Su usi classici e su innovazioni nella rappresentazione storica dell’auaritia, dell’ambitio e della cupiditas: analisi di fonti e modelli per la storiografia latina del iv s. d.C.
p. 379-389
Texte intégral
Premessa
1Nel precedente volume, O. Devillers e B. B. Sebastiani hanno messo in risalto la molteplicità delle forme in cui si articola il rapporto degli storici con i loro predecessori. Coerentemente con l’intenzione espressa dai curatori di “faire écho à une grande variété d’approches et de sensibilités”1, credo ci si possa accostare alla storiografia tardoantica da angolazioni molto diverse; queste includono la critica delle fonti, lo studio delle dinamiche allusive, l’analisi diacronica dello sviluppo di temi e motivi più o meno convenzionali, la lettura comparata, il tema della fortuna nelle epoche successive. Cogliendo l’invito all’indagine metodologica inaugurata nel primo volume, e precisamente quello di tentare di evidenziare una relazione tra alcuni testi e quelli degli storici loro predecessori che avrebbero potuto essere utilizzati sia come fonti di informazioni sia come modelli letterari, si propongono qui una lettura e qualche riflessione non su un particolare evento storico ma su una modalità di rappresentazione, che ha riflessi storici, di alcuni atteggiamenti (vizi) di imperatori di età altoimperiale in selezionate fonti del iv s. d.C. Il lavoro si svilupperà tenendo sempre bene presente che qualunque sia il caso, ogni situazione dà luogo a una rilettura dello storico in funzione del proprio progetto storiografico. Ogni testimonianza infatti dovrebbe essere sempre affrontata riallocandola nel contesto di produzione propria, poiché essa illumina anche il momento in cui è stata concepita, oltre al periodo al quale si riferisce2.
2Alla lettura e al confronto tra alcuni testi pagani del iv s. d.C. (e con un parziale confronto anche con qualche testo cristiano), di notevole interesse risultano le diverse accezioni che diversi vocaboli sono andati assumendo; contemporaneamente, si possono trovare interessanti modelli di rappresentazione comuni. Le fonti tardoantiche sembrano recuperare dalla storiografia precedente, di stampo classico, specifici concetti relativi all’attenzione a certi aspetti del carattere e alle reazioni di questi sugli eventi storici: questi ultimi vengono poi spesso rielaborati secondo il personale pensiero e utilità di ogni autore. La prima insidia metodologica che chi si accinge a scrivere deve affrontare è dunque quella di analizzare i termini in base a un determinato contesto storico-cronologico, sociale e politico. Quello che preme sottolineare è che alcuni concetti che rappresentano un determinato tipo di virtù o comportamento legato anche ad una certa emotività o emozione nel lessico tardoantico sono dotati di una sottile ambiguità e sembrano essere usati con quello che potremmo definire, con un linguaggio contemporaneo, uno stile piuttosto flessibile; diversi termini insomma subiscono trasformazioni e talvolta assumono valenze semantiche contraddittorie che qui si cercherà di interpretare in senso per lo più politico-culturale3.
3Seguendo tale pensiero, si possono così trarre importanti elementi per un approccio storico alla prassi dell’uso del lessico come spia che sottintende soprattutto implicazioni storiche e culturali. Si cercherà di tenere sempre ben presente che le caratterizzazioni e le sensibilità non sono sempre le stesse e si proverà a superare il problema che riguarda la difficoltà di distinguere una netta citazione letteraria da un bagaglio di topoi trasmessi e che appartenevano a una tradizione e a una socialità completamente diversa. Come ben ha osservato P. Duchêne nel primo volume di questa collana, “dans l’Antiquité, la narration historique était conçue comme une sorte de trame, avec des points fixes, mais aussi de l’espace pour insérer des motifs nouveaux ou différents”4. La scelta dei motivi da inserire, o del modo in cui inserirli, dipenderà, di volta in volta, dalle strategie narrative e dagli obiettivi ideologici dell’autore5.
4Dopo questa premessa, è bene specificare che ci si concentrerà principalmente su due termini chiave, che sono auaritia e cupiditas (con alcuni collegamenti all’humilitas e all’ambitio) e sulla loro trasversalità di uso in ambito storico tra alcune fonti modello (per lo più i classici Tacito e Svetonio) e alcune fonti tardoantiche. Gli imperatori di età altoimperiale ai quali viene attribuita l’auaritia sono Tiberio e Caligola in Eutropio e Vitellio nell’Epitome. In Tiberio e Caligola l’auaritia è associata alla crudeltà ed alla libidine, una triade di vizi tipici del tiranno. Per Vitellio l’Epitome associa solo auaritia e crudelitas. La stessa Epitome in seguito per Licinio associa auaritia e libido e forse crudeltà (asper admodum), e attribuisce poi a Valentiniano l’auaritia ma non la crudelitas e la libido e in generale lo giudica tutt’altro che un tiranno. Dunque anche l’autore dell’Epitome non vede nella sua età figure tiranniche, ad esclusione forse di Licinio6.
5Le strategie narrative che governano la rielaborazione di materiale precedente sono svariate. Nel caso dei Breviari si nota che essi spesso si mostrano molto più di semplici epitomatori: il loro uso delle fonti (e il loro approccio a quella che è per la maggioranza degli studiosi la loro fonte comune, l’EKG, che essi usano in maniera indipendente7) sovente appare complesso e non ovvio, le informazioni da esse (o da essa) ricavate sono armonicamente inserite nella struttura della narrazione. La rielaborazione delle fonti è spesso funzionale, tra le altre cose, allo sviluppo di un tema centrale nell’opera, quello delle qualità necessarie a un buon amministratore, burocrate o imperatore. È noto per esempio che Eutropio dà la precedenza alle prerogative civili del sovrano ideale (mitezza, saggezza, capacità di rapportarsi con rispetto alla comunità), mentre Aurelio Vittore pare dare più importanza a quelle militari; tali punti di vista sono comunque da interpretare come profondamente influenzati dalla tradizione classica che è modello culturale rielaborato.
Dall’auaritia all’ambitio nei Breviari. Alcuni modelli di rappresentazione da Svetonio, Tacito e Sallustio
6Rispetto alla caratteristica dell’auaritia come elemento negativo nelle rappresentazioni imperiali fornite dai Breviari, le varianti fra Aurelio Vittore, l’Epitome, Eutropio (e in qualche caso anche nei cristiani Lattanzio e Orosio) nella strumentalizzazione del vizio dell’auaritia mostrano certamente ancora una volta un utilizzo indiretto da parte degli autori di una fonte che aveva rielaborato ed evidentemente integrato ulteriore materiale.
7Partendo dal testo di Aurelio Vittore, si nota che per ciò che concerne la ricostruzione del testo, ampio materiale è spesso collegabile al modello Tacito, dal quale provengono la maggioranza delle testimonianze mescolate con alcune notazioni da altre fonti. Un bell’esempio dell’intrecciarsi di usi e ripetitività di modelli di rappresentazione storica è fornito dal ritratto di Galba come lo troviamo nella Vita dei Cesari, a 6.1-3. Qui infatti è individuato, o individuabile, un cospicuo numero di paralleli testuali, non solo appunto con Tacito, ma anche con Svetonio e con Sallustio (anche se in misura minore). Nei relativamente brevi paragrafi dedicati all’imperatore, Aurelio Vittore ricorda fin dalle prime righe l’origine da una famiglia nobile, la famiglia dei Sulpici, e descrive l’entrata a Roma di Galba, che, come se fosse venuto a soccorso della crudeltà e della lussuria, cominciò a saccheggiare, a opprimere, a devastare ogni cosa e a invadere tutto in modo scandaloso. Ancora, Aurelio Vittore non tralascia di menzionare il fatto che Galba si rese ancora peggiore a causa di questa condotta, cioè tradì le speranze di coloro che avevano desiderato un governo più dolce, e aveva diminuito il pagamento ai soldati a causa del suo desiderio di denaro (pecunia cupiditatis). Nel ritratto di Galba figurano osservazioni efficaci e utili a ritrovare alcuni modelli di rappresentazione che sembrano inclusi. La nobilitas della provenienza famigliare è eco, e nello stesso tempo risultato, di un chiasmo tra due fonti, Tacito e Svetonio; l’espressione di Aurelio Vittore, haud secus nobilis, a gente clarissima Sulpiciorum, ricorda infatti sia il modello tacitiano (uetus in familia nobilitas) sia la descrizione data da Svetonio, seppur leggermente modificata: haud dubie nobilissimus, qui primus Sulpiciorum cognonem Galba tenuit. Ancora, la stessa descrizione negativa dell’ingresso a Roma di Galba echeggia senza ombra di dubbio le parole negative di Tacito e di Svetonio (Tacito è più moderato di Svetonio, cf. infra). Si evidenzia tuttavia, per il testo di Aurelio Vittore, una notevole tendenza alla miglioria stilistica, che trova la sua prima espressione nella climax della terna verbale rapere, trahere e uexare, assente nei modelli citati, dai quali però Aurelio Vittore rielabora anche i concetti di libido e saeuitia (il modello può forse essere Suet., Galb., 12.1: saeuitia et auaritiae). Questi ultimi diventano, quasi in forma di translitterazione, crudelitas e luxuria, caratteristiche negative molto comuni nelle fonti del iv secolo e ampiamente utilizzate, dai Panegiristi Gallici e fino almeno ad Ammiano Marcellino. Invero un accenno alla crudelitas, o meglio al carattere cruento, si rileva anche in Tacito (Hist., 1.68), ed è vero, come ha sostenuto già P. Dufraigne9, che Aurelio Vittore usa un’espressione che bene si accorda con Tacito stesso (il già citato Hist., 1.6); altrettanto vero è però che Aurelio Vittore citando la lussuria di Galba sembra evocare, lavorandoci però sopra a suo modo, il modello Svetonio (Galb., 22.2: libido).
8Pur nella brevità della descrizione dedicata a Galba non deve sfuggire come Aurelio Vittore sembri ampiamente distaccarsi dai suoi modelli di rappresentazione caratteriale nell’incolpare l’imperatore, e solo lui, dei suoi difetti. Per questo particolare infatti sia Svetonio che Tacito attenuano il ritratto negativo di Galba incolpando anche i suoi stretti collaboratori delle stesse libido e saeuitia. In questo modo il ritratto che emerge dai modelli precedenti è, pur nella sua negatività, sfumato dalla giustificazione, se così possiamo definirla, del fatto che Galba si lasciava corrompere dai collaboratori. Aurelio Vittore sembra invece volere insistere nell’incolpare direttamente Galba dei propri difetti: non elimina, certo per motivi di brevità, ciò che emerge dai suoi modelli; lavorando sul testo, anche grazie alla climax dei verbi precedentemente citati, Aurelio Vittore sembra decidere di utilizzare i modelli di rappresentazione che trova in Tacito (ancora Hist., 1.6) e ancora altrove in Svetonio (Galb., 14.2) secondo una sua personale modalità, donando al ritratto anche altra rappresentazione che parzialmente altera la reale dimensione storica e con questa linea argomentativa sembra sollevare un’interpretazione maggiormente negativa. Più specificamente, la climax dei verbi di Aurelio Vittore ricalca quasi interamente due ben noti passi sallustiani utilizzati per Catilina e per Giugurta: sebbene per il contenuto generale del passo il modello maggiore sia stato evidenziato in Tacito10, credo si possa affermare che né Tacito, né Svetonio, né Sallustio possono essere considerati il vero fondo e/o modello di questa rappresentazione. Per questo passo, credo ci si debba confrontare con altra metodologia: vero è che da un punto di vista lessicale le analogie sono molte con tutte e tre le fonti, ma ritengo che Aurelio Vittore, e la sua fonte EKG, abbiano preso come modello generale una tipologia di rappresentazione dal passato, e l’abbiano poi adattata senza pensare a confrontarsi direttamente con la storicità del modello stesso. Indubbiamente, Catilina e Giugurta, e le loro descrizioni da parte di Sallustio, servono e serviranno a certa storiografia tardoantica per delineare in maniera efficace tipologie di ritratti per il iv s. d.C. Ma proprio nel caso di Galba è evidente un lavoro lessicale e stilistico che ha come base il modello ma che pare non preoccuparsi della verità storica trasmessa dalle fonti precedenti, che evidenziano la passività di Galba nei confronti dei suoi collaboratori. Questo primo esempio lascia dunque aperte alcune questioni per quel che concerne il rapporto con le fonti legato anche a un particolare inquadramento culturale di Aurelio Vittore. Ad un confronto con Orosio, che, seppur cristiano, mostra evidenti contatti con la tradizione della EKG, si nota come nei confronti di Galba l’autore delle Historiae aduersus paganos si mostra decisamente negativo, condividendo lo stesso giudizio severo di Aurelio Vittore menzionando la sua auaritia insieme alla saeuitia; nello stesso tempo Orosio si distacca però dalla tradizione inserendo il dettaglio della presa di potere avvenuta come se si trattasse di una usurpazione11.
9Particolare nel ritratto di Galba risulta anche ciò che viene espresso da Eutropio: oltre a nessun cenno ad auaritia e saeuitia, emerge nel Breviario una volontà di rendere positivo questo senator antiquissimae nobilitatis12. L’unico difetto forse parzialmente rilevato è una certa seueritas a cui Galba sembrò incline (Eutr. 7.16.2: huius breue imperium fuit et quod bona haberet exordia, nisi ad seueritatem propensior uidetur)13. Il modello in questo caso è certamente Tacito, che richiama la seueritas collegata ad una militari fama celebrata che però rendeva esasperante il carattere dell’imperatore che voleva richiamarsi alla vecchia disciplina (Tac., Hist., 1.6)14. Credo si possa pensare che Eutropio, riportandosi al modello Tacito (e quindi in questo senso eliminando tutta la negatività espressa in maniera maggiore da Svetonio) rielabori il concetto di seueritas trasformandolo positivamente, come nella prassi del lessico politico del iv secolo; stesso tipo di lavoro viene operato dall’Epitome, che addirittura amplifica il concetto con l’espressione militem seuerissime tractans (Epit., 6.3). Aurelio Vittore e Orosio sono quindi più vicini al modello Svetonio, negativo, e non riportando la seueritas per Galba e insistendo invece sull’auaritia, confermano, e silentio, la traslitterazione di significato del termine seueritas. Già S. Ratti ha rilevato come Eutropio rende la saeuitia nei confronti dei militari evocata da Svetonio con “le faible” ad severitatem propensior, e questo avviene per il desiderio di dare una buona descrizione di Galba; come spiegazione possibile ancora Ratti ha visto in questo la causa dell’impossibilità di Eutropio di parlare negativamente di un personaggio dell’ordine senatorio15. Sulla base di questa considerazione, la stessa motivazione ora si può dunque rilevare anche per l’anonimo autore dell’Epitome, evidenziando però come probabilmente né Eutropio né l’Epitome intendano solo in maniera prudentemente intesa come “faible” la seueritas, ma la intendono invece connotare di una forte caratterizzazione e impronta filosenatoriali. In questo senso forse Eutropio ed Epitome si discostano dalla norma tradizionale e si configurano come marcatori di appartenenza ad una testualità della fase storica tardoantica che utilizza l’evoluzione linguistica del latino come segnale di un’opera letteraria che vuole farsi veicolo di un preciso messaggio ideologico16.
10Procedendo nell’analisi, nel caso di Vespasiano è ancora Aurelio Vittore che sembra distaccarsi per lo più riguardo proprio alla caratteristica dell’auaritia da alcuni modelli noti, e in questo caso da Svetonio, che pare però comunque essere la base per delineare i tratti essenziali della vita di Vespasiano nel Libro dei Cesari. In generale, sia Aurelio Vittore e, prima di lui, il modello Svetonio insistono piuttosto positivamente sulle qualità dell’imperatore, in contrasto con le descrizioni dei precedenti imperatori (Suet., Vesp., 12.1: ab initio principatus usque ad exitum ciuilis et clemens; e cf. anche 14.1-3; Aur. Vict. 9.1-4). Mentre Svetonio pone come unico difetto quello che noi possiamo definire un sinonimo dell’auaritia, e cioè la cupiditas pecuniae di Vespasiano (Suet., Vesp., 16.1: sola est in qua merito culpetur, pecuniae cupiditas)17, in Aurelio Vittore è innegabile come la visione insiste su un’ampia opera di ridistribuzione da parte delle finanze pubbliche, cioè quella sorta di largitas alla quale può essere congiunto un attento ed oculato esercizio della leva fiscale, della quale l’esempio più palese è infatti, non solo in Aurelio Vittore ma anche più esplicitamente manifesto nel Breviario di Eutropio, proprio Vespasiano (Eutr. 7.19.2: pecuniae tantum auidior fuit, ita ut eam nulli iniuste auferret quam cum omni diligentiae prouisione colligeret, tamen studiosissime largiebatur)18. Mentre Aurelio Vittore sfuma l’auaritia di Vespasiano definendola più propriamente saggezza nell’amministrare, cioè prudentia (Aur. Vict. 9.9: quae tot tantaque breui confecta, intactis cultoribus, prudentiam magis quam auaritiam probauere), in Eutropio l’auaritia è indicata, ma non si percepisce come tratto negativo dato che nel Breviario viene consapevolmente e abilmente limitata dall’avverbio temporale tantum. Nello stesso modo, Aurelio Vittore fa cenno a un atteggiamento di Vespasiano nei confronti del denaro (infirmus aduersum pecunia), prendendo però le difese dell’imperatore contro le opinioni della gente (uti quidam praue putant) e alludendo in maniera molto velata ad alcuni abusi fiscali di cui furono vittime gli abitanti delle campagne (Aur. Vict. 9.6).
11Menzione particolare va data anche ad alcuni passi in cui il già citato Eutropio si sofferma sul vizio dell’auaritia19. Come già sottolineato da S. Ratti, Eutropio menziona l’auaritia per Tiberio, Caligola e Domiziano20. Una particolarità del passo su Tiberio per come espresso da Eutropio induce ancora una volta a riflettere su quale modello e/o fonte Eutropio (o la EKG) abbia lavorato. Tiberio infatti per Eutropio è caratterizzato, oltre che da crudelitas e dal fatto che gestì l’impero ingenti socordia, anche da una scelesta auaritia21. Ad un confronto, Aurelio Vittore nel caso di Tiberio omette il particolare dell’auaritia, sebbene delinei una gestione di regno agli inizi buona e poi degenerata in danno (pernicie) per lo stato22; l’Epitome presenta caratteristiche comuni sia con Aurelio Vittore che con Eutropio e sembra fare cenno all’auaritia, seppur in maniera cursoria e legando questo difetto ad altri due vizi peggiori23. Anche a un confronto con il testo di Gerolamo, autore cristiano ma parzialmente legato alla medesima tradizione della EKG, si notano alcuni tratti in comune con gli autori dei Breviari: per quanto Gerolamo riduca al massimo il medaglione su Tiberio, non omette però la questione relativa alla creazione del nome della città (dettaglio che compare pure in Eutropio); si potrebbe forse pensare che l’auaritia dei pagani in Gerolamo viene traslitterata in una sorta di cupiditas di potere, o di cupiditas imperii, o addirittura in una sorta di sinonimo di ambitio24. In generale, gli abbreviatori sembrano tutti aderire alla vulgata comune che porta ad amplificare (deformare, secondo M. Festy25) gli aspetti negativi di Tiberio, ma Eutropio rimane comunque il solo a insistere sull’auaritia di Tiberio amplificandola con un aggettivo ignoto agli altri. Risulta difficile tentare di risalire a un modello di Eutropio per la scelta dell’aggravante scelesta nel caso dell’auaritia. Nel Breviario l’aggettivo scelus-scelerus è conosciuto, e usato, nella rappresentazione dell’imperatore Caligola; qui non viene legato all’auaritia, sebbene anche questa sia menzionata: in questo caso però è più evidente il modello da cui Eutropio deriva il difetto dell’auaritia per Caligola, che dovrebbe certamente essere Svetonio26. Di norma, l’auaritia, che in generale ha significato di rei alicuis cupiditas, nelle fonti è resa meno concreta ma nello stesso tempo difetto più grave a causa del suo accostamento con altri nomi o aggettivi: ricordiamo per esempio, da Seneca, l’auaritiae gloria (Sen., Const. Sap., 12), o ancora, in Sallustio, fonte/modello seguito dagli abbreviatori nei tratti essenziali delle caratterizzazioni al negativo, ci troviamo per esempio di fronte a un’auaritia profunda nel caso di Catilina (Sall., Catil., 3), o di un’auaritia talmente forte che provoca la morte (perire auaritia) nel caso della guerra giugurtina (Sall., Iug., 82); non meno diversamente, dall’Agricola di Tacito leggiamo exuere auaritiam (Tac., Agr., 30). Ancora, auaritia profunda è rammentata da Livio, nella sua prefazione (Liv., Praef., 11). Più complicato risalire però a un modello che riporti l’auaritia unita a scelus: scelestus, come aggettivo, nel senso di malvagio, è usato da Sallustio per descrivere uomini anche factiosi (Sall., Catil., 51), e nella stessa opera è usato anche vicino all’aggettivo malus (Sall., Catil., 55: mali et scelesti). In Livio leggiamo di un scelestus sermo (Liv. 5.27 scelesto facinori scelestiorem sermonem addidit), ma non abbiamo nessun legame con la scelesta auaritia. Scelestus in Plauto è sinonimo di callidus (Plaut., Most., 1.3.14), mentre invece appare interessante un passo del Fedro in cui si fa cenno alla scelesta malitia (Phaedr. 2.4). Si ritengono invece piuttosto rilevanti due espressioni di Valerio Massimo: nella prima soprattutto si cita una scelerata auaritia, nella seconda una scelerata dementia27. Difficile provare a fare risalire Eutropio, e/o la sua fonte (ma per lo più Eutropio, in quanto unico a parlare di scelesta auaritia) a Valerio Massimo: senza dubbio però le due menzioni dello storico del i s. d.C. sono le più vicine, anche per il carattere etico della descrizione, all’espressione usata da Eutropio per Tiberio.
12Nel Breviario un ulteriore esempio singolare sempre legato all’auaritia è fornito dal medaglione su Domiziano. Nello specifico, questo imperatore per Eutropio diede inizialmente prova di moderatio28 (7.23.1: primis tamen annis moderatus in imperio fuit), prima che il suo principato si abbandonasse alla deriva tirannica e si caratterizzasse per libido, iracundia, crudelitas e auaritia. Ancora una volta Eutropio è il solo a distinguersi dagli altri abbreviatori e a menzionare l’auaritia per Domiziano, dato che questa non è presente né in Aurelio Vittore e neppure nell’Epitome29. L’Epitome richiama per Domiziano la seguente triade di vizi: libido, saeuitia, crudelitas; Aurelio Vittore si distingue per fare menzione di un atteggiamento carico di superbia nei confronti dei senatori, mentre si dimostra sulla linea degli altri abbreviatori con le comuni libido (flagitio libidine) e saeuitia. Va ovviamente segnalato che in tutte queste fonti viene descritta in maniera seppur parzialmente differente una modalità di gestione di potere di Domiziano che si evolve al negativo tra i primi anni e la parte finale del suo regno. Il modello di riferimento, per tutti, può essere ricondotto facilmente a Svetonio, anche se in realtà tutti i Breviari si discostano almeno in parte dall’opinione delle Vitae svetoniane: nessuno tra gli abbreviatori infatti fa menzione per Domiziano della cupiditas, citata per questo imperatore più volte da Svetonio. Nel testo di Svetonio la cupiditas assume almeno due significati diversi: quello di cupiditas pecuniae e quello che designa il contrario di astinenza (quest’ultima intesa come comportamento etico, tenore di vita, nella Vita di Domiziano)30. Se a prima lettura la cupiditas può forse essere fonte/modello per l’auaritia menzionata da Eutropio, credo che sia più probabile che Eutropio (o la sua fonte base) abbiano come riferimento o abbiano attinto da una fonte diversa o ad altro modello, dato che proprio Eutropio conosce e usa soltanto una volta il termine cupiditas, ma lo intende senza dubbio come sinonimo di ambitio, e soprattutto di ambitio negativa propria dell’indole femminile (Eutr. 7.7: cogente uxore Cleopatra […] dum cupiditate muliebri optat etiam in Vrbe regnare). Ancora una volta, si può ritenere come avvallo a questa proposta il silenzio degli altri abbreviatori sull’auaritia e sulla cupiditas in questo medaglione31. Oltre alla auaritia, il passo di Eutropio su Domiziano si segnala per diversità anche nella menzione della iracundia. Nel rilevarne l’unicità della menzione in tutto il periodo imperiale in Eutropio, S. Ratti32 indica che l’autore del Breviario non inserisce per caso questa caratteristica del carattere di Domiziano ma che in realtà il particolare dimostra un’influenza letteraria e culturale diffusa riguardo al passo di Seneca (Ir., 000.20-23), in cui il filosofo precisa che l’ira conduce alla crudeltà. Sono più propensa a credere che il passo in questione indichi l’esistenza di un lavoro di una fonte su cui si basa Eutropio, che legge certamente Svetonio ma può subire influssi anche da altre fonti, e dalla quale l’autore del Breviario trae spunto anche per l’inserimento, diversamente dagli altri, del vizio dell’auaritia (e magari forse anche la scelesta auaritia utilizzata per Tiberio).
13L’accenno alla cupiditas e all’ambitio induce a una breve riflessione finale. Relativamente alla concezione dell’ambitio, è forse nelle descrizioni su Diocleziano che possiamo comprendere l’importanza della dimensione in cui gli storici tardoantichi collocano le vicende e a cui immediatamente concatenano la loro riflessione politica. Già si è fatto cenno al passo di Eutropio e Gerolamo in cui per Tiberio si cita la fondazione di una città con il suo nome. Le due fonti descrivono certo una sorta di ambitio fuori dalla norma per Tiberio, senza però alcun uso del termine né dei suoi diretti sinonimi, come per esempio cupiditas regni o cupiditas imperii (frequenti nei loro modelli di riferimento come Tacito e Svetonio33). In Aurelio Vittore l’ambitio è una caratteristica di Diocleziano (anche se non solo di lui34), per il quale essa ha come conseguenza la trasformazione dello stile della corte imperiale per la storiografia di marca senatoria, ma l’ambitio di Diocleziano è strettamente collegata alla sua humilitas di origine35. In un certo senso, Aurelio Vittore salva la negatività dell’ambitio di Diocleziano, ed è importante sottolineare che lo fa soprattutto in relazione al momento in cui viene richiamata quella che potrebbe essere intesa come la sua imperandi cupiditas, praticamente negando per Diocleziano questo aspetto (al momento di trafiggere Apro di fronte all’esercito schierato in assemblea Aurelio Vittore afferma che l’imperatore neque imperii cupientem sefuisse). Si può ritenere quindi l’ambizione di Diocleziano come un particolare che si incontra con la sua predestinazione all’impero e “di essa si fa consapevolmente strumento perché fornisce allo stato un uir necessarius”36. Eutropio sembra distinguersi dagli altri anche sul giudizio su Diocleziano, rammentando la saeuitia delle sue decisioni: ma va letta anche in questo caso la sfumatura nel ritratto storico che viene data dall’inserimento dell’elemento della seueritas37. Per Eutropio Diocleziano fu sagax et admodum subtilis ingenio; tendeva a giustificare la sua severità con l’invidia che gli portavano gli altri. In questo caso, la seueritas menzionata va intesa in senso positivo, come severità morale e decoroso comportamento etico (e in effetti, subito dopo Diocleziano viene descritto come sollertissimus). Proprio dalla lettura di questi ultimi passi su Diocleziano credo che sia da evidenziare la traslitterazione storica del significato di ambitio e pure quella di cupiditas regni o imperii, che, diventando in certi casi sinonimi di largitas e munificenza, inducono probabilmente gli abbreviatori a eliminare questo concetto nelle rappresentazioni di Tiberio e Domiziano, che non possono essere caratterizzate da un’accezione positiva. Nello stesso modo, per l’auaritia, si nota un risultato di una precisa evoluzione e di una particolare costruzione rappresentazionale, condivisa da sottogruppi che si uniscono o si dividono in base a circostanze politiche, economiche, sociali, indipendentemente dall’esistenza di qualsivoglia legame tra essi e la fonte base.
Notes de bas de page
1 Devillers & Sebastani 2018a, 11.
2 Cf. Fabrizi 2018.
3 Questo lavoro, qui limitato solo ad alcuni casi e autori, si inserisce in un progetto (Parte 2 del volume Girotti 2017) di più ampia portata inerente alla corte tardoantica e alle modalità di rappresentazione dei suoi protagonisti attraverso il confronto storico-lessicale tra alcuni testi tra i quali Ammiano Marcellino, Historia Augusta, Panegirici, Breviari del iv s. d.C. e autori cristiani (per lo più Orosio).
4 Duchêne 2018, 25.
5 Bisogna riflettere su alcune dinamiche intertestuali che legano i racconti storici ad altri testi con cui non condividono il contenuto, testi che quindi sono “modelli” ma non “fonti”: una “complessa intertestualità” seguendo in un certo senso la definizione data da Thorthon 2018 nel primo volume di questa collana. Ovviamente, un racconto storiografico non consente agli storici moderni di accedere direttamente alla realtà storica degli eventi narrati, ma può aiutare a comprendere meglio l’epoca della sua redazione (Fabrizi 2018). In questo studio si intenderà procedere assumendo il significato di modello proprio come declinato da Devillers & Sebastiani 2018a: modelli saranno considerati quei testi “dont la narration d’un événement donne des idées sur la manière de raconter un autre événement”.
6 A mero titolo di esempio: Ammiano Marcellino enfatizza la crudeltà e l’auaritia di Valentiniano, a cui associa un altro tratto tipicamente tirannico, l’odio per le aristocrazie, ma non solo non gli attribuisce libidine ma ne loda la castità e gli riconosce anche buone qualità. Valentiano è dunque una figura con evidenti tratti tirannici ma non un tiranno. A Valente Ammiano attribuisce avidità, magnarum opum intemperans adpetitor, ma lo loda anche per la equa amministrazione fiscale, e poi crudeltà, ma per lui non cita libidine, né loda la castitas come per Valentiniano. Costanzo è avido e soprattutto, come Costantino, favorisce l’avidità dei suoi cortigiani, è poi crudele ma casto. Costanzo Gallo era crudele ma non avido né libidinoso. Ammiano dunque vede nel suo tempo una successione di imperatori con tratti tirannici estesi, nonostante il richiamo alle tradizioni della ciuilitas, ma non li caratterizza come tiranni tipici, come Caligola, Nerone o Commodo. In questa sede si è deciso di trattare i termini auaritia e cupiditas (e collegamenti) solo fino a Diocleziano. Per un inquadramento sulla crudelitas di Valentiniano si rinvia a Girotti 2017, 149-168. Per Costantino e Licinio cf. Neri 1992. Sulla crudelitas ammianea, con bibliografia aggiornata, cf. Zugravu 2018.
7 La grande maggioranza, se non tutti gli studiosi, condividono ormai una convinzione di fondo circa l’esistenza della Enmann Kaisergeschichte, fonte comune almeno per Aurelio Vittore, Eutropio, Epitome e in parte Historia Augusta. Il lavoro autonomo sulla fonte comune presuppone un intreccio di notizie e in taluni casi una rielaborazione dei contenuti alla luce di una personale e originale visione storico-politica. Un metodo di lavoro, questo, che può anche, magari non sempre e magari non per tutti gli autori, presupporre un certo grado di autonomia di giudizio nel vaglio dei materiali e talvolta una qualche originalità nell’atto di composizione.
8 Cf. infra per le considerazioni legate anche alla saeuitia e all’auaritia.
9 Dufraigne 1975, 85 n. 3.
10 Ancora Dufraigne 1975, 85 n. 4.
11 Oros. 7.8: Anno ab urbe condita DCCCXXIIII Galba apud Hispanias usurpauit imperium. qui mox, ut Neronis mortem conperit, Romam uenit; cumque omnes auaritia saeuitia segnitiaque offenderet, Pisonem sibi nobilem industriumque adulescentem in filium atque in regnum adoptauit: cum quo septimo mense imperii sui ab Othone iugulatus est.
12 Cf. Ratti 1996, 220 che in merito al superlativo antiquissimae rinvia a Tac., Hist., 1.49: uetus in familia nobilitas; Suet., Galb., 2.3: haud dubie nobilissimus. Eutropio sceglie già dalle prime righe dunque il modello tacitiano, lasciando intendere che il suo ritratto di Galba sarà molto positivo.
13 Hellegouarc’h 1999, 92 traduce il passo in questo modo: “son règne fut bref, et eut des bons débuts, sauf qu’il paraissait trop enclin à la séverité”.
14 Qui Tacito ricorda l’uccisione da parte di Galba di Cingonius Varo e di Turpiliano, e rievoca l’esordio e l’entrata in Roma dell’imperatore con il massacro di tanti soldati. Per questo episodio notiamo invece la trasformazione nella fama saeuitia confirmata et aucta di Suet., Galb., 12.1. Nel passo di Tacito va rilevato che il massacro è segno di un cattivo presagio più che di un carattere negativo dell’imperatore.
15 Ratti 1996, 221.
16 E in questo senso si conferma ciò che già è stato espresso da Ratti 1996, 86: “le Bréviaire est dans ce domaine d’une cohérence absolue; le vocabulaire recouvre un système de pensée clair et qui plaide en faveur du caractère parfaitement concerté de ce qui est bien plus qu’un simple résumé de l’histoire romaine”. Cf. per uno studio dello stile di Eutropio Bordone 2010, dove viene cursoriamente citata anche l’auaritia. Cf. in generale anche Hellegouarc’h 1998.
17 A Vesp., 17 troviamo poi diversi esempi di quella che può essere definita la liberalitas dell’imperatore.
18 Lo stesso rapporto fra diligentia e liberalitas è messo in rilievo a proposito della politica fiscale di Settimio Severo da Epit., 20.5: ad quaerendum diligens, ad largiendum liberalis. Cf. Neri 1992, 114.
19 In generale nel Breuiarium Eutropio attribuisce crudelitas (Tiberio, Caligola e Domiziano, ma anche a Claudio in 7.13. 1 e ad Aureliano in 8.13.1 e 8.14), saeuitia (a Vitellio in 7.18.2; Aureliano in 9.14; Massimiano in 9.27.1 e 10.3.2; Nepoziano in 10.11.2), dedecus (a Nerone in 7.14.2; Vitellio in 7.18.2 e 5; Domiziano in 7.23.6) e libido (a Tiberio, Caligola, Domiziano, Caracalla in 8.20.; Vittorino in 9.9.3): questi vizi, apparentemente relativi alla sfera privata, sono comunque disdicevoli e da condannare in chi eserciti il potere.
20 Ratti 1996, 233 nota come l’auaritia sia da considerarsi l’opposto della liberalitas. Nel particolare caso di Tiberio qui discusso, Ratti non commenta la descrizione della auaritia come scelesta (206 e ancora 233). Su auaritia e liberalitas, intesa non solo come generosità del princeps nei confronti degli amici, ma anche come capacità e volontà di difendere il tesoro pubblico e di mettere le proprie ricchezze personali al servizio dello stato, ancora cf. Neri 1992, 110-126.
21 Eutr. 7.11,1-3: Tiberius ingenti socordia imperium gessit, graui crudelitate, scelesta auaritia, turpi libidine. Nam nusquam ipse pugnauit, bella per legatos gessit suos. Quosdam reges ad se per blanditias euocatos numquam remisit, in quibus Archelaum Cappadocem, cuius etiam regnum in prouinciae formam redegit et maximam ciuitatem appellari nomine suo iussit, quae nunc Caesarea dicitur, cum Mazaca antea uocaretur. Hic tertio et uigesimo imperii anno, aetatis septuagesimo octauo, ingenti omnium gaudio mortuus est in Campania (cf. Suet., Tib., 46: auaritia; 57-62: crudelitas).
22 Aurelio Vittore non si sofferma sul vizio dell’auaritia per Tiberio, pur insistendo su certe caratterizzazioni alquanto negative (ricalcando seppure con qualche variazione principalmente i modelli di Tacito e Svetonio); Aur. Vict. 2.1-2: Dein Claudius Tiberius Nero, in Augusti liberos e priuigno redactus arrogatione, ubi, quae metuebantur, satis tuta animaduertit, imperium complexus est, cuius nomen astu abnuebat: subdolus et occultior, hisque saepe simulando infensus, quae maxime cuperet, et insidiose deditus, quae odio erant; ingenio ad repentina longe acriore; bonis initiis deinde perniciosus, quaesitissimis in omnem fere aetatem sexumque libidinibus, atque atrocius puniens insontes noxios, suos pariter externosque. Adhuc dum urbes et conuentus exsecratur, Capreas insulam quaesiuerat flagitiis obtentui. Quare solutis militiae artibus direpta pleraque iuris Romani; nihilque praeter Cappadocas idque inter exordia in prouinciam subactum remoto rege Archelao; compressaque Gaetulorum latrocinia, quae Tacfarinate duce passim proruperant. Simul Marobodus callide circumuentus, Sueborum rex; neque minus contractas undique cohortes praetorias, quae dispersae proximis municipiis seu Romae quaeque per domos habebantur, in castra apud urbem redegit, qua tenebantur praefecturam appellans, uel augens, praetorio; nam ceteros paritorum praesidesque Augustue instituerat
23 Epit., 2.4 descrive il carattere dell’imperatore come auarus, insidiosus et simulans.
24 Hier., Chron., 172.9-14: Tiberius multos reges ad se per blanditias euocatos numquam remisit, in quibus et Archelaum Cappadocem, cuius regno in prouinciam uerso Mazacam nobilissimam ciuitatem Caesariam appellari iussit.
25 Festy 1999, 69 n. 4 : “les aspect négatifs de Tibère ont été amplifiés et déformés […] les abrégés du ive s. ont caricaturé Tibère”.
26 Eutr. 7.12.1-4: Successit ei C. Caesar, cognomento Caligula, Drusi, priuigni Augusti, et ipsius Tiberii nepos, sceleratissimus ac funestissimus et qui etiam Tiberii dedecora purgauerit. Bellum contra Germanos suscepit et ingressus Suebiam nihil strenue fecit. Stupra sororibus intulit, ex una etiam natam filiam cognouit. Cum aduersum cunctos ingenti auaritia, libidine, crudelitate saeuiret, interfectus in Palatio est anno aetatis uigesimo nono, imperii tertio, mense decimo, die octauo. Cf. Suet., Cal.: auaritiae aliquem increpare. Aurelio Vittore nel suo lungo ritratto evita di menzionare l’auaritia per Caligola: come rilevato (Dufraigne 1975, 73) l’autore in maniera curiosa sembra utilizzare mescolandoli tra loro due modelli, e precisamente Tac., Ann., 6.20 e Suet., Cal., 10.4.
27 Val. Max. 1.1.2: tam me hercule quam Plemini legati Scipionis in thesauro Proserpinae spoliando sceleratam auaritiam iusta animaduersione uindicauit: cum enim eum uinctum Romam pertrahi iussisset, ~ qui ante causae dictionem in carcere taeterrimo genere morbi consumptus est, pecuniam dea eiusdem senatus imperio et quidem summam duplicando recuperauit; 7: scelerata dementia. Per completezza, si ricorda che Iust. 24.2.3 parla di scelerata uoluntas, mentre a 27.2 usa l’espressione scelerata audacia. Scelus, sinonimo di seuerus, rigidus, tristis e tetricus (che però non ha corrispondenze con l’uso fattone da Eutropio) è in Mart. 9.69 (scelerate magister) e anche in Verg., Aen., 575.
28 Per questo termine cf. Ratti 1996, 94-100 e 231. Cf. inoltre Neri 1992, 105,112, 125,135 e passim.
29 Jordanes riprende il carattere dell’auaritia per Domiziano: parlando dell’imperatore nei Get., p. 76, 77, p. 34.17-35.8 (partic. p. 34.18) Grillone 2017, Jordanes non accenna alla sua superbia, ma denota la sua avarizia (Domitiano imperatore regnante, eius auaritiam metuentes...). Altrove ho avuto modo di segnalare la particolarità e la difficoltà di risalire alle fonti del ritratto di Domiziano per l’Epitome e per Jordanes. Cf. Girotti 2002, 153-157.
30 Suet., Dom., 10: Sed neque in clementiae neque in abstinentiae tenore permansit, et tamen aliquanto celerius ad saeuitiam desciuit quam ad cupiditatem. Se leggiamo come chiasmo le virtù e i difetti, la clementia si connota come contrario di saeuitia, il difetto di abstinentia è il contrario di cupiditas. Stesso senso hanno saeuitia e crudelitas anche in Eutropio, che associa come sostenuto da Ratti 1996, 232, crudelitas e saeuitia a libido o a mancanza di ciuilitas.
31 Sull’uso di iracundia nel iv secolo (per lo più in Ammiano) in relazione al modello Tacito cf. Sidwell 2008, 200-234. Per cupiditas auaritiae nei Breviari si segnala che l’espressione è conosciuta da Epit., 41.8 per Licinio: auaritiae cupidine omnium pessimus neque alienus a luxu uenerio, asper admodum, haud mediocriter impatiens. Neri 1992, 230-234 tratta in maniera esaustiva le relazioni e le fonti per l’auaritia di Licinio e di Costantino. Particolare attenzione è poi data da Neri anche alla caratteristica dell’ambitio, soprattutto per i casi di Diocleziano e Costantino (partic. 93-101).
32 Ratti 1996, 232.
33 Cf. per es. la cupido dominandi di Tac., Ann., 15.53.20.
34 Per i legami e le differenze tra l’ambitio di Diocleziano e l’ambitio di Costantino cf. Neri 1992.
35 Aur. Vict. 39.5: Sed postquam odore tabescentium membrorum scelus proditum est, ducum consilio tribunorumque Valerius Diocletianus domesticos regens ob sapientiam deligitur, magnus uir, his moribus tamen: quippe qui primus ex auro ueste quaesita serici ac purpurae gemmarumque uim plantis concupiuerit. Quae quamquam plus quam ciuilia tumidique et affluentis animi, leuia tamen prae ceteris. Namque se primus omnium Caligulam post Domitianumque dominum palam dici passus et adorari se appellarique uti deum. Quis rebus, quantum ingenium est, compertum habeo humillimos quosque, maxime ubi alta accesserint, superbia atque ambitione immodicos esse. Hinc Marius patrum memoria, hinc iste nostra communem habitum supergressi, dum animus potentiae expers tamquam inedia refecti insatiabilis est. Quo mihi mirum uidetur nobilitati plerosque superbiam dare, quae gentis patriciae memor molestiarum, quis agitatur, remedio eminere paululum iuris habet. Cf. Dufraigne 1975, 181; Neri 1992, 104.
36 Neri 1998, 317.
37 Eutr. 9.26: Diocletianus moratus callide fuit, sagax praeterea et admodum subtilis ingenii, et qui seueritatem suam aliena inuidia uellet explere.
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