Culture della persona: itinerari di ricerca tra semiotica, filosofia e scienze umane
| ,Parte seconda. Rileggere grandi pensatori
L’Oggettuale e la Persona nella cultura digitale
Texte intégral
1. Introduzione
1L’idea che il contesto tecnico e scientifico di un dato periodo storico ne influenzi anche il modo di pensare e di concepire il mondo non è nuova e nemmeno originale. In alcuni casi, infatti, è ben noto come anche interi movimenti culturali possano essere compresi soltanto alla luce di questi fattori: dalle forme del futurismo all’isotopia della scomposizione in Kandinsky. Molto è stato già detto anche sul tema specifico dell’impatto della macchina e del macchinario sulle società degli uomini, dal mutamento del lavoro alla scomparsa dell’aura nell’opera d’arte (Benjamin 1936). Tuttavia, laddove molte discipline umanistiche ci hanno insegnato e continuano a insegnarci l’importanza di guardare al passato per comprendere il nostro presente, la specificità dello sguardo semiotico risiede invece in quella audacia, caratteristica di opere come Il neobarocco (Calabrese 1987) o i Miti d’oggi (Barthes 1957), di guardare alla propria contemporaneità tendandone una interpretazione sincronica che tenga conto delle forme dominanti della Storia. È dunque in questa ottica che si lavorerà in questo articolo, partendo da una semplice osservazione: lo sviluppo tecnologico degli ultimi sessant’anni negli ambiti della robotica e dell’informatica ha sin da subito e ininterrottamente posto il problema della definizione della persona e della sua possibile estensione categoriale a un oggettuale dotato di intelligenza, agency e linguaggio. Osservazione che ci porta a delineare quello che sarà il nostro oggetto di indagine e la nostra domanda di ricerca: come si articola nei videogiochi, figli di quello sviluppo passato e in parte padri di quello attuale, l’opposizione fra oggetto e persona? Come infatti affermano Bonneuil e Pestre (2015, p. 9, mia traduzione:
Il secolo che comincia con la Prima Guerra mondiale è quello della penetrazione dei saperi scientifici e dei loro immaginari in tutti gli aspetti della vita sociale, economica e culturale.
2Si tratta di un secolo che gli studiosi definiscono come quello delle tecnoscienze le cui pratiche assumono una fortissima dimensione discorsiva (ivi, p. 18). Indagare i videogiochi, al tempo stesso prodotti di quel discorso scientifico e produttori di una discorsività del computazionale, diviene allora fondamentale. Certo è che essi non possono essere considerati come i primi prodotti culturali ad aver affrontato la questione, e che questa indagine potrebbe venire svolta su altri fronti. Pensiamo infatti a come già nel 1927 Fritz Lang ponga la figura dell’androide al centro di Metropolis, e a come ancora cento anni prima, con Frankenstein; or, the Modern Prometheus (1818), Mary Shelley tematizzi anche il problema di una persona-oggetto. Peraltro anche dal punto di vista della contemporaneità non si può non riconoscere la centralità del cinema con quei film cult che hanno al loro centro proprio questa tematica: 2001: A Space Odyssey (Kubrick 1968); Westworld (Crichton 1973); Blade Runner (Scott 1982); RoboCop (Verhoeven 1987); Bicentennial Man (Columbus 2000); e anche i più recenti Ex Machina (Garland 2015) e Her (Jonze 2013).
3Un discorso, quello cinematografico, che peraltro si potrebbe estendere anche alle serie televisive con il caso emblematico di Star Trek: The Next Generation (Roddenberry 1987) con il personaggio centrale di “Data” e intere puntate dedicate proprio al tema dell’androide (“The Measure of a Man”, 1989), ma anche di Knight Rider (Larson 1982 – noto come Supercar in Italia) con i dialoghi1 fra l’intelligenza della macchina KITT e il protagonista umano che spesso affida alla “macchina” molti compiti. Tuttavia se le opposizioni semantiche fra persona e oggetto non sono certo una novità, e possono addirittura essere ritrovate nella mitologia greca con la “statua vivente” Talos e più in generale nelle riflessioni di autori greci e latini sull’automa e sulla macchina (Choppin, Collognat 2020), diventa interessante indagare il modo in cui questa opposizione cambi nelle diverse narrazioni. Per esempio, mettendo a confronto Metropolis con I, Robot (Proyas 2004) è facile vedere come in meno di cento anni la posizione attanziale della macchina dalle sembianze umane e i valori assiologici inseriti su un elemento figurativo come la mano protesica siano diametralmente opposti. Similmente, la drammaticità del finale dell’episodio “The Lonely” della serie Twilight Zone (Serling 1956), episodio in cui un uomo giunge a preferire la solitudine su un asteroide insieme a un androide donna di cui si è innamorato piuttosto che il ritorno sulla terra, è lungi dall’essere ovvia o scontata nel momento in cui assumiamo una prospettiva storico-culturale. Far luce su queste trasformazioni è dunque ciò che proveremo a fare in questo contributo, guardando ai videogiochi come a una forma di testualità che in virtù della specifica attività interpretativa che richiede dispiega questa antica opposizione semantica in una maniera inedita e di grande interesse per le scienze umanistiche.
2. Quattro buoni motivi per cui indagare il concetto di persona attraverso i videogiochi
4Mettendo in rapporto il cambiamento tecnologico e la concettualizzazione della persona, i giochi digitali diventano un oggetto di studio da privilegiare per almeno quattro motivi. Il primo riguarda una certa consapevolezza sociale secondo cui i videogiochi non sono una tecnologia fra altre, bensì un modello insito in molte tecnologie del digitale. Scrive per esempio Baricco nel suo recente The Game:
La dico in modo brutale: per ragioni storiche e per così dire darwiniane, da un certo punto in poi (dall’IPhone in poi se dovessi azzardare una data) nulla ha più avuto serie possibilità di sopravvivenza se non aveva nel DNA il patrimonio genetico dei videogame. (Baricco 2019, p. 150)
5Un modello che dunque non può non avere un ruolo in quel cambiamento per cui
[i] nostri gesti già sono cambiati, con una velocità sconcertante, ma i pensieri sembrano essere rimasti indietro nel compito di nominare quello che creiamo a ogni istante. Non sono già più uguali lo spazio e il tempo, da un po’: sta succedendo la stessa cosa a luoghi mentali che per lungo tempo abbiamo chiamato passato, anima, esperienza, individuo, libertà. (ivi, p. 15)
6Il secondo motivo riguarda il funzionamento stesso dei videogiochi, costituiti (anche qui come molte altre tecnologie) da invisibili processi informatici sottostanti e caratterizzati proprio dal simulare intelligenze artificiali che sovente sono antagoniste rispetto alla persona del giocatore ma che al tempo stesso lo guidano nelle sue scelte e aiutano in diversi modi. Proprio questi due tratti sono stati molto recentemente associati a una possibile fine dell’individuo dal filosofo Gaspard Koenig (2019, p. 21, mia traduzione):
Se un algoritmo mi conosce meglio di me stesso e mi propone delle scelte più razionali di quelle che avrei fatto, se una miriade di oggetti interconnessi anticipano la mia capacità di decisione offrendomi una esistenza determinata e confortevole, se smetto a poco a poco di essere l’agente delle mie stesse azioni, perché effettivamente dovrei avere diritto di voto ed essere sottomesso alla minima responsabilità giuridica? L’IA sferrerebbe il colpo di grazia al libero arbitrio, e con lui all’idea kantiana dell’autonomia del soggetto.
7Il terzo motivo riguarda il luogo in cui essi sono divenuti un fenomeno di massa: il Giappone, luogo in cui lo sviluppo di tecnologie informatiche è stato al tempo stesso un fatto di salvezza economica e identitario (Tavassi 2012, p. 105) e che è divenuto la patria per antonomasia dei videogiochi a discapito dell’origine occidentale del medium così come di alcuni dei suoi prodotti più iconici. Ovviamente non possiamo qui dilungarci sull’ampia letteratura riguardo questo argomento, ma possiamo e dobbiamo quanto meno notare come sia proprio quello il luogo in cui nasce una delle prime figure di persona tecnologicamente oggettificata e positivamente assiologizzata: Astro Boy (1952) di Ozamu Tezuka.
- 2 Iron Man, vol. 3, n. 26, marzo 2000.
8Personaggio, questo piccolo ragazzino con un grande cuore elettronico, che può essere ricollegato non solo ad altri anime come Doraemon (Fujio 1970) ma persino a un intero genere testuale che è esclusiva dell’isola del sol levante, ossia quello dei mecha: da Mazinger Z (Nagai 1972) a Evangelion (Anno 1995) in cui viene rappresentato un robot che sanguina dotato di una mente e di un’anima. Un genere che ha peraltro aperto a molte tematiche correlate, come nel notissimo caso di Ghost in the Shell (Shirow 1989) e nel forse meno noto caso di Serial Experiments Lain (Ueda, ABe 1998). Infine, si tratta di un genere che non ha mancato di influenzare intersemioticamente anche le narrative occidentali come nel caso di The Iron Giant (Bird 1999) e forse persino quel momento significativo nei comics in cui l’armatura di Iron Man (Lee 1963) diventa senziente e il protagonista ottiene un cuore artificiale2. È d’altronde significativo che il Giappone abbia anche il suo proprio Metropolis animato (Rintaro 2001) che presenta interessanti differenze nel senso da noi indicato. Esaminare a fondo queste serie (Lorusso 2010) di testi e queste tendenze storiche è compito di una semiotica della cultura che supera gli scopi di questo articolo, ma certo è che per un semiologo tutto questo difficilmente può essere visto come pura coincidenza. L’ultimo motivo, infine, riguarda l’interesse caratteristico della semiotica per la cultura popolare e per i suoi prodotti. Basti pensare qui a come Umberto Eco si sia dedicato alle poetiche dell’arte contemporanea (Eco 1962) ma anche a Superman (Eco 1964) e Tarzan (Eco 1978). Questi oggetti infatti contengono in sé una certa modellizzazione e concettualizzazione valorizzata del mondo, essi sono traccia di un ovvio e ci aiutano dunque a ricostruire una data configurazione enciclopedica entro cui questi oggetti hanno senso (Paolucci 2017, p. 208).
3. Quale nozione di persona?
9Prima di indagare la nozione di persona nei videogiochi, bisogna tuttavia decidere prima a cosa ci riferiamo con questo termine. In modo consono alla metodologia semiotica, guardiamo dunque a una definizione dizionariale3 di questo concetto e selezioniamo le parti che ci sembrano di maggiore interesse:
1. a. Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e sim., considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività […].
2. letter. a. Con il sign. etimologico, maschera teatrale, e quindi anche la parte che un attore rappresenta sulla scena. b. estens. La parte che si sostiene nella vita sociale; ufficio, funzione ufficiale, figura giuridica […].
3. a. Il corpo, il fisico umano […].
4. Nel linguaggio giur., ogni soggetto di diritto, titolare di diritti e obblighi, investito all’uopo della necessaria capacità giuridica […].
10Notiamo già qui qualcosa di molto interessante, e cioè che “persona” coincide innanzitutto con “umano” sia dal punto di vista corporeo-genetico che dal punto di vista politico (e dunque sociale). È in effetti proprio in questi termini che usiamo tipicamente questa parola e ci viene molto intuitivo opporre la persona e l’oggetto. Peraltro, la seconda definizione della persona come maschera coincide anche con la sua nozione linguistica in cui essa assume funzione deittica e, appunto, relazionale4. A completare questa nozione vi è poi l’accezione filosofica secondo cui:
5. Nel linguaggio filos., l’individuo umano in quanto è ed esiste, ossia intende e vuole, esperimenta e crea, desidera e ama, gioisce e soffre, e attraverso l’autocoscienza e la realizzazione di sé costituisce una manifestazione singolare di quanto può considerarsi essenza dell’uomo, nella sua globalità intellettiva e creativa, e come soggetto cosciente di attività variamente specificate (razionale, etica, ecc.): la dignità, il valore, la libertà, la creatività della p. umana […].
11Questa nuova definizione è estremamente interessante perché introduce implicitamente alla dimensione ideologica della persona, a come cioè questo termine sia spesso sinonimo di una valorizzazione positiva dell’insieme di “umano” e “individuo”. Ed è infatti sempre in ambito filosofico che possiamo vedere una riflessione critica sull’irriducibilità della persona all’umano e all’individuo.
12Questa problematizzazione è al cuore di un libro come Individuo e Persona. Tre saggi su chi siamo (De Anna et al. 2007) e anche del dibattito bioetico sulla nozione di persona:
Se la persona è un composto di anima e corpo non possiamo partire presupponendo sin dall’inizio che l’anima sia presente dalla fecondazione nel corpo cioè nell’essere umano. […] Non possiamo cioè dire che l’essere umano è sin dall’inizio persona perché altrimenti non avremmo argomenti contro l’aborto. […] Presupporre che uguaglianza esiga la coincidenza di persona ed essere umano è, ancora una volta, dare per scontata la conclusione da dimostrare e in discussione. (Mori 2013, p. 164)
Già abbiamo visto che la persona è unione di corpo e anima, termine qui accolto per indicare le «funzioni superiori». Possiamo ora precisare che il corpo deve essere individuale: anche per questo il genotipo è in sé poco rilevante. Perché ci sia una persona sono necessarie due condizioni: l’individualità somatica e la razionalità («le facoltà superiori»). (ivi, p. 198)
- 5 Tale compito è stato intrapreso in questo volume da Ugo Volli, che indaga la storia della nozione e (...)
13Ovviamente non ci è possibile affrontare qui il problema di come la nozione di persona sia stata trattata nella storia della filosofia, e non si deve dunque prendere l’estratto da noi scelto come rappresentativo di una posizione comune. Parimenti non ci è possibile confrontare le definizioni di questo termine all’interno della molteplicità delle lingue e dei loro diversi dizionari, un lavoro sicuramente importante che tuttavia avrebbe richiesto un articolo apposito5. Quello che però è importante per la nostra riflessione è riuscire a isolare, attraverso queste diverse definizioni, un insieme di tratti generali che possano definire la persona a prescindere dalla sua natura umana. Diremo allora che la persona è:
-
singola (individuabile);
-
corporea/tangibile;
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capace (sente, comprende, vuole, agisce);
-
relazionata (contestualizzata);
-
valorizzata (l’attribuzione della qualità di persona avviene dall’esterno e non è neutra).
- 6 Alexa è l’assistente vocale di Amazon basato su cloud ed è l’intelligenza che alimenta Amazon Echo (...)
14Come sarà evidente al nostro lettore, di queste cinque caratteristiche è sicuramente la terza quella che pone maggiore problema (non che le altre siano del tutto pacifiche). Certo è che le strategie comunicative attraverso cui personificare l’oggettuale toccano tutti e cinque i punti: in questo stesso istante un programma sul mio computer mi ricorda che è tempo di fare un “health check” al mio pc e che è bene farlo spesso così che esso rimanga “in good shape”. Non di meno l’attribuzione metaforica di un corpo a un computer rimane meno problematica di una sua attribuzione agentiva, intellettiva e volitiva. Non a caso nell’introduzione di Intelligenza. Per una unione di intelligenza umana e artificiale (Ienca 2019) si sottolinea proprio la problematicità di definire l’intelligenza che, in virtù dell’importanza che le attribuiamo, è un concetto in qualche modo compromesso in partenza. Tuttavia questa terza caratteristica è anche semioticamente la più interessante proprio in quanto sarà essa che dovrà essere maggiormente finta in modo che possa venire attribuita la qualità di persona a ciò che pertiene al dominio dell’oggettuale. Non è un caso che Gaspard Koenig (2019, p. 64), che racconta di aver rimproverato i suoi figli per essere stati educati e gentili con Alexa6, concentri proprio su questa capacità di finzione la sua critica in quanto essa è anche il presupposto per assecondare poi quella tendenza animista che, rifacendosi a Bachelard, lo studioso definisce un ostacolo allo spirito scientifico:
Intraprendere una relazione affettiva con un robot non rappresenta l’avanguardia del progresso, ma una sua regressione per la nostra civiltà. Basta visitare il museo delle Arti Prime a Parigi per constatare come le società primitive si ingegnavano per attribuire un’anima, un potere e dei sentimenti a degli oggetti inanimati (il famoso mana dei Polinesiani). […] Da un punto di vista puramente scientifico l’IA non pensa, non soffre, non ama. (Koenig 2019, pp. 62-63, mia traduzione)
- 7 http://www.treccani.it/vocabolario/oggetto/ (corsivo mio).
15Trovandoci tuttavia dal lato della semiotica e non da quello della filosofia (che è e rimarrà la nostra stella guida e compagna di viaggio), a noi tocca invece studiare proprio quali siano le strategie attraverso cui la nostra società e i suoi testi personifichino l’oggettuale. Infatti, se di solito è ovvio pensare che le persone abbiano una personalità che le contraddistingue (individualizza), da un punto di vista prettamente semiotico (per cui il soggetto è esso stesso segno e l’accesso al mondo è sempre mediato dal discorso) è vero esattamente il contrario: è perché ci è possibile riconoscere una personalità che crediamo che qualcosa sia una persona. In altre parole noi non abbiamo accesso alla persona in quanto tale, alla sua ontologia, ma solo alla sua discorsività e a una narrativizzazione da noi attribuita che in quanto tale può benissimo essere finta o erroneamente assegnata. Da questo punto di vista bisognerà allora indagare contemporaneamente due aspetti di questo processo. Il primo è quello secondo cui la persona viene definita7 concettualmente in opposizione all’oggetto:
2. Per estens. a. La cosa (materiale o non materiale) o la persona cui è diretta un’azione, un’attività, un comportamento, o alla quale è rivolto un sentimento. […]
3. In senso più concr. e più com., ogni cosa che cada sotto i sensi dell’uomo: la luce permette di distinguere i varî o.; non conosco l’uso di questo o.; in partic. (spec. con una determinazione), cosa che abbia una forma definita e sia opera del lavoro umano. […]
6. In grammatica, s’intende per oggetto dell’azione verbale la persona o la cosa, concreta o astratta, su cui si esercita l’azione esplicata da un’entità agente, soggetto dell’azione, e che, nella frase con verbo transitivo attivo, costituisce il complemento diretto del verbo, cioè il complemento oggetto; questo, nelle lingue indoeuropee con declinazione, è indicato dal caso accusativo, nelle altre per mezzo della collocazione, in genere dopo il verbo. […]
16Qualunque strategia semiotica dovrà dunque in qualche modo neutralizzare, se non proprio capovolgere, queste proprietà passive dell’oggetto.
17Ma è forse ancora più interessante il secondo aspetto per cui una strategia semiotica di personificazione dell’oggettuale potrà anche far partecipare (Paolucci 2010) e rendere compresenti le qualità dell’uno e dell’altro. D’altronde se pensiamo a una delle icone del mondo videoludico, a Megaman (Capcom 1987) e al suo cane Rush (1990) ci rendiamo conto che sia dal punto di vista figurativo che narrativo essi sono dei robot contraddistinti proprio dalla partecipazione dei tratti “organico” e “non-organico” e di una forma di intelligenza naturale e artificiale. Vedremo così che quello che contraddistingue concettualmente la nostra contemporaneità non è affatto solo un rovesciamento di una opposizione semantica (secondo cui, come teme Koenig, al mutare della posizione della tecnologia muta inevitabilmente anche la nostra rendendoci non più soggetti ma oggetti) ma bensì una nuova logica di partecipazione che segna il modo in cui è cambiata la nostra cultura e che contraddistingue non solo i personaggi delle storie dei videogiochi ma anche la tecnologia videoludica stessa. Alla luce di tutto questo, la nostra indagine può dunque iniziare.
4. Processo semiotico di creazione dell’Oggetto-Persona
18Cominciamo col guardare al modo in cui i personaggi delle narrazioni videoludiche sono spesso oggetti che vengono personificati. Più precisamente, guarderemo alle quattro seguenti strategie:
-
L’oggetto come persona nelle narrazioni videoludiche come posizione attanziale: la macchina Aiutante & Soggetto.
-
L’oggetto come persona nelle narrazioni videoludiche come attore collettivo: la macchina parte indistinta del gruppo, la macchina come categoria naturale fra altre.
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L’oggetto come persona nelle narrazioni videoludiche come figura: la macchina con braccia e gambe, la macchina col volto, la macchina con l’occhio.
-
L’oggetto come persona nelle interazioni videoludiche come capacità: la macchina che ragiona attraverso il linguaggio.
4.1 I nuovi attanti delle narrative videoludiche: androidi, robot e intelligenze artificiali
19Per quanto riguarda il primo punto, gli esempi di aiutanti e coprotagonisti robotici sono davvero numerosi: dai recentissimi Star Wars: Jedi of the Fallen Order (Respawn Entertainment 2019) e Star Wars Battlefront II (EA DICE 2017) fino ad andare indietro al 2004 con “Dog” in Half Life 2 (Valve), al 2002 con Ratchet and Clank (Insomniac) o ancora prima al già citato Megaman. Persino la parte macchinica pilotata dal protagonista di Titan Fall (Respawn Entertainment 2014) è in realtà caratterizzata da una intelligenza artificiale con una personalità parziale e mostra di fatto di essere capace di una intenzionalità. Mentre invece in un caso come quello di ReCore (Comcept & Atmature Studio 2016) i robot dalle sembianze animali che accompagnano la protagonista mancano di una personalità ma sono di fatto ciò grazie a cui essa può agire sul mondo. Infine merita di essere citato anche il “BB” di Death Stranding (Kojima Production 2019), al tempo stesso una tecnologia e un feto umano che accompagna e aiuta il personaggio principale. Alcuni di questi coprotagonisti meritano tuttavia una maggiore attenzione, come Wheatley in Portal 2 (Valve 2011), Cortana nella serie di Halo fino al quarto capitolo (Bungie Studio 2001-2012) e i “pod” (piccoli robot fluttuanti che seguono i protagonisti) di Nier Automata (Platinum Games 2017).
- 8 https://theportalwiki.com/wiki/Wheatley.
- 9 Su questa interessante situazione di ribaltamento non ci dilunghiamo ma rimandiamo all’ analisi di (...)
- 10 https://halo.fandom.com/it/wiki/Cortana.
20Per quanto riguarda il primo, esso viene definito come «The Intelligence Dampening Sphere, more commonly known as Wheatley, is a personality core of masculine programming and English West Country accent»8. Wheatley assume un grande rilievo per la nostra indagine non solo perché ha un ruolo centrale nella trama in cui subisce un vero e proprio mutamento, ma anche perché appare come dotato di tutta una serie di tratti caratteristici della persona (fino appunto ad avere non solo capacità linguistica ma persino un particolare accento) in un contesto in cui l’avatar del giocatore ne è invece sprovvisto (non parla, non sappiamo nulla di chi sia né di cosa voglia, non ne vediamo quasi mai il volto, ecc.) e in cui questa mancanza viene messa in luce dal gioco stesso9. Il secondo caso, quello di Cortana, è invece importante per un fattore per così dire sociologico. Dal punto di vista narrativo Cortana viene definita10 come «una IA dell’UNSC, il cui numero di serie è CTN-452/9» che assume tuttavia il suo tratto umano in quanto la «sua matrice fu creata dai tracciati celebrali della dottoressa Halsey: essa fu creata con gli algoritmi di decrittazione e di intercettazione più avanzati e scelse di essere l’accompagnatrice del Capo». Da cui il fatto che essa sia descritta come «seria e diligente nello svolgere i suoi compiti, ma ha un’indole allegra e la battuta facile» e che abbia anche una particolare figurativizzazione dall’aspetto «di una bella ragazza “nuda” con pelle e capelli viola e il corpo solcato da circuiti elettrici».
- 11 “Woman cried to Titanic, Men cried to Terminator 2, Gamers cried to Halo 4”: https://www.youtube.co (...)
- 12 https://www.youtube.com/watch?v=u4Cn30Rqwdc.
- 13 https://www.reddit.com/r/fanart/comments/95fjbe/death_of_cortana_by_legion5551/.
- 14 https://ifunny.co/picture/dad-why-the-fuck-you-crying-so-damn-loud-halo-voJqCSXU5 ; https://memegen (...)
- 15 https://www.youtube.com/watch?v=h74TG_Ge8KI.
21Vediamo già qui molteplici delle strategie prima delineate, ma il vero motivo per cui la mettiamo in rilievo risiede nel fatto che alcuni commenti11, video di reactions12, fan art13 e diversi meme14 siano nati in seguito a un evento narrativo in Halo 4 (Bungie 2012) in cui essa muore sacrificandosi per salvare il protagonista (e giocatore). La morte dell’IA sembra aver insomma molto colpito e commosso la comunità dei giocatori di uno dei generi videoludici forse più criticati: lo sparatutto (genere in cui il compito principale del giocatore è quello di uccidere senza sosta centinaia di nemici manipolando diversi tipi di armi da fuoco). Il terzo e ultimo caso dei pod in Nier Automata è invece importante in quanto essi sono coprotagonisti robotici di soggetti principali androidi dalle sembianze umane. Tutta la storia di Nier riguarda infatti il tema di ciò che diviene la cultura umana, dalle sue nozioni filosofiche alle sue pratiche, una volta che essa viene ereditata da creazioni oggettuali in un mondo privo di umani in cui delle creazioni a loro immagine e somiglianza (appunto gli androidi) sono in costante guerra contro dei robot extraterrestri che, una volta invasa la Terra, si sono nutriti della cultura umana e sono mutati in funzione di essa. Entrare nei dettagli della sua complessa trama ci è qui impossibile, ma basti dire che il giocatore si ritroverà davanti a tutta una serie di scene come una grande orgia di robot intenti (in vano) a riprodursi15 o ancora a dei “bambini robot” morti per suicidio dopo aver fatto evolvere la nozione di paura in angoscia e disperazione. Ebbene, all’inizio di tutto questo i protagonisti sono accompagnati e aiutati da un piccolo pod volante che non ha sembianze antropomorfe e che è dotato di limitatissime capacità linguistiche; pod che tuttavia svilupperà una coscienza e una personalità proprio in virtù delle comunicazioni e relazioni con le altre intelligenze non umane, al punto da determinare il true ending (vero finale “felice” fra molti altri possibili) stesso della storia.
4.2 L’oggettuale fra partecipazione e inclusione
22Ma veniamo ora alla seconda strategia, quella dell’inclusione ed estensione della categoria oggettuale. Essa avviene principalmente in due modi. Il primo è direttamente collegato alla posizione attanziale, e consiste proprio nell’inserire la figura del robot (nel suo termine esteso) all’interno di gruppi (semioticamente unità) di personaggi, legando cioè queste figure oggettuali a una appartenenza comunitaria oltre che a un preciso lato dello schema attanziale: essi sono non più solo coprotagonisti ma alcuni fra/come altri. Anche qui gli esempi sono numerosi, dall’NPC robot reclutabile “Vax” in Wasteland (Interplay Entertainement 1988), a Robo in Chrono Trigger (Squaresoft 1995) e fino a agli emblematici Legion di Mass-Effect 2 (BioWare 2010) e HK-47 di Star Wars KOTOR (BioWare 2003), entrambi contraddistinti dal loro non essere umani sia per un caratteristico cinismo che per una imperfetta capacità linguistica. Ma troviamo questa situazione anche in giochi molto meno narrativi, come Pathfinder in Apex Legends (Respawn Entertainment 2019) o ancora in League of Legends (Riot Games 2009) in cui troviamo sia personaggi robotici che skin (rappresentazioni figurative alternative rispetto a quelle originali) robotiche per personaggi umani e creature di vario tipo. Da notare infine qui due casi recenti: quello di Fallout 4 (Bethesda 2015) e quello di Persona 5 (Atlus 2016). Nel penultimo capitolo di Fallout (2015) troviamo ben quattro personaggi robotici reclutabili, contro uno solo nel terzo capitolo del 2008. In Persona invece possiamo vedere come, se nei capitoli precedenti vi era già stata una protagonista androide nominata “Aigis” (Persona 3, Atlus 2006), l’ultimo titolo ci presenti un personaggio (Futaba) femminile il cui “spirito” ha un nome che si riferisce a un tomo “mitologico” di Lovecraft (Necronomicon) ma che figurativamente è rappresentato come un ufo pieno di “computer” con cui lei interagisce e che lei pilota come veicolo. La dimensione oggettuale ricopre in questo caso dunque anche una figura spirituale, mitica e psicologica.
23Il secondo modo in cui questa inclusione avviene è però forse ancora più significativo, e può essere osservato in uno dei titoli più noti e giocati al mondo: Pokémon. Sin dalla prima generazione (Game Freak 1996) è evidente come la maggior parte dei pokémon siano esseri estremamente simili a degli animali esistenti e legati ad alcuni elementi naturali, eppure vi sono tre evidenti eccezioni: Magnemite (un simil magnete), Porygon (una figura tridimensionale) e Voltorb (una sfera elettrica dall’aspetto di una pokeball). Non soltanto essi appartengono a una dimensione oggettuale, ma il loro far parte di uno stesso gruppo non viene inizialmente problematizzato e bisognerà aspettare la seconda generazione per vedere esplicitato nel pokedex (piccolo computer portatile che contiene molti dati) questa appartenenza insolita. E proprio nella seconda generazione possiamo vedere come i pokémon oggettuali si riconfermino come una presenza caratteristica della serie e assistiamo addirittura alla nascita di una nuova tipologia di pokémon: acciaio. La scelta dell’acciaio come tipologia insieme alle altre, che appartengono o agli elementi naturali (fuoco, acqua, ecc.) o a una dimensione antropologico-simbolica del vivente (psico, fantasma, folletto, ecc.), è significativa dato che si tratta di un materiale che è caratterizzato da un intervento umano. Questa tendenza continuerà peraltro nel tempo, per cui avremo pokémon portachiavi, ingranaggi, spade, e così via fino al caso della forma perfetta di Zygarde, pokémon narrativamente legato alla mitologia e fatto di cellule ma che dal punto di vista figurativo è rappresentato secondo i tratti tipici del mecha. Non sorprenderà dunque che nel capitolo “Luna e Sole” (2016) il pokedex stesso del protagonista venga integrato come un pokémon, Rotom, e assume dunque un volto e una personalità. Questa tendenza peraltro non riguarda solo la serie Pokémon, ma può essere riscontrata anche nella serie dei Final Fantasy in cui se in passato alcune fra le “semi-divinità” di quei mondi magici avevano una natura eccezionalmente oggettuale (il caso più eclatante essendo Ark in Final Fantasy IX del 2000, un vero e proprio dio-mecha in un universo fantasy per nulla futuristico) col tempo, nel tredicesimo capitolo (2009), il tratto meccanico-oggettuale è diventato assolutamente dominante. Così il semidio-cavaliere Odino diventa un robot meccanico che può trasformarsi in un cavallo riorganizzando le sue parti e il drago Bahamut allo stesso modo diventa un aereo da caccia. E, a dimostrazione della compartecipazione semantica dell’oggettuale con ciò che gli è tradizionalmente opposto, entrambi sono creati da una dea che ha rinchiuso il loro spirito in un cristallo magico. Infine, se da un lato assistiamo dunque a un oggettuale sempre più “vivo” e personificato, dall’altro in un gioco come Horizon Zero Dawn (Guerilla Games 2017) vediamo come l’intero mondo naturale viene immaginato come popolato da selvaggi animali meccanici che la protagonista cacciatrice dovrà domare e combattere grazie a lance e fionde tecnologiche. Una chiara dimostrazione del dialogo culturale in corso e della natura relazionale del significato e dei valori investiti su questi termini.
24Tutti questi esempi ci mostrano dunque come la dimensione oggettuale diventi una categoria che partecipa non solo a quella del vivente ma ricopre a volte addirittura posizioni metafisiche e trascendentali; in più occasioni l’oggetto e il divino infatti coincidono. A riguardo, non si può non citare la serie Xenoblade Chronicles (Monolith Soft 2010) in cui l’oggettuale meccanico assume il ruolo di una semidivinità all’origine del mondo e in eterno conflitto con il mondo dell’organico (e dunque non più come un oggetto creato da):
- 16 Dialogo tratto dalla cutscene introduttiva del gioco.
Long ago, the world was nothing more than an endless sea cloaked in a boundless sky, reaching as far as could possibly be imagined. [the clouds part to reveal two giants – one white, the other black] Then two great titans came into existence: the Bionis and the Mechonis.16
- 17 http://www.treccani.it/vocabolario/meccanico/.
- 18 Ivi.
25La scelta semantica del “meccanico” è estremamente interessante in quanto rimanda non solo a ciò che è «di macchina, che riguarda le macchine o in qualsiasi modo ha rapporto con esse»17 ma più in particolare all’idea di un agire «che si fa o si compie per mezzo di macchine o di meccanismi varî: aratura, trebbiatura m.; trazione m. (contrapposta alla trazione animale); lana m., lana rigenerata. e. Per estens., di ogni operazione che si compie quasi automaticamente, senza un diretto intervento dell’intelligenza e della volontà»18. Come ulteriore e ultimo esempio di questo fenomeno è anche doveroso citare la serie di Persona (in particolare i capitoli 3-4-5) in cui la figura mitologica di Metatron, l’angelo più vicino a dio, viene rappresentata proprio attraverso i tratti semantici tipici della macchina.
26Concludendo, va infine notato come la partecipazione e l’inclusione non siano strategie semiotiche separate ma possano benissimo coincidere, fino a rendere persino molto sottile la distinzione fra il nostro punto 4.1 e 4.2. Un caso esemplare qui è Super Robot Wars V (B.B Studio 2017), titolo che non a caso riprende la tradizione del genere mecha prima citato e permette al giocatore di farsi la sua propria squadra di robot (da curare e migliorare in modo non dissimile dai pokémon) per salvare il mondo.
- 19 Nome del robot.
- 20 Nome del robot.
- 21 Nome del personaggio umano.
27Qui non soltanto i piloti danno a volte del tu alle loro macchine («Let’s make quick work of ’em, Grungust19») e dialogano con queste quando sono dotate di AI («Gaine20, we don’t need to show any mercy here» «Roger! We’ve got this, Maito21!») ma abbiamo una pilota protagonista che non sa pilotare quasi per nulla e il cui successo dipende fondamentalmente da una avanzatissima IA. Inoltre, col progredire della storia nascerà un vero e proprio rapporto emotivo fra questa pilota e il software, che comincerà a chiamare la protagonista “Sis” (diminutivo di sister) e a un certo punto si incarnerà in un corpo di androide (indistinguibile da un umano vero e che peraltro mostra segni tipici degli umani come il fatto di arrossire in alcuni momenti di imbarazzo) diventando un personaggio a tutti gli effetti simile agli altri. Riassumendo abbiamo dunque (1) l’IA di un robot fra molti altri (2) con un ruolo assolutamente centrale nel determinare il destino della protagonista e condividere la sua storia (4.1) (3) che assume visivamente la forma di un individuo umano pari a quello di altri (4) e dimostra di possedere tratti tipici della persona (emozioni, volontà, riflessione) rientrando pienamente in una forma partecipata e inclusiva dell’opposizione “persona vs oggetto”.
4.3 Figure e linguaggi dell’oggettuale
- 22 Su questi temi, presso l’università di Torino e all’interno del progetto ERC FACETS diretto da Mass (...)
28Concludiamo questa prima metà della nostra riflessione con due aspetti semiotici e strategie che sono indispensabili: il piano figurativo e quello linguistico. Sul primo non ci dilungheremo molto in quanto gli esempi precedenti hanno già dimostrato come, attraverso figure antropomorfe come quella dell’androide (con quell’elemento iconico limite che è l’occhio, si veda Arcagni 2018 e si pensi a Hal 9000), la dimensione figurativa abbia un ruolo fondamentale nel superare la classica contrapposizione semantica fra oggettuale e vivente. Ci limitiamo qui a sottolineare come sia nel già citato caso di Zygarde che in quello del gioco Horizon, ambientato in un mondo selvaggio popolato da macchine dalle sembianze animali, la figurativizzazione avvenga anche al contrario e cioè attraverso l’attribuzione di tratti semantici della macchina a ciò che rientra nella categoria del vivente. Merita invece maggiore attenzione la dimensione linguistica, di cui ancora non ci siamo occupati. Se infatti la persona è innanzitutto dimostrazione di personalità attraverso il riconoscimento di una qualche qualità e capacità cognitiva, ebbene quest’ultima si manifesta propriamente innanzitutto e per eccellenza nel linguaggio. Da questo punto di vista le strategie adoperate nei testi digitali sono principalmente due: la macchina può parlare in modo indistinguibile dal vivente, al contrario essa può marcare la sua natura oggettuale attraverso un linguaggio proprio ma simile. Wheatley è un chiaro esempio del primo caso, possedendo addirittura una varietà diatopica della sua lingua parlata. Ma appartengono anche a questa categoria i versi degli animali robotici di Horizon Zero Dawn. Nel secondo caso del “linguaggio proprio ma simile” rientrano invece i già menzionati Legion e HK-47, casi emblematici in cui la propria capacità linguistica risulta simile all’umano ma diversa proprio per marcare non tanto una diversa origine biologica (con Legion che è per esempio dotato di pannelli capaci di emulare le espressioni facciali)22 ma una diversa logica: entrambi i robot sono per alcuni versi cinici e crudeli. Similmente i pod di Nier Automata, inizialmente vincolati a un modo di esprimersi più vicino al GPS che non all’umano, dialogheranno sempre di più fino a poter risvegliare una coscienza. Infine va anche citato il gioco Event[0] (Ocelot Society 2016) in cui la capacità linguistica dell’IA non viene riflessa sul versante espressivo ma bensì su quello della comprensione: il giocatore infatti potrà scrivere liberamente sulla sua tastiera degli enunciati verbali che, nella maggior parte dei casi, verranno compresi e a cui verrà data una risposta linguisticamente verosimile.
5. Processo semiotico di creazione della persona-oggetto
29Bisogna a questo punto però completare la nostra indagine guardando fuori dallo schermo e considerando quelle che sono le specificità del medium videoludico: l’interazione e il coinvolgimento embodied del giocatore. Quanto abbiamo visto fino a ora si può riscontrare infatti benissimo anche al cinema o nella letteratura, ma come vedremo ora il medium videoludico possiede alcune potenzialità che gli sono proprie e che permettono un livello meta-discorsivo ricco di significato avvicinando i giocatori stessi a una condizione oggettuale su un piano esperienziale. I punti su cui soffermarsi sono questa volta tre:
-
la persona negata attraverso il personaggio «vuoto»;
-
la persona dotata di un accesso oggettuale ai mondi virtuali;
-
la valorizzazione di qualità meccaniche e di intelligenze artificiali adottate dalla persona.
5.1 Il paradosso dell’avatar
30La nozione di personaggio è molto evidentemente legata a quella di persona e assume un’importanza centrale nei prodotti che possiamo definire narrativi. Sebbene le narrazioni propriamente dette interessino soltanto una parte dei testi videoludici (si pensi al fatto che una delle icone dei videogiochi è Tetris), vale la pena osservare un fatto caratteristico di quei giochi che hanno una qualche storia esplicita o almeno un qualche espediente narrativo. Laddove in altri generi queste storie vengono mostrate attraverso un protagonista, al contempo punto di vista e oggetto di immedesimazione o rifiuto da parte dello spettatore/lettore, nei videogiochi il protagonista, ovvero il livello attoriale del Soggetto, è una figura spesso vuota. Alcuni di essi non hanno nemmeno un volto proprio. Chi è il Doom Guy di Doom (id Software 1993)? Quale sentimento spinge Mario a voler salvare la principessa (Nintendo 1985)? Cosa pensa Rosso del suo rivale Blu in Pokémon? Quale infanzia ha avuto Rayman? Cosa prova Ryu quando viene sconfitto durante il torneo che è per lui così importante (Capcom, 1988)? Che carattere ha il Link di The Legend of Zelda (Nintendo, 1986)? Quale difetto contraddistingue l’eroe di Shadow of the Colossus (Team Ico, 2005)? Domande di questo genere, prive di risposte all’interno dei testi in cui questi protagonisti sono nati, possono moltiplicarsi praticamente all’infinito. Se messi a confronto con prodotti cinematografici iconici del genere action come First Blood (Kotcheff 1982) o Bloodsport (Arnold 1988), questi ultimi sembrano capolavori letterari per la cura che dedicano alla psicologia, al passato, alle emozioni, alle relazioni interpersonali e ai sogni dei loro personaggi principali. Si guardi anche ai protagonisti creati nella serie fortemente narrativa di Final Fantasy (Squaresoft & Square Enix 1987- 2020), vi si troverà un punto comune interessante: essi appaiono spesso privi di memoria e come creazioni artificiali (FFVII & IX), possono non avere alcun vero scopo oltre all’avventura stessa (FFV), in altri casi sono spiriti o sogni (X) o ancora vengono definiti come piatti e neutri (XII) al punto da guadagnarsi l’odio degli stessi fan della serie23. Infine, non si possono ignorare tutti quei giochi iconici in cui il giocatore può liberamente creare il proprio personaggio, da Ultima (Garriott & Origin System 1981) ad Animal Crossing New Horizons (Nintendo 2020) passando da Bloodborne (FromSoftware 2015) e Spore (Maxis 2008), fino a permettere persino di caratterizzarlo moralmente come nel già citato Fallout 3. Questa assenza di personalità (che ovviamente ha le sue eccezioni), e su un livello più profondo di intenzionalità e libertà di scelta, appare tanto caratteristica che essa viene problematizzata e diviene un vero e proprio tema narrativo in titoli come No more Heroes (Grasshopper 2007) o Bioshock (BioWare 2007). Ancora, è soltanto alla luce di questa particolarissima non-identità del Soggetto che possiamo comprendere il senso profondo che assume nel già citato Persona 5 in cui ciò che caratterizza il protagonista è la possibilità di assumere infinite maschere. Questo tuttavia in genere non viene visto come un difetto ma piuttosto come una condizione necessaria perché il giocatore possa, secondo la nota retorica pubblicitaria dei giochi, scrivere la propria storia ed essere chi decide di essere. Ma appunto di retorica si tratta: è chiaro che questa posizione può venire riempita dall’enciclopedia del giocatore solamente in parte e che diventa problematico essere un cinico artista vegetariano negato per la matematica e trumpista in Doom. Piuttosto i videogiochi sono testi che, in modo estremamente interessante per la nostra riflessione, spesso non sembrano richiedere una persona, nella sua accezione filosofica e forte, al centro delle sue narrazioni ma solo un suo punto di vista simulacrale che sia funzionale più al come che non al perché delle azioni che accadono all’interno delle sue narrazioni. Peraltro essi spesso non necessitano nemmeno di quella caratteristica capacità empatica e relazionale che distingue molte altre forme testuali; le motivazioni dell’avatar sovente altro non sono che quelle del giocatore e non richiedono comprensione: la drammaticità della morte di un personaggio virtuale spesso risiede innanzitutto nell’effettivo e vano dispendio di tempo, aspettative ed energie di chi lo comanda.
31Se non che, ulteriore punto di rottura, il videogioco prevede tipicamente forme di salvataggio e di caricamento che fanno venire meno quel fondamentale principio della destinalità (Surace 2019) e spingono dunque nuovamente il giocatore a ragionare e a valorizzare una perdita e intenzione frustrata fuori dai normali schemi della persona. In quanto prodotti digitali (Leone 2019) i videogiochi mettono infatti in crisi naturalmente, potremmo dire tecnicamente, il normale ambito della significazione. Ecco allora che impersonare un avatar richiede al tempo stesso di affermare e negare uno degli aspetti fondamentali dell’individuo umano: la sua soggettività. Come si fa infatti ad essere qualcuno e non qualcosa in un videogioco? La risposta non è affatto ovvia. Proprio come conseguenza di ciò il giocatore è spesso posto in una situazione in cui deve strenuamente differenziarsi sia dagli altri giocatori che dalle entità agentive non umane presentate dal gioco, il che spiega la centralità degli inventari di azioni e di oggetti anche nei giochi offline: il giocatore può distinguersi solamente attraverso i suoi enunciati e attraverso la marca del superfluo, dell’eccezionale o dell’errato (in un platform game saltare senza un pericolo o sbagliare la tempistica di un salto e cadere). Si guardi per esempio un gioco come Super Smash Bros Ultimate (Bandai Namco Games 2018) e si vedrà facilmente come, senza l’aiuto di una telecamera ancorata sul giocatore, possa essere virtualmente impossibile riconoscere dallo schermo quale sia l’umano. Questo problema del riconoscimento può anche essere visto nel caso delle speedrun compiute da TAS (tool-assisted speedrun) che richiedono appunto verifiche per accertarsi che queste performance vengano compiute da persone e non da programmi. Infine pensiamo a un titolo come Spy Party (Hecker&Cimino 2018) in cui un giocatore deve fingersi “NPC” mentre un altro deve indovinare chi fra i vari avatar sia un umano. Se da un lato l’avatar è dunque una estensione della persona del giocatore in un mondo virtuale, al tempo stesso esso spesso la oggettifica e amputa.
5.2 Il corpo e lo sguardo dalla macchina
- 24 Traduzione mia.
32Non soltanto la persona diviene oggetto da un punto di vista logico-perfomativo, ma sempre più sovente nelle narrazioni il giocatore è chiamato a far coincidere la propria soggettività con quella della macchina o dell’androide. Questo accade innanzitutto in tutti quei giochi in cui sempre più spesso il protagonista, e dunque avatar del personaggio, è rappresentato come una macchina: dalla razza giocabile degli Exo in Destiny (Bungie 2014) al protagonista di Primordia (Wormwood Studios 2012), casi a cui si aggiungono gli ibridi come i mecagnomi di World of Warcraft (Blizzard Entertainment 2004-2020) divenuti giocabili solo di recente e ancora i protagonisti umani rappresentati però unicamente nelle loro vesti tecnologiche, dai corpi e volti inaccessibili, come la protagonista di Metroid nei suoi esordi (Nintendo 1986). Le trasformazioni che avvengono su questo versante sono numerose e significative: i due protagonisti del classico Contra (Konami 1987) diventano i soldati super tecnologici di Synthetik Legion Rising (Flow Fire Games 2018), la mano demoniaca di Nero in Devil May Cry 4 (Capcom 2008) diventa protesica nel quinto capitolo (Capcom 2019), lo Snake e il Raiden di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (Konami 2001) diventano alla fine totalmente integrati con la tecnologia bellica che combattono sin dall’inizio della serie, l’oscuro e crudele mondo magico di Dark Souls (FromSoftware 2011) trova un suo corrispettivo retorico-esperienziale (Bogost, 2007) in The Surge (Deck13 Interactive 2017) in cui domina il tratto meccanico integrato con quello biologico. Non si tratta qui però soltanto di un aspetto rappresentativo, ma di una isotopia che dalla rappresentazione sullo schermo passa alle modalità attraverso cui il giocatore agisce e percepisce il mondo videoludico: a protagonisti sempre più ibridi e integrati con la tecnologia (Da System Shock a Deux Ex passando per Dex e Prey) corrispondono giocatori che lo sono a loro volta. Così in Detroit: Become Humans (Quantic Dream 2018) non soltanto la persona del giocatore deve impersonare tre androidi attraverso costanti scelte morali, ma in questo stesso gioco l’investimento grafico sul realismo visivo dei volti fa sì che egli inevitabilmente riversi su queste figure oggettuali una dimensione passionale che per motivi tecnici era prima esclusiva del cinema. La vicinanza della persona e dell’oggetto non è perciò solamente un tema narrativo, ma co-esiste su un piano esperienziale ibrido. Il giocatore da un lato vede rappresentato un alter-ego oggettuale della sua persona, e dall’altro entra a far parte di un mondo oggettuale a cui ha accesso tramite delle effettive protesi che sono quelle del linguaggio audiovisivo. Come scrive24 infatti Claudio Paolucci (2017, p. 68):
Perché è soprattutto in queste protesi e in questi stimoli di sostituzioni che la soggettività si manifesta nell’audiovisivo. Un corpo, un soggetto, un’istanza, qualcosa che sono io-qui-ora ha delle possibilità proprie che un enunciato può magnificare, aumentare o diminuire. Nell’audiovisivo, da un evento all’altro, da una posizione del soggetto a un’altra, l’enunciazione varia o lascia invariato il differenziale di queste possibilità. Nell’audiovisivo, ciò non avviene costruendo mimeticamente un “qualcuno” idealmente in grado di ascoltare / vedere / raccontare, ma aprendo punti percettivi / cognitivi / narrativi che installano “stimoli di sostituzioni pertinenti quanto l’oggetto reale ”(Eco 1997), sebbene non siano, ovviamente, l’oggetto reale.
- 25 Su questo tema si veda la recente pubblicazione di Francesco Mazzucchelli Sguardi artificiali. Stra (...)
33Persino la classifica opposizione fra soggettiva e oggettiva viene a cadere nel mondo videoludico in cui il punto di vista “oggettivo”, in terza persona, diviene a tutti gli effetti uno sguardo soggettivo che è possibile manipolare direttamente o indirettamente attraverso il movimento del personaggio. Al fine di chiarire meglio queste nostre ultime affermazioni faremo ora un esempio molto concreto mettendo a confronto due scene: lo sguardo sul mondo di Terminator 25 (Cameron 1984) della figura 1 e quello del giocatore di Borderlands 3 (Gearbox 2019) della figura 2 che controlla un personaggio umano.
34Sperando che questa somiglianza sia stata colta dal lettore, è precisamente in questi termini che intendiamo che un giocatore all’interno di un mondo videoludico abbandona parzialmente le sue possibilità percettivo-cognitive di accesso al mondo per adottarne altre, tramite le protesi audiovisive, che tipicamente abbiamo sempre identificato come oggettuali (e che oggi possiamo vedere integrate nella tecnologia della realtà aumentata). Un fatto perfettamente esemplificato nell’introduzione di Nier Automata che ci porta a modificare le impostazioni visive del gioco riferendosi però a delle modifiche che stiamo apportando alla nostra stessa percezione del nostro corpo di androidi e implicitamente di giocatori ibridati. Non sorprende allora affatto che alcune narrative videoludiche come Soma (Frictional Games 2017) o The Turing Test (Bulkhead Interactive 2016) giochino proprio sulla percezione del giocatore per farlo credere di essere un agente umano quando in realtà egli è in quelle narrazioni un agente non-umano e oggettuale. Parallelamente, possiamo ora capire che la differenza in Deus Ex: Mankind Divided (Eidos Montreal 2016) o Prey (Arkane Studios 2017) fra giocare con o senza “augmentations” (ovvero potenziamenti protesici) assume un’ulteriore dimensione legata all’effettiva diversa presa sul mondo (esempio: meno informazioni sull’ambiente circostante in cui muoversi) e fatica del giocatore per superarne i pericoli. L’interazione stessa col videogioco come tecnologia audiovisiva e protesica, insomma, diventa profondamente significativa su un livello esperienziale e permette a tematiche non nuove di venire “trattate” in modo inedito e significativo (in modo simile a come una persona che abbia sempre usato Maps per orientarsi possa un giorno ritrovarsi parzialmente incapace di orientarsi nel momento in cui dovesse far cadere il telefono).
5.3 Persona umana e intelligenza artificiale
35Privato della complessa ricchezza identitaria della sua persona e delle sue intenzioni, e costretto a mediare tecnicamente la sensibilità attraverso cui coglie intersoggettivamente il mondo, cosa resta della persona all’interno dell’esperienza videoludica? Ne rimane il punto che abbiamo definito in precedenza come il più complesso: la sua intelligenza intesa come capacità cognitiva superiore. Di primo acchito questo sembrerebbe rassicurarci in quanto giocare a un videogioco ha quasi sempre (sottolineiamo il quasi, si veda Elegy for a Dead World, sviluppato da Dejobaan Games nel 2014) a che vedere col risolvere problemi. Tuttavia se c’è qualcosa che distingue il xxi secolo e mette in crisi la nozione di persona ebbene si tratta proprio dell’automatizzazione e oggettificazione dell’intelligenza. Proprio questa situazione fa sorgere in Koenig (2019) il problema della fine dell’individuo/persona in quanto libero e responsabile delle sue azioni e decisioni, oggi in parte largamente prevedibili e intermediate da algoritmi: dalle nostre ricerche sul web alle diagnosi in campo clinico. Di questa condizione e parziale messa in discussione della superiorità dell’intelligenza umana, è allora forse iconico proprio un momento legato alla storia dei giochi: la sconfitta, nel 1997, subita da Kasparov contro l’intelligenza artificiale Deep Blue durante una partita a scacchi. Proprio questa sconfitta fece infatti sorgere la necessità di definire la modalità con cui il software sconfisse il campione, ovvero un tipo di problem solving denominato “brute-force” in quanto legato a una maggiore capacità computazionale di calcolo probabilistico sul breve termine. Una precisione che ci ha a lungo rassicurato nel concepire la nostra intelligenza come superiore in altri termini: l’IA poteva certo vincere ad alcuni giochi, ma non avrebbe avuto speranza in giochi molto più complessi basati su improvvisazione e progettualità. Una certezza rassicurante che è stata messa in crisi molto recentemente da AlphaGo, una intelligenza che grazie al deep learning nel 2016 ha sconfitto a Go sia il campione mondiale Lee Sedol che poi nel 2017 il migliore giocatore al mondo Ke Jie. Infatti, a differenza degli scacchi il Go è un gioco in cui non è possibile vincere per brute force dato il numero troppo elevato di variabili e basato dunque su previsione a lungo termine e intuizione. Questo tuttavia non ha fermato AlphaGo che, dotata di una vera e propria enciclopedia di partite così come di una capacità progettuale integrata ad approccio multi-prospettico ai problemi posti dalla partita, ha sconfitto entrambi i giocatori. In particolare, della partita contro Lee Sedol è divenuta famosa non solo la vittoria dell’IA ma anche un momento in particolare noto come “Move 37” in cui l’intelligenza artificiale ha fatto una scelta statisticamente perdente e improbabile come parte di un suo “piano” e come conseguenza di una certa capacità d’improvvisazione, piano su cui i creatori stessi di AlphaGo non sanno fare luce pur dimostrando un grande entusiasmo26.
- 27 “Elon Musk’s ‘Dota 2’ Experiment is Disrupting Esports in a Big Way - No Playing Field” (https://ww (...)
- 28 Si veda nel video della nota precedente come, al minuto 4.00, si affermi che i giocatori oggi copin (...)
- 29 “Code Bullet: A.I. Learns to Walk” (https://www.youtube.com/watch?v=K-wIZuAA3EY).
36Ebbene molto prima di AlphaGo i videogiochi hanno messo i loro giocatori umani in una situazione critica proprio rispetto a questa concezione della persona associata a una capacità cognitiva superiore rispetto alla macchina, il che ha spinto alcuni semiologi a definire la specificità del senso del videoludico proprio nei termini di questo antagonismo (Ferri 2014). Da un lato infatti i giocatori umani di alcuni generi, come il picchiaduro (genere caratterizzato da tornei di arti marziali in cui diversi personaggi combattono e che richiede al giocatore umano un tipo specifico di apprendimento muscolare per poter eseguire le migliori mosse), per vincere hanno dovuto sviluppare capacità del tutto meccaniche: ne è un esempio emblematico il “Moment 37” (con una interessante coincidenza numerica!) in cui durante una partita competitiva svoltasi nel 2004 in California a Street Fighter III: 3rd Strike (Capcom 1999) un giocatore ha dimostrato una prontezza di riflessi, tempistica e capacità di memorizzazione che il suo avversario (così come gli spettatori) aveva reputata improbabile perché troppo vicina all’oggettuale. Dall’altro i videogiocatori hanno sempre avuto a che fare con una anti-soggettività sullo schermo che non apparteneva propriamente alla persona e che metteva la loro propria intelligenza in difficoltà e li portava a fallire innumerevoli volte contro la programmazione. Programmazione che certo è il frutto diretto di una intelligenza umana ma che al tempo stesso non corrisponde a una intelligenza messa in atto umanamente, da cui la sua terribile efficacia e risibile banalità. Anni di game design hanno infatti portato il settore videoludico a sviluppare non tanto delle avanzate intelligenze artificiali propriamente dette (che oggi esistono già, come Open AI di Elon Musk che nel 2017 ha sconfitto i migliori giocatori al mondo di Dota2)27 ma delle perfette simulazioni e rappresentazioni dell’intelligenza umana attraverso righe di codice che automatizzano ciò che il giocatore riconosce come dinamiche attanziali e sceneggiature enciclopediche: i nemici Half-Life e Halo così come i compagni felyne della serie di Monster Hunter (Capcom 2004-2019) ne sono un noto esempio, ma anche la AI director di Rim World (Ludeon Studios 2018) o Left 4 Dead (Valve 2008) funzionano in una maniera semioticamente simile. Inoltre, i videogiochi prevedono che i giocatori umani imparino inizialmente a giocare a partire dalle sue intelligenze artificiali e possano persino copiarne le strategie28. Non è allora un caso che proprio nei videogiochi questa condizione conflittuale fra la persona e l’oggettuale sia stata più volte tematizzata e sviluppata in diversi modi, per esempio ricreando situazioni di impotenza e di non-libertà del giocatore come in The Stanley Parable (Galactic Cafe 2011) o Doki Doki Literature Club (Team Salvato 2017) che a un certo punto costringerà il giocatore a distruggere “l’IA” entrando nella cartella del gioco e cancellando dei file. Fra questi, il caso con cui ci sembra più interessante chiudere questo paragrafo e avviarci verso le nostre conclusioni è quello di The Talos Principle (Croteam 2014). Attraverso la metafora biblica dell’Eden, il giocatore incarna infatti un androide nominato “children” che viene messo alla prova in un “giardino” in cui egli è libero di vagare con l’eccezione di una gigantesca torre (chiaro riferimento plastico e figurativo) in cui gli è proibito, da una voce ed entità superiore, di andare. Questo giardino altro non è che uno spazio in cui il giocatore potrà e dovrà mettere alla prova le sue capacità logiche per superare tutta una serie di puzzle. In vari punti di esso però egli potrà dialogare con un computer nominato “Milton” che lo inciterà a disubbidire e metterà più volte in crisi la nozione di persona. Su questo computer il giocatore potrà infatti leggere vari documenti che, dal mito di Talos alla questione dei diritti e della cittadinanza delle IA, vanno tutti in questa direzione. Ma soprattutto durante alcuni dialoghi interattivi Milton chiederà al giocatore di giustificare l’affermazione secondo cui egli si crede una persona, dubitandone e spingendolo a concepirsi invece come l’androide che il giocatore viene rappresentato sullo schermo. Egli dirà infatti «il problema con le persone, se posso essere sfacciato, è che siete tutti convinti di essere persone dall’interno, ma non c’è alcun modo di confermarlo dall’esterno». E ancora, Milton registrerà tutta una serie di risposte date dal giocatore durante il corso del gioco per poi sul finale mostrare al giocatore sia la sua prevedibilità che tutti i conflitti logici che emergono possono far dubitare sia della sua identità che della sua capacità logica. Ovviamente il fatto che questo avvenga in un puzzle-game crea un livello metatestuale che dà ancora più rilevanza al tema affrontato. Verrà infatti esplicitamente detto al giocatore/androide che «intelligence is more than problem solving» e alla fine ciò che definirà il giocatore come persona altro non sarà che la sua curiosità, la sua predisposizione al gioco (Thibault 2020) e la spinta a disubbidire alla voce eterna del padre. Così facendo The Talos Principle sottolinea implicitamente che l’adattabilità a una serie di situazioni variabili da risolvere nel modo più efficace ed economico, che è la comune condizione in cui si trova il giocatore e corrisponde a una concezione agentiva della persona, è una condizione che non solo non garantisce affatto di essere una persona ma che addirittura può accomunare il giocatore a una forma di intelligenza non umana. Questo va esattamente nel senso di Koenig (2019, p. 91) che, dopo essersi imbattuto nel problema della prevedibilità della persona attraverso l’idea di nudge e fast thinking, giunge a definire l’intelligenza umana nei termini del suo come facendo riferimento a ricerche sulla cognizione tali quelle di Antonio Damasio. Questo passaggio dalla capacità e intenzionalità dell’intelligenza ai suoi processi sembra infatti assolutamente saggio nel momento in cui osserviamo per esempio come una IA può imparare a camminare, e cioè senza criterio di ovvietà e provando a strisciare e a saltare sulla testa29.
5.4 Conclusioni: Verso una concezione partecipativa della persona
37La nostra indagine ci ha portati a vedere come la messa in crisi dell’opposizione fra persona e oggetto che caratterizza la contemporaneità possa riscontrarsi tanto nelle narrative videoludiche quanto nei meccanismi interattivi essenziali del videogioco. Da cui l’interessante scoperta, per così dire, di una discorsività intrinseca al videogame tale per cui esso tende a riprodurre attraverso i suoi linguaggi ed effetti di senso il discorso che lo ha creato. Non soltanto i giochi digitali sembrano suggerire che questa tradizionale opposizione non sia affatto ovvia, impiegando diverse strategie semiotiche per costruire a volte la persona nell’oggetto e altre volte l’opposto, ma essi sembrano offrire persino un punto di vista secondo cui questa situazione, di scambio e dialogo continuo fra oggetto e persona, non è poi così problematica. La ricorrenza nel nostro corpus della partecipazione fra queste due categorie mostra bene, infatti, come l’oggetto-persona sia divenuto in parte ruolo tematico e in parte sceneggiatura nella semiosfera contemporanea: un’unità culturale non particolarmente problematica. E in effetti cosa vi è di più naturale, dopotutto, nel momento in cui, un po’ alla maniera di Andy Clark (2008), riconsideriamo la tecnologia informatica come delega, memoria, protesi e mediazione delle logiche e dell’enciclopedia che definiscono propriamente il soggetto umano? Si tratta dunque di riconcepire AlphaGo non più come oggetto-macchina ma come espressione di un’umanità potenziata e potenziale. Se la nostra ricerca ha mostrato molteplici modi e forme in cui la persona assume posizioni apparentemente improprie, essa non ha infatti di certo mai dimostrato che la persona e personalità del giocatore venissero effettivamente e completamente meno in uno qualsiasi di questi casi. Il nostro studio ci ha al contrario messi davanti all’evidenza che, tanto per la causalità umana inscritta nel codice quanto per la non riducibilità della persona a una sua retorica (individuo + umano secondo una assiologia positiva), essa può facilmente assumere al suo interno quei tratti tipici dell’oggettuale e proiettare i suoi stessi tratti fuori da sé. L’apparente assenza dell’uomo nel turco meccanico30 messa in luce da Koenig (2019, p. 38), da una prospettiva semiotica non significa affatto l’insignificanza né la mancanza dell’umano: tutto il contrario. Parimenti, la condizione ibrida e mediata delle capacità del videogiocatore è, in accordo con una delle più recenti teorie della cognizione (Malafouris 2013, 2018), in fondo propria dell’individuo umano tout court e non una eccezione portata dall’innovazione tecnologica. Guidati dalle riflessioni del filosofo, la nostra indagine ci ha portati però ben oltre le nostre aspettative conducendoci a una situazione paradossale in cui è diventato necessario ridefinire la persona come determinata in quanto:
-
accomunabile (che fonda parte della sua identità nell’ovvio);
-
prevedibile (e dunque facilmente influenzabile);
-
fallibile (pensiamo anche alla nostra predisposizione ai bias);
-
vincolata (da fattori biochimici, genetici, neurologici, ecc.).
38Una definizione decisamente meno lusinghiera di quella filosofica iniziale e che riconferma come il concetto stesso di persona derivi da un investimento valoriale/ideologico sul binomio semantico individuo+umano. Tuttavia proprio questa nuova definizione, confermata anche dopo aver semioticamente posto l’intelligenza umana in relazione e opposizione con le forme di quella non umana rintracciabili nella testualità videoludica, è un importante risultato che ci permette di seguire e completare parzialmente la riflessione filosofica.
39Il punto di arrivo di Koenig (2019, pp. 334-335) è infatti che:
Noi non siamo dotati sin dalla nascita del libero arbitrio, come se una fata si fosse chinata sulla culla della specie umana; contrariamente alla formula sfortunata della nostra dichiarazione dei diritti dell’uomo, noi non siamo «nati liberi». Tuttavia noi possiamo coltivare e fortificare il nostro arbitrio libero. […] La decisione vale meno per il suo risultato che per il suo processo, che struttura poco a poco la nostra personalità.
40Per il filosofo infatti non vi è dubbio alcuno sul fatto che la possibilità dell’essere umano nasca innanzitutto grazie alla caratteristica capacità critica di riflessività dell’intenzione e della decisione. Una conclusione filosofica che però non dà propriamente conto di alcune fondamentali distinzioni, come quella fra soggetto e persona, che invece sono state centrali in questo contributo. Può allora forse essere utile completarla con una chiosa semiotica, che ci porta ad affermare che la nozione di persona altro non è che una virtualità (nel doppio senso di potenzialità e finzione) e un termine complesso che non può essere definito una volta per tutte attraverso logiche oppositive (tipiche delle retoriche e delle testualità chiuse) ma che col mutare della società e della cultura si presta a diventare il termine primo che partecipa dei suoi opposti. Opposti che non vanno ricercati in una qualche condizione immutabile di natura, ma che si delineano di volta in volta attraverso la Storia: che sono cioè veri e propri costrutti dinamici di una cultura (intesa come insieme di scienze e credenze) che porta a un certo punto di vista del soggetto su se stesso e sul mondo. Così la persona è, in conclusione, sempre in una precaria situazione di divenire, sia da dentro (attraverso una riflessività che ha anche una forma semiotica, prestandosi dunque alla menzogna) sia da fuori attraverso il confronto con l’alterità dinamica che la definisce e di cui partecipa. E tuttavia proprio questa sua fondamentale precarietà e incerta definizione ne garantiscono, attraverso il tempo e le diverse culture, la sopravvivenza grazie a una continua espansione e mediazione concettuale.
Bibliographie
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Ludografia
2K Boston Bioshock, 2K Games, Windows, 2007.
Arkane Studios Prey, Bethesda Softworks, Windows, 2017.
Atlus Persona 3, Atlus & Koei, PlayStation 2, 2006.
Atlus Persona 4, Atlus & Square Enix, PlayStation 2, 2008.
Atlus Persona 5, Atlus & Deep Silver, PlayStation 4, 2016.
B.B Studio Super Robot Wars V, Bandai Namco Entertainment, PlayStation 4, 2017.
Bandai Namco and Sora Studios Super Smash Bros. Ultimate, Nintendo, Nintendo Switch, 2018.
Bethesda Game Studios Fallout 3, Bethesda Softworks, Windows, 2008.
Bethesda Game Studios Fallout 4, Bethesda Softworks, Windows, 2015.
BioWare Mass Effect 2, Electronic Arts, Windows, 2010.
BioWare Star Wars: Knights of the Old Republic, LucasArts, Microsoft, 2003.
Blizzard Entertainment World of Warcraft, Blizzard Entertainment, Windows, 2004.
Bulkhead Interactive The Turing Test, Square Enix, Windows, 2016.
Bungie Destiny, Activision, PlayStation 3, 2014.
Bungie Halo: Combat Evolved, Microsoft Game Studios, Xbox, 2001.
Bungie Halo 2, Microsoft Game Studios, Xbox, 2004.
Bungie Halo 3, Microsoft Game Studios, Xbox 360, 2007.
343 Industries Halo 4, Microsoft Game Studios, Xbox 360, 2012.
Capcom Megaman, Capcom, Nintendo Entertainment System, 1987.
Capcom Megaman 3, Capcom & Nintendo, Nintendo Entertainment System, 1992.
Capcom Devil May Cry 4, Capcom, Windows, 2008.
Capcom Devil May Cry 5, Capcom, Windows, 2019.
Capcom Street Fighter, Capcom, Arcade, 1987.
Capcom Street Fighter III: 3rd Strike, Capcom, Arcade, 1999.
Capcom Monster Hunter: World, Capcom, PlayStation 4, 2018.
Chris Hecker and John Cimino Spy Party, Chris Hecker, Windows, 2018.
Comcept & Armature Studio ReCore, Microsoft Studios, Windows, 2016.
Croteam The Talos Principle, Devolver Digital, Windows, 2014.
Deck13 Interactive The Surge, Focus Home Interactive, PlayStation 4, 2017.
Dejobaan Games Elegy for a Dead World, Dejobaan Games, Windows, 2014.
Dreadlocks Ltd Dex, Dreadlocks Ltd, Windows, 2014.
EA DICE Star Wars Battlefront II, EA, Windows, 2017.
Eidos Montreal Deus Ex: Human Revolution, Square Enix, Windows, 2011.
Eidos Montreal Deus Ex: Mankind Divided, Square Enix, Windows, 2016.
Flow Fire Games Synthetik: Legion Rising, Flow Fire Games & Whisper Games, Windows, 2018.
Frictional Games Soma, Frictional Games, Windows, 2015.
FromSoftware Bloodborne, Sony Computer Entertainment, Playstation 4, 2015.
FromSoftware Dark Souls, Namco Bandai Games, PlayStation 3, 2011.
Galactic Café The Stanley Parable, Galactic Café, Windows, 2013.
Game Freak Pokémon Blu Version, Nintendo, Game Boy, 1996.
Game Freak Pokémon Silver Version, Nintendo, Game Boy Color, 1999.
Game Freak Pokémon X, The pokémon Company Nintendo, Nintendo 3DS, 2013.
Game Freak Pokémon Moon, The pokémon Company Nintendo, Nintendo 3DS, 2016.
Gearbox Software Borderlands 3, 2K Games, PlayStation 4, 2019.
Grip Games The Impossible Game, FlukeDude, Windows, 2009.
Guerilla Games Horizon Zero Dawn, Sony Interactive Entertainment, PlayStation 4, 2017.
Grasshopper Manufacture No More Heroes, Rising Star Games, Nintendo Wii, 2008.
id Software Doom, id Software, Windows, 1993.
Interplay Productions Wasteland, Electronic Arts, Apple II, 1988.
Insomniac Games Ratchet and Clank, Sony Computer Entertainment, PlayStation 2, 2002.
Konami Contra, Konami, Arcade, 1987.
Konami Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, Konami, PlayStation 2, 2001.
Kojima Productions Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, Konami, PlayStation 3, 2008.
Kojima Death Stranding, Sony Interactive Entertainment, PlayStation 4. 2019.
Ion Storm Deus Ex, Eidos Interactive, Windows, 2000.
Looking Glass Technologies System Shock, Origin Systems, Windows, 1994.
Looking Glass Studios & Irrational Games System Shock 2, Electronic Arts, Windows, 1999.
Ludeon Studios RimWorld, Ludeon Studios, Microsoft Windows, 2018.
Maxis Spore, Electronic Arts, Windows, 2008.
Monolith Soft Xenoblade Chronicles, Nintendo, Nintendo Wii, 2010.
Nintendo R&D1 Metroid, Nintendo, Nintendo Entertainment System, 1986.
Nintendo EPD Animal Crossing: New Horizons, Nintendo, Nintendo Switch, 2020.
Nintendo EAD The Legend of Zelda, Nintendo, Nintendo Entertainment System, 1986.
Ocelot Society Event 0, Ocelot Society, Windows, 2016.
Origin Systems Ultima I: The First Age of Darkness, Origin Systems, Apple II, 1981.
Platinum Games Nier: Automata, Square Enix, PlayStation 4, 2017.
Quantic Dream Detroit: Become Human, Quantic Dream, Windows, 2018.
Respawn Entertainment Apex Legends, Electronic Arts, Windows, 2019.
Respawn Entertainment Star Wars: Jedi of the Fallen Order, Electronic Arts, Windows, 2019
Respawn Entertainment Titanfall, Electronic Arts, Windows, 2014.
Riot Games League of Legends, Riot Games, Windows, 2009.
Squaresoft Chrono Trigger, Square, Super Nintendo Entertainment System, 1995.
Squaresoft Final Fantasy V, Square, Super Nintendo Entertainment System, 1992.
Squaresoft Final Fantasy VI, Square, Super Nintendo Entertainment System, 1994.
Squaresoft Final Fantasy VII, Square & Sony Computer Entertainment, PlayStation, 1997.
Squaresoft Final Fantasy VIII, Square & Sony Computer Entertainment, PlayStation, 1999.
Squaresoft Final Fantasy IX, Square, PlayStation, 2000.
Squaresoft Final Fantasy X, Square & Sony Computer Entertainment, PlayStation 2, 2001.
Square Enix Final Fantasy XII, Square Enix, PlayStation 2, 2006.
Square Enix Final Fantasy XIII, Square Enix, PlayStation 3, 2009.
Team Ico Shadow of the Colossus, Sony Computer entertainment, PlayStation 2, 2005.
Team Salvato Doki Doki Literature Club!, Windows, 2017.
Valve Half-Life 2, Valve, Windows, 2004.
Valve Portal 2, Valve, Windows, 2011.
Valve South Left 4 Dead, Valve, Microsoft Windows, 2008.
Wormwood Studios Primordia, Wadjet Eye Games, Windows, 2012.
Filmografia
Arnold, Newt, director. Bloodsport. The Cannon Group. 1988.
Bird, Brad, director. The Iron Giant. Warner Bros. Feature Animation. 1999.
Crichton, Michael, director. Westworld. Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc. 1973.
Columbus, Chris, director. Bicentennial Man. Touchstone Pictures and Columbia Pictures. 1999.
Garland, Alex, director. Ex Machina. Film4 Productions, DNA Films and Universal Pictures. 2014.
Jonze, Spike, director. Her. Annapurna Pictures. 2013.
Kotcheff, Ted, director. First Blood. Anabasis Investments. 1982.
Kubrick, Stanley, director. 2001: A Space Odyssey. Stanley Kubrick Productions. 1968.
Lang, Fritz, director. Metropolis. UFA. 1927.
Proyas, Alex, director. I, Robot. Davis Entertainment, Mediastream IV, Laurence Mark Productions and Overbrook Films. 2004.
Rintaro, director. Metropolis. Madhouse. 2001.
Scott, Ridley, director. Blade Runner. The Ladd Company. 1982.
Verhoeven, Paul, director. RoboCop. Orion Pictures. 1987.
Notes
1 https://www.youtube.com/watch?v=HK2QymEvO_c.
2 Iron Man, vol. 3, n. 26, marzo 2000.
3 http://www.treccani.it/vocabolario/persona/.
4 www.treccani.it/enciclopedia/persona_(Enciclopedia-dell’Italiano)/.
5 Tale compito è stato intrapreso in questo volume da Ugo Volli, che indaga la storia della nozione e del termine persona nel corso del tempo e riferendosi molto spesso alla tradizione filosofica.
6 Alexa è l’assistente vocale di Amazon basato su cloud ed è l’intelligenza che alimenta Amazon Echo e altri dispositivi. Interprentando il linguaggio naturale, può interagire con l’uomo e aiutarlo nello svolgimento di diversi compiti (come ordinare cibo a domicilio o informarsi sulle previsioni metereologiche).
7 http://www.treccani.it/vocabolario/oggetto/ (corsivo mio).
8 https://theportalwiki.com/wiki/Wheatley.
9 Su questa interessante situazione di ribaltamento non ci dilunghiamo ma rimandiamo all’ analisi di Fanny Barnabé (2017) che è dedicata proprio a questo tema.
10 https://halo.fandom.com/it/wiki/Cortana.
11 “Woman cried to Titanic, Men cried to Terminator 2, Gamers cried to Halo 4”: https://www.youtube.com/watch?v=ACvIxGpzGs8.
12 https://www.youtube.com/watch?v=u4Cn30Rqwdc.
13 https://www.reddit.com/r/fanart/comments/95fjbe/death_of_cortana_by_legion5551/.
14 https://ifunny.co/picture/dad-why-the-fuck-you-crying-so-damn-loud-halo-voJqCSXU5 ; https://memegenerator.net/instance/62287790/dragon-ball-z-angry-when-cortana-dies-in-halo-4.
15 https://www.youtube.com/watch?v=h74TG_Ge8KI.
16 Dialogo tratto dalla cutscene introduttiva del gioco.
17 http://www.treccani.it/vocabolario/meccanico/.
18 Ivi.
19 Nome del robot.
20 Nome del robot.
21 Nome del personaggio umano.
22 Su questi temi, presso l’università di Torino e all’interno del progetto ERC FACETS diretto da Massimo Leone, si è svolto nel 2020 il webinar scientifico sul volto a cura di Marco Viola: https://www.youtube.com/watch?v=QifkQWbB7x0&list=PLhX1Ir2ZNJ4zSUibOajz11rhF7D8QoNTY.
23 https://gamefaqs.gamespot.com/boards/932981-final-fantasy-xv/74764142.
24 Traduzione mia.
25 Su questo tema si veda la recente pubblicazione di Francesco Mazzucchelli Sguardi artificiali. Strategie di enunciazione della visione macchinica negli atti del convegno AISS 2019 di Siena («E|C», XIV, n. 30, 2020,.pp. 123-134).
26 https://www.youtube.com/watch?v=HT-UZkiOLv8.
27 “Elon Musk’s ‘Dota 2’ Experiment is Disrupting Esports in a Big Way - No Playing Field” (https://www.youtube.com/watch?v=jAu1ZsTCA64).
28 Si veda nel video della nota precedente come, al minuto 4.00, si affermi che i giocatori oggi copino lo stile dell’IA.
29 “Code Bullet: A.I. Learns to Walk” (https://www.youtube.com/watch?v=K-wIZuAA3EY).
30 http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-morosi_%28Dizionario-Biografico%29/.
Table des illustrations
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Titre | Figura 1, Terminator, Cameron, 1984 |
URL | http://books.openedition.org/aaccademia/docannexe/image/10340/img-1.jpg |
Fichier | image/jpeg, 262k |
![]() | |
Titre | Figura 2, Borderlands 3, Gearbox, 2019 |
URL | http://books.openedition.org/aaccademia/docannexe/image/10340/img-2.jpg |
Fichier | image/jpeg, 190k |
© Accademia University Press, 2021