Visioni della Grande guerra Volume I
|Parte seconda. Filmare “dal vero”
Capitolo 7. La potenza del falso dei “dal vero”
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1La discussione sull’intervento di scaltra messa in scena di “falsi” e di “manipolazione” delle azioni oggetto della narrazione dei “dal vero” della guerra da parte dei cinematografisti, è stata a giudizio di chi scrive ampiamente sopravvalutata. La resistibile forza del dibattito è consistita innanzitutto nell’attenzione dedicata ai nervi audiovisivi scoperti, e complementari, che stanno a cavallo tra verità e menzogna, vero e falso, al cuore della natura opaca e porosa di immagini per nulla conciliate, e resistenti a letture univoche.
- 1 Cfr. François Jost, Realtà/Finzione. L’impero del falso, Il Castoro, Milano, 2003.
2Gli argomenti messi in campo per intervenire sul tema sono significativi, dal momento che chiamano in causa lo statuto ontologico stesso di filmati che si propongono sin dal nome di certificare con la genuinità referenziale di ciò che mostrano la propria “autenticità”, quale documento di ciò che si dà di fronte alla macchina da presa, e che sarebbe comunque, non diversamente, accaduto anche senza la presenza di quest’ultima. La dicotomia vero/falso e la correlata contrapposizione radicale (e illusoria) finzione/documentario, andate sfumando nel corso del Novecento sia in sede teorica che analitica a tutto vantaggio di un discorso critico più dialettico e aperto alla produttività di forme plurime di ibridazione testuale1, oggi vanno lette storicamente come il frutto del disagio percepito dallo spettatore e dal critico dell’epoca di fronte a immagini cariche di promesse ma perlopiù vuote di risposte e, anzi, gravide di dubbi. La frustrazione ermeneutica cerca sempre delle valvole di sfogo, e il pubblico degli anni Dieci, ancor prima della Guerra mondiale, era già cosciente delle “falsità” del cinematografo in armi. Si ripensi alle considerazioni oneste di Prezzolini, che sulle immagini della guerra di Libia si era espresso con parole di cui qualche anno dopo non si era forse persa del tutto memoria:
- 2 G. Pr. [Giuseppe Prezzolini], La guerra e il cinematografo, cit., p. 877.
So bene, so bene che queste scene son riunite insieme, rappezzate e ricucite con spettacoli d’esercitazione piuttosto che con l’immediata veduta delle battaglie. Ma per quanto si sia fatto, ci resta dentro tanta realtà e tanta immediatezza che basta a condurci laggiù. Si è detto che le migliori corrispondenze non sono state quelle dei giornalisti, ma le lettere dei soldati; ed è spesso stato vero. Ma dove una più bella corrispondenza del cinematografo?2
3È d’altro canto fuorviante immaginare oggi che gli spettatori accettassero tutto senza porsi problemi di “genuinità” dei testi. Basti al proposito ricordare uno dei tanti esempi documentati di risposta piccata da parte di un pubblico pagante nei confronti di immagini della guerra libica non molto differenti da quelle che saranno poi alle stesse persone proposte all’inizio del primo conflitto mondiale. Scrive nel 1916 su «Cinemagraf» un testimone d’illustre schiatta:
- 3 F. Savorgnan di Brazzà, Come si fanno e come si possono fare le cinematografie di guerra, «Cinemag (...)
Mi ricordo i fischi sonori che accolsero, a Napoli, una notissima film della guerra libica, rappresentante una non meno nota battaglia, in cui, fra le tante, si assisteva ad una emozionante carica alla baionetta compiuta dai bersaglieri. Il male fu che in quel combattimento non avevano mai partecipato bersaglieri e che a quel cinematografo si trovassero proprio un gruppo di soldati reduci da quel nostro settore di occupazione3.
- 4 Nostra traduzione di un intertitolo in inglese della parte terza (l’unica sopravvissuta, conservat (...)
4Dal 1914 verranno pesantemente stigmatizzate le pagliacciate messe in scena nei film (pseudo-)“dal vero” e in quelli a soggetto, le cui proposte inverosimili erano forse appena più tollerate e giustificate, anche se non certo apprezzate. Del resto chiunque, anche senza competenze specifiche, è in grado di cogliere l’artificio più macroscopico che viene di norma attuato, ovvero l’elaborazione di intertitoli che annunciano qualcosa che le immagini non possono contenere e non mostrano per nulla. Un patetico esperimento d’illusionismo spettacolare, volto a convincere il pubblico che sullo schermo si sarebbe vista, per esempio, una «rapida e simultanea concentrazione di fuoco d’artiglieria», e non invece qualche indecifrabile sbuffo di fumo ripreso in lontananza chissà in quale occasione, e mostrato in soggettiva con un mascherino che simula la visione diretta attraverso la lente del cannocchiale del generale Pecori Giraldi4.
- 5 Roger Odin, De la fiction, De Boeck & Larcier, Bruxelles, 2000 (tr. it. Della finzione, Vita & Pen (...)
5È dunque soprattutto il discorso cinematografico articolato attraverso le addizioni del montaggio che crea il primo effetto di falso patente, che ha poco a che fare con il contenuto visivo delle inquadrature, che, irrelate e prese una alla volta, non offrono promesse e non danno risposte. Ed è il contratto di fruizione delle immagini di tipo documentarizzante proposto agli spettatori dei “dal vero”, a condizionarne pesantemente la ricezione e la considerazione5.
6La consapevolezza dell’inautenticità di porzioni più o meno ampie dei filmati non inficia automaticamente l’interesse per le opere nel loro complesso, ma nella maggior parte dei casi nemmeno lo alimenta. C’è da chiedersi piuttosto perché l’effetto generale “aumentato” che ne deriva (o che ne dovrebbe derivare) spesso non risulti così eccitante, con l’inserzione di “quadri ricostruiti”.
- 6 Roger Smither, “Una meravigliosa idea del combattere”. Il problema dei falsi in The Battle of the (...)
- 7 Un ruolo importante nella discussione è giocato anche dalle notazioni poco fededegne di uno dei du (...)
7Il dibattito moderno sulle riprese adulterate fiorisce trent’anni fa, al tempo della riconsiderazione del grandioso lungometraggio documentario inglese The Battle of the Somme, per il quale si conservano numerosi documenti e testimonianze di reazione alla visione da parte del pubblico alleato6. Sono spettatori che protestano offesi per la forza di immagini che lasciano senza fiato, e spettatori che ripiegano in una stordita, consenziente immedesimazione, quando vengono inquadrati dei tommies che si lanciano all’attacco oltre i parapetti delle trincee e avanzano attraverso il filo spinato, per poi, in alcuni casi, essere abbattuti al suolo dai proiettili nemici. Vengono messe all’indice numerose inquadrature, sotto un fuoco incrociato di testimonianze dirette di soldati e cineoperatori7, deduzioni, constatazioni di buon senso e analisi attenta del profilmico, che mostra chiaramente come nelle inquadrature degli attacchi la trincea sia poco profonda, l’erba sotto il filo spinato troppo folta per essere parte di un campo di battaglia, gli equipaggiamenti non conformi a quelli del famoso primo luglio del 1916 e, soprattutto, la posizione della macchina da presa insostenibilmente pericolosa, completamente esposta al fuoco nemico. Questo senza tener conto della “performance” dei soldati-attori, della coreografia dei movimenti dei fanti. L’effetto di verosimiglianza del film non ne è peraltro toccato – l’incidenza delle riprese non autentiche è nel complesso poco rilevante – ma il sospetto di manipolazione si estende automaticamente a molti altri luoghi testuali, non sempre, per forza, “colpevoli”.
- 8 Roger Smither, “Una meravigliosa idea del combattere”, cit., p. 74.
8Le notazioni di Smither, Badsey, Reeves e altri, in buona parte erano già state avanzate nel primo dopoguerra ma negli anni Ottanta e Novanta inducono molti studiosi a una riconsiderazione spietata dell’intero corpus dei filmati (non solo) della Grande guerra. Eppure, «un eccessivo zelo nel gridare al “falso” risulta ingiusto nei confronti degli autori del film e, mettendo in ombra le reali conquiste dei pionieri del documentario di guerra, rende un cattivo servizio al pubblico attuale»8.
- 9 La “Presa di Gorizia”, «Cinemagraf», cit., p. 18.
9Non sempre è semplice riconoscere l’impostura, valutando nettamente lo scarto tra la realtà di guerra raffigurata e la cornice con cui se ne dichiara la genuinità di rappresentazione. Non lo era al tempo e non lo è oggi. Durante la guerra ci sono film che vengono bloccati e poi, dopo le vibranti proteste dei giornali, vietati, dopo la denuncia di «troppe scene truccate». È per esempio il caso de La presa di Gorizia della veneziana Dominante (spesso confuso con il quasi omonimo film di Comerio), che in seguito a numerosi reclami viene appunto proibito, senza essere approvato in censura9.
10C’è da chiedersi quali ulteriori passi in avanti possa farci fare un dibattito in grado di appassionare ancor oggi lo spettatore occasionale, che nella visione ripetitiva di questi filmati d’epoca trova precisi luoghi d’interesse proprio nel problema mal posto dell’“autenticità” delle immagini stesse. È forse il miraggio morboso della morte al lavoro a interessare, della possibilità di coglierla sul fatto per mezzo dell’obbiettivo, mentre trascina via per sempre i poveri soldati cinematografati. Nelle cronache d’epoca e nei documenti non lo si dice mai esplicitamente, ma il disappunto di molti si manifesta (ancor oggi) proprio quando ci si rende conto che a venir meno nelle riprese sono quelle condizioni minime di verosimiglianza che attesterebbero la probabilità per il combattente di correre un pericolo tangibile. Nei sogni dello spettatore, l’obbiettivo cinematografico dei “dal vero” della guerra, come lo sguardo paralizzante della Medusa, deve poter riflettere l’ultimo momento delle ombre imbalsamate su pellicola di soldati che camminano sullo schermo.
- 10 Tra gli interventi più recenti, si vedano Giuseppe Ghigi, Campi di visione e visione dei campi. I (...)
11All’argomento in molti hanno nel tempo dedicato attenzione10, e, nell’impossibilità di articolare il discorso su basi rigorosamente scientifiche (testimonianze dirette dei protagonisti, analisi di materiali preparatorii, considerazione degli scarti di montaggio, documenti relativi alla pianificazione delle riprese) ci si affida di necessità a un’analisi dei singoli luoghi filmici che è improntata al buon senso e all’assunto condivisibile che il cineoperatore non desiderava morire pur di ottenere qualche scorcio visivo di fortuna, esponendosi oltre la linea del fuoco, e che le esercitazioni lontano dal terreno dell’azione costituivano un’opportunità irrinunciabile perché non fosse comodamente colta, per riempire il vuoto di documentazioni filmate accattivanti che mancavano perché estremamente difficili da ottenere sul campo.
12A guerra appena terminata, quando la rielaborazione memoriale dell’impegno cinematografico passato coinvolge diversi professionisti dell’industria e della stampa, c’è chi, ricordando con orgoglio le azioni compiute, riflette proprio sulla malaugurata possibilità che il pubblico consideri finzione i “dal vero” più autentici e, all’inverso, documento irrefutabile le immagini dei film di finzione, con i loro trucchi ben studiati. La famigliarità con i luoghi e le persone ritratte “davvero” o per “finta” è indispensabile per smascherare il trucco:
- 11 Maffio Maffii, I miei soldati operatori, cit. In questo articolo Maffii, scrittore ed elemento di (...)
Quando il pubblico vedrà, comodamente adagiato in una poltrona di velluto rosso, nella beatitudine del chilo, le nostre films, volete scommettere che dirà: Che bel trucco? E pensare che se lavorassimo in campagna romana, con fumate e mortaretti e comparse ben truccate e altre ire d’Iddio, esclamerebbe fiducioso: Perdiancine, che coraggio! […] I trucchi li fanno gli imboscati. Bisogna pensare che migliaia e migliaia di soldati e marinai conoscono questi canali, queste trincee, questi reticolati, questa duna, queste rovine; ed un po’ tutti si conoscono l’un coll’altro. Ebbene, noi lavoriamo per loro. In licenza, andando ad uno spettacolo che annunziasse le loro azioni, che direbbero se non ci si ritrovassero o non ritrovassero i luoghi di morte, ad essi così familiari? Se i trucchi sono più verosimili, e magari più belli, agli occhi del gran pubblico che sta a casa, che ce ne importa, purché il marinaio che torna in famiglia possa dire al figliuolo: «Lo vedi che tremendo fuoco, sulle trincee di Cortellazzo? Ebbene, in quel momento, lì sotto, ce stevo». Tale dev’essere il nostro scopo. Nessun trucco dà questi risultati. L’arte, la faremo a guerra finita…11
13Concentriamoci ora su due esempi, per certi aspetti simili, in cui dei fanti italiani fronteggiano il nemico rispettivamente in un’azione difensiva e in una offensiva, e che hanno l’ambizione di produrre un forte impatto emotivo sullo spettatore perché fondati su di una rappresentazione che sembra svolgersi sotto il segno del pericolo.
14Il primo è costituito da una breve sequenza di Comerio tratta dalla terza parte de La battaglia tra Brenta e Adige. Il secondo è un brano di quasi quattro minuti, diviso in sezioni distinte montate insieme, e costituite da inquadrature filmate da anonimi cineoperatori dell’Esercito in origine per chissà quali documentari, e oggi noto per esser stato incluso nella prima parte di Gloria del Luce.
15Entrambi gli esempi hanno a che fare con la rappresentazione della morte (vera o simulata), tema che prevedibilmente non ha risparmiato alcuna produzione europea. L’unica forma di morte rappresentabile, e dunque ammissibile alla documentazione, è quella che dà l’impressione di essere “colta sul fatto” dall’obbiettivo. Giustificabile, a differenza dell’immagine di cadaveri straziati e mutilati, in quanto frutto del “caso”, e ritenuta il risultato dei giochi del destino al cinema, in barba alle pianificazioni dell’industria dello spettacolo.
16La macchina da presa di Comerio riprende dei fucilieri all’opera sopra la linea del fuoco nemico, distesi su precari sacchi ripieni di terra. Sono disposti tanto plasticamente quanto poco utilmente, privati dal modo in cui sono sistemati di ogni reale possibilità di difesa, non diversamente dai barellieri alle loro spalle, che raccolgono “cadaveri” incuranti del “fuoco nemico”. Il soldato “morto” che giace in primo piano con il viso rivolto al cielo sembra muoversi. Il tiratore che è alle sue spalle, proteso sul terrapieno, a un certo punto si affloscia, esalando platealmente l’ultimo respiro, mentre non distanti da lui dei commilitoni, indifferenti al millantato tiro incrociato, si dedicano a operazioni che rivelano la posizione di retrovia in cui si trovano. Il movimento grottesco e incongruo dei presenti e la gestualità eccessiva, non “necessaria” del soldato colpito, si spiegano solo con una delle operazioni di ricostruzione degli eventi di cui Comerio era maestro, e come il risultato della sua indiscutibile abilità di inscenatore di quadri.
17Nel secondo caso abbiamo a che fare con una lunga sequenza che, dopo Gloria, verrà accolta da altri documentari di montaggio. I soldati sono «pronti per balzare in avanti» e «la linea nemica è diventata un vulcano». «A noi!», si incita in una didascalia disegnata. E ci viene mostrata l’avanzata dei fanti oltre i parapetti, attraverso un terreno scosceso, occupato dalle trincee italiane in una posizione di inferiorità rispetto a quella del nemico.
18Il brano presenta, se non tutte, numerose carte in regola – secondo quanto detto sopra – per essere considerato “genuino”. Le vedute sono di durata considerevole, in piano-sequenza, con qualche stacco di montaggio necessario alle suture dei compilatori del documentario riassuntivo, che hanno desiderato alternarne i contenuti punteggiandoli anche con immagini di cadaveri (da La battaglia dall’Astico al Piave) ed esplosioni dozzinali d’altra provenienza e contesto. Si adotta un “linguaggio dell’attesa” che trova il proprio corrispettivo visivo nel vuoto di immagini in cui a lungo sembra succedere poco: preludio inevitabile a un evento fuori dal normale. Le riprese sono “sporche”, perché in più momenti si frappongono, tra l’obbiettivo e il terreno d’azione oltre i parapetti della trincea, i corpi dei soldati, oscurando parzialmente la visuale dello spettatore ma conferendo alla rappresentazione un sapore d’autenticità indubbio, non in linea con l’abituale pulizia visiva dei quadri pianificati. La macchina da presa è sopra la linea del fuoco ma potrebbe anche essere difesa da ostacoli a noi invisibili, riprendendo le operazioni di assalto di sguincio.
19C’è chi però volge il viso all’indietro, chi guarda in macchina, chi non sembra cadere al suolo naturalmente, perché colpito da un proiettile, «solo col suo nudo coraggio di fronte alla raffica della mitragliatrice».
20A un’attenta verifica delle sequenze di assalto, morte “colta sul vivo”, scontro all’arma bianca e coraggio ai limiti del suicidio programmato, nei “dal vero” italiani nulla sembra davvero salvarsi dalla fondata, fortissima impressione di ricostruzione “verosimile”, attentamente studiata e pertanto in alcuni casi come quelli descritti – pur con tutte le cautele di cui s’è detto –, spettacolarmente convincente, nobilmente epica.
Notas
1 Cfr. François Jost, Realtà/Finzione. L’impero del falso, Il Castoro, Milano, 2003.
2 G. Pr. [Giuseppe Prezzolini], La guerra e il cinematografo, cit., p. 877.
3 F. Savorgnan di Brazzà, Come si fanno e come si possono fare le cinematografie di guerra, «Cinemagraf», a. I, n. 5, 2 aprile 1916, p. 12.
4 Nostra traduzione di un intertitolo in inglese della parte terza (l’unica sopravvissuta, conservata presso la Cineteca di Milano) de La battaglia tra Brenta e Adige di Luca Comerio (1916).
5 Roger Odin, De la fiction, De Boeck & Larcier, Bruxelles, 2000 (tr. it. Della finzione, Vita & Pensiero, Milano, 2004, in particolare pp. 191-211).
6 Roger Smither, “Una meravigliosa idea del combattere”. Il problema dei falsi in The Battle of the Somme, in Renzo Renzi, Il cinematografo al campo, cit., pp. 67-75. Cfr. inoltre Stephen D. Badsey, Battle of the Somme: British war-propaganda, «Historical Journal of Film, Radio and Television», vol. 3, 2, 1983, pp. 99-115; Nicholas Reeves, Official British Film Propaganda during the First World War, Croom Helm, London, 1986; Id., Cinema, Spectatorship and Propaganda: ‘Battle of the Somme’ (1916) and its Contemporary Audience, «Historical Journal of Film, Radio and Television», vol. 17, 1, 1997, pp. 5-28.
7 Un ruolo importante nella discussione è giocato anche dalle notazioni poco fededegne di uno dei due cineoperatori britannici coinvolti: Geoffrey Malins, How I Filmed the War [1920], The Imperial War Musem-The Battery Press, London-Nashville, 1993.
8 Roger Smither, “Una meravigliosa idea del combattere”, cit., p. 74.
9 La “Presa di Gorizia”, «Cinemagraf», cit., p. 18.
10 Tra gli interventi più recenti, si vedano Giuseppe Ghigi, Campi di visione e visione dei campi. I documentari di guerra del ‘14-’18, in Stefano Pisu (a cura di), War Films, cit., pp. 441-473; Id., Il Veneto in guerra nei filmati “dal vero” (1915-18), «Venetica», a. XXIII, n. 53, 2/2017, pp. 183-224.
11 Maffio Maffii, I miei soldati operatori, cit. In questo articolo Maffii, scrittore ed elemento di punta del giornalismo italiano prima e dopo la guerra, ricorda le azioni compiute lungo la costa adriatica insieme agli operatori Montuori e Gengarelli, con il concorso occasionale di Nino Oxilia e Arnaldo Fraccaroli.
Índice de ilustraciones
Título | Fotogrammi da La Battaglia tra Brenta e Adige |
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Créditos | Cortesia ECPAD |
URL | http://books.openedition.org/edizionikaplan/docannexe/image/1779/img-1.jpg |
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Título | Fotogrammi da Gloria |
Créditos | Cortesia Archivio Storico dell’Istituto Luce |
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