare di un insediamento che sia pienamente o almeno parzialmente conforme al nostro concetto moderno di insediamento urbano – pur sapendo che nel greco antico il termine πόλις poteva designare, a seconda del contesto, o un organismo politico, o una città, o l’uno e l’altra insieme. Come è noto, ogni πόλις-organismo politico aveva il suo centro politico-religioso in una πόλις-città. Però non ogni πόλις-città era il centro di una πόλις-organismo politico: contrariamente a Mogens Herman Hansen e Thomas Heine Nielsen1, suppongo che nelle età arcaica e classica non fossero rari i casi di insediamenti che avevano funzioni urbane ed erano chiamati πόλεις senza essere centri di organismi politici. Di πόλεις-organismi politici che avevano più di una πόλις-città avrò appunto occasione di parlare nei tre capitoli di questa Parte Prima.
2I ragionamenti esposti in questa Parte Prima sono guidati da determinate convinzioni riguardanti la nozione di polis, la natura e il ruolo di ciò che i Greci antichi chiamavano κτίσις o οἴκισις, l’importanza del nome che una polis riceveva all’inizio della sua esistenza, e il valore delle date che i testi antichi assegnano alle singole ktiseis. Ritengo opportuno presentare fin dall’inizio chiaramente le mie convinzioni, che sono contrarie al modo di pensare di molti studiosi (non di tutti, per fortuna).
3Quanto più progredisce l’esplorazione archeologica dei resti delle poleis coloniali dell’età arcaica (sia dei loro insediamenti urbani, sia degli insediamenti rurali nei loro territori), tanto più si rafforza tra gli studiosi (non solo archeologi, ma anche storici) l’opinione che molte di queste poleis si siano formate un po’ alla volta, durante parecchi anni o parecchi decenni, e che la concezione dei Greci antichi secondo cui esse sarebbero state create in un momento determinato per mezzo di un atto di fondazione (κτίσις o οἴκισις), faccia parte dell’«immaginario» civico e sia di secondaria importanza per noi, se vogliamo conoscere la storia reale2. Questo modo di pensare non mi sembra corretto. Ragionando così, si usa il termine greco πόλις impropriamente, senza rendersi conto che la nozione di polis con cui si opera è una costruzione moderna: non si prende in considerazione il fatto che ciò che dal nostro punto di vista è l’«immaginario» civico era una componente essenziale di ciò che i Greci antichi chiamavano πόλις.
4Per i Greci antichi, le poleis – se non tutte, almeno quelle nate nell’età che noi chiamiamo arcaica – erano delle entità create da un atto rituale, compiuto in un determinato momento da un individuo o da due o tre individui. L’atto di fondazione di una polis era per loro un atto simbolico performativo che creava, sul piano della realtà puramente pragmatica e su quello – non meno, anzi più importante – dei rapporti tra gli uomini e gli dèi, un essere collettivo dotato di una sua identità – un’identità ideale, non riducibile alla realtà empirica della comunità esistente e trasformantesi nel tempo3. In un certo senso, una polis in quanto comunità politico-religiosa rimaneva, nella coscienza collettiva dei suoi membri, sempre identica a sé stessa, finché non venisse dissolta violentemente da una forza esterna o non fosse trasformata, mediante un nuovo atto di fondazione, in una nuova polis4.
5L’atto rituale di fondazione, che stabiliva il nome della polis, andava probabilmente insieme con la proclamazione di decisioni riguardanti almeno alcune delle istituzioni politico-religiose (τὰ νόµιµα) che dovevano regolare la nuova comunità: questo mi sembra si possa ricavare da un passo di Tucidide, VI, 4, 3-4.
6Naturalmente, la ktisis era preceduta da un processo di insediamento che poteva durare anche parecchio tempo, e parecchio tempo poteva passare prima che una polis diventasse sufficientemente forte per poter far fronte a eventuali pericoli. Tuttavia un nuovo insediamento diventava una polis solo al momento dell’atto di ktisis, e a partire da quel momento era una polis compiuta.
7È questo che spiega l’importanza e la persistenza del ricordo della ktisis nella memoria collettiva dei cittadini, così come l’esistenza del culto del fondatore o dei fondatori e l’uso di celebrare l’anniversario della fondazione.
8Le numerose date di ktisis che i testi antichi ci trasmettono – date che per lo più, alla luce delle testimonianze archeologiche, possiamo considerare approssimativamente giuste5, sebbene in qualche caso si rivelino gravemente errate – si riferiscono all’atto rituale della fondazione di una polis, non di un insediamento urbano privo di identità politico-religiosa. Tramandate a lungo all’interno delle singole poleis fondate nell’età arcaica, le informazioni sulla loro ktisis furono poi elaborate e trasformate in date annue nelle opere degli eruditi-cronografi.
9Occupandomi della storia della polis di Olbia Pontica, ho osservato che gli studiosi che hanno lavorato in questo campo non hanno riflettuto abbastanza sul ruolo del nome proprio di ogni polis. Almeno nelle età arcaica e classica, il nome che una comunità civica riconosce come suo (e che è di solito identico al nome della città che è il centro della sua vita politica e religiosa, ma a volte è diverso, come per esempio nel caso di Olbia) fa parte della sua identità, e per conseguenza, finché una comunità civica continua a esistere, conserva il suo nome. La persistenza di una polis implica la persistenza del suo nome.
10Bisogna però aggiungere che l’inverso non è vero: il fatto che un nome di polis sia legato a un determinato luogo durante un lungo periodo, non basta a provare che durante tale periodo sia esistita in quel luogo una sola polis portante tale nome. Se una polis è stata dissolta e se qualche tempo dopo, o immediatamente dopo, nel sito che essa aveva occupato, o non lontano da esso, viene fondata, da un nuovo οἰκιστής (o κτίστης), una nuova polis col nome di quella scomparsa, l’identità del nome testimonia che il fondatore ha voluto che il suo atto di ktisis istituisse una parziale continuità tra la nuova polis e la polis precedente. Rimane però vero che la polis rifondata col vecchio nome è una nuova polis.
11In questa Parte Prima metterò queste mie convinzioni alla prova di ricerche concrete su insediamenti della costa settentrionale del Mar Nero. Avrò modo, tra l’altro, di mostrare che, poiché l’identità di ogni polis era concepita dai Greci come essenzialmente immutabile, poteva accadere che una polis spostasse la sede delle attività politiche e religiose centrali (in altre parole, il luogo dell’assemblea dei cittadini e delle riunioni degli organi dirigenti, così come il luogo dei culti civici principali), senza con ciò cambiare di nome e di identità.
Notes de bas de page
1 Hansen, Nielsen 2004, p. 52: “… in the eyes of the Greeks, every polis town was the centre of a polis state, and every polis state was centered on a polis town. This conclusion is valid for the Classical period, and especially for C4. To a large extent it is valid for the Archaic period too, as appears from section (3) supra and from the information assembled in the Inventory below. However, it must be remembered that, although the archaeological evidence about Archaic settlements grows rapidly every year, the collected data are still much too scanty to allow of any firm conclusion”.
2 Una manifestazione particolarmente significativa di questa tendenza è Osborne 1998. Un’opinione contraria è stata espressa da Malkin 2002. Su questo problema sono pienamente d’accordo con I. Malkin.
3 Si obietterà che in tutta la Politica di Aristotele non si parla mai della ktisis di una polis, e che tutta la riflessione teorica di questo autore riguardante la polis è concentrata esclusivamente sui rapporti tra gli uomini, lasciando nell’ombra i rapporti tra la comunità civica e gli dèi e gli eroi che essa venera. Questo è vero, ma bisogna vedere Aristotele criticamente, storicamente. Aristotele era abituato a ritagliare dall’insieme della realtà sociale la materia politica, come facevano gli storici suoi contemporanei. (Particolarmente significativo, sotto questo riguardo, è un passo della Politica, III, 1280 b 29-1281 a 2: qui, eccezionalmente, le θυσίαι sono menzionate, ma lo sono soltanto come una delle numerose istituzioni che servono alla sociabilità, a τὸ συζῆν). Inoltre, per lui personalmente il divino non era là dove lo vedeva la comunità civica. Che l’aspetto religioso della polis fosse ben presente e importante nel pensiero collettivo dei politai al tempo di Aristotele e ancora più tardi, durante molti secoli, lo mostrano innumerevoli iscrizioni: queste provano quanto siano unilaterali le rappresentazioni storiche costruite dagli storici antichi.
4 Un caso a parte è quello di una polis che decide di annullare la validità dell’atto simbolico che l’ha fatta nascere, e di attribuire la ktisis a un altro fondatore: questo è ciò che fece Katane, secondo Tucidide VI, 3, 3, e ciò che fece Amphipolis, secondo un passo del testo tucidideo che ritengo interpolato, ma non per questo poco attendibile, V, 11, 1. Questi casi eccezionali confermano il carattere simbolico-religioso della ktisis.
5 Molte delle informazioni cronologiche fornite dalla Periegesi dello Pseudo-Skymnos sono state giudicate erronee dagli studiosi moderni, ma questi giudizi, a mio parere, sono nati da interpretazioni erronee di quel testo, come ho cercato di dimostrare nel libro Bravo 2009 (a).
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